Il re o dio che muore e rinasce, è un tema che ritorna spesso nelle religioni misteriche e nell’alchimia. L’esempio più conosciuto è il dio egizio Osiride. Nella letteratura religiosa e alchemica questo processo del dio che muore, il dolore di sua moglie o della madre e la rinascita vengono descritti nei minimi dettagli. Vediamo il tema ritornare nel cristianesimo dove Gesù Cristo muore, Maria e Maddalena lo piangono, e Cristo resuscita dopo tre giorni. Il cristianesimo nacque infatti nell’impero romano dove il sincretismo era la regola. Nelle religioni misteriche questo racconto di morte e resurrezione viene presentato al candidato come un processo che deve aver luogo in lui. Anche nel cristianesimo è così. Nel vangelo di Giovanni, Gesù Cristo dice a Nicodemo che se vuole entrare nel Regno di Dio deve rinascere dall’acqua e dallo spirito.
L’influente alchimista inglese George Ripley (1415–1490) che visse in Italia per vent’anni, prese molto alla lettera questo concetto di rinascita del vangelo di Giovanni. Nella sua Cantilena racconta di un re che desiderava entrare in paradiso. Ma Cristo gli dice che per entrarci deve prima rinascere. Per questo il re torna nel ventre della madre per dissolvervisi, quindi morire. Dal testo si capisce chiaramente che si tratta della madre terra. Da vero alchimista, Ripley descrive il processo di morte nei minimi dettagli. Il re diventa uno con la madre, la madre soffre per la morte del re. Mentre il re muore, Mercurio le porta carne di pavone che lei mangia gentilmente e sangue del leone verde che lei beve in una coppa dorata di Babilonia. Carne di pavone e sangue di leone verde sono, esattamente come Mercurio, noti simboli alchemici. Anche l’alchimista Michael Maier (1568–1622) descrive la morte del re, che questa volta è equiparato a Osiride. Questo stesso racconto compare in ogni genere di varianti nella letteratura alchemica.
Vitriol o il leone verde dell’alchimia
Nel suo libro sul Flauto Magico lo studioso olandese Tjeu van den Berk ha paragonato nei dettagli l’opera il Flauto Magico di Mozart con la letteratura alchemica e riconosce ovunque nell’opera riferimenti all’alchimia. A partire dall’ambientazione in Egitto e dal titolo. Nei circoli intellettuali ai quali Mozart apparteneva l’Egitto era ritenuto la culla delle religioni dei misteri e dell’alchimia. Chi è dunque il re che muore nel Flauto Magico? Secondo van den Berk è il padre di Pamina. Durante l’opera non vediamo mai il padre di Pamina, ma via via che il racconto prosegue lo spettatore viene a sapere sempre di più su di lui: innanzitutto che era già morto prima che il dramma iniziasse, che è il padre di Pamina, che era un re, che portava sul petto il segno del sole settemplice, che aveva destinato Pamina ad appartenere agli iniziati, che aveva creato il flauto magico dal legno di una quercia millenaria…. Il re gioca quindi un ruolo molto importante nel dramma, anche se non arriviamo mai a vederlo.
La prima cosa che lo spettatore vede quando il sipario si apre dopo l’ouverture è il principe Tamino inseguito da un serpente. Nel manoscritto c’era inizialmente un leone al posto del serpente. Più tardi Mozart ha cancellato “leone” e ci ha scritto sopra “serpente”. Anche le trombe e i timpani che dovevano accompagnare il leone furono cancellati. Ora, chi è il serpente secondo van den Berk? È l’acido solforico o in altre parole: vetriolo, una materia che dissolve e purifica, nell’alchimia anche scritto: vitriol. Gli alchimisti velano il loro cammino di iniziazione con descrizioni di animali e sostanze chimiche. La natura animale, astrale, dell’uomo deve essere trasmutata per giungere a un’anima immortale. L’alchimista Archarion dice del vitriol dei saggi che viene rappresentato come un leone verde, un serpente o un drago. Molte materie si dissolvono nell’acido solforico, per poter iniziare qualcosa di nuovo bisogna dissolvere il vecchio. Al tempo di Mozart il leone e il serpente dello zodiaco egizio venivano raffigurati assieme. Il paesaggio è roccioso, è il regno della Regina della Notte, la madre terra, il ventre materno dove il re muore e rinasce.
Cosa è successo secondo van den Berk? Il padre di Pamina, il re, si è dissolto nella madre terra. Si è trasformato in prima materia. Secondo gli alchimisti l’universo consiste in prima materia. Per costruire un’anima immortale è necessario prima disporre di prima materia. Ora, alla prima materia bisogna sottrarre tre sostanze: zolfo, sale e mercurio. Secondo van den Berk, Mozart segue qui l’alchimia di Paracelso dove si parla di questi tre elementi. Lo zolfo è l’elemento maschile e secondo van den Berk questo è Tamino, il principe che viene inseguito dal serpente, l’acido solforico, ciò che rimane del padre di Pamina. Pamina è il sale, l’elemento femminile che attraverso tutta una serie di processi alchemici alla fine giunge a un’unione permanente con Tamino, leggi: celebrare le nozze alchemiche. Pamina è la figlia quindi proviene dal re, e Tamino, in quanto sposo, anche. E chi è quindi il mercurio, l’elemento legante?
Papageno è mercurio. Van den Berk dimostra che il Papageno alato è il mercurio che viene utilizzato dall’alchimista Sarastro per portare il sale e lo zolfo ad unirsi l’uno all’altro. Il carattere volatile, resistente di Mercurio viene interpretato molto bene da Papageno, come pure le sue piume colorate da pavone. Nello svolgersi dell’opera Papageno attraversa una metamorfosi. Anche la sua dolce metà alata, Papagena, attraversa una metamorfosi: da una vecchia donna si trasforma in una giovane sposa. Dopo l’unione di Tamino e Pamina, sole e luna, anche Papageno e Papagena si uniscono.
Due figure alate unite, immagine presa dal libro alchemico Rosarium Philosophorum
Molti studiosi che hanno analizzato il Flauto Magico trovano in quest’opera numerosi simboli della framassoneria. Anche la framassoneria era una religione dei misteri: nella massoneria Hiram che muore e rinasce gioca lo stesso ruolo di Osiride nell’alchimia. Ma la framassoneria stessa è piena di simbologia alchemica. Così come l’alchimista incontra presto vetriolo, acido solforico nel processo alchemico, il framassone incontra V.I.T.R.I.O.L. alla sua prima iniziazione, e ciò nel Gabinetto di Riflessione, la stanza buia dove il framassone deve dire addio alla vecchia vita. Possiamo vedere l’inizio dell’opera nel regno roccioso della Regina della Notte anche come una ricerca nelle profondità della terra o una ricerca di se stesso dalla quale un candidato deve iniziare. L’acronimo V.I.T.R.I.O.L., proveniente dall’alchimista del quindicesimo secolo Basilius Valentinus, significa infatti “Visita Interiora Terrae (o Tui) Rectificando Invenies Occultum Lapidem”, tradotto “indaga le profondità della Terra (o di te stesso) purificando otterrai la Pietra Occulta”, ciò che nascosto alla tua consapevolezza.
La questione se l’opera fosse un lavoro alchemico o framassonico non è molto importante. Nella loggia Zur Wohltätigkeit (Alla beneficenza) della quale Mozart era membro nel 1784 e 1785 si studiava profondamente il legame tra la framassoneria e le antiche religioni misteriche. In questo circolo l’Egitto era considerato la culla dei misteri. Anche gli alchimisti dicono che la loro conoscenza viene dall’Egitto. Sembra che i creatori del Flauto Magico volessero rappresentare un favoloso antico mistero di iniziazione orientale e abbiano vestito l’accaduto nelle forme che erano conosciute alla fine del diciottesimo secolo: i rituali della framassoneria e i processi che vengono descritti nei libri tanto bramosamente letti degli autori alchimisti.
Fonte: http://cosmosdream.it/cosmos/archives/4157