Radicato nelle antiche pratiche meditative, lo Zazen si differenzia da altre forme di meditazione, in quanto il meditante stesso non utilizza alcun oggetto di meditazione o astratto concetto, per il suo concentrarsi. Lo scopo dello zazen è prima di tutto ‘fermare la mente’ – l’animale e disorganizzata mente di tutti i giorni del praticante – e quindi, attraverso la pratica, raggiungere uno stato di pura e desta attenzione, libera dal pensiero, così che la mente possa realizzare la propria Natura di Buddha. E, a differenza di altre forme di meditazione, lo Zazen non è meramente un mezzo per raggiungere uno scopo. Dogen Zenji disse:
“Zazen è esso-stesso ‘Illuminazione’, un minuto di seduta, è un minuto di essere Buddha”.
I tre obiettivi dello Zazen, sono:
1. Sviluppo della capacità di concentrazione (Joriki)
2. Satori-Risveglio (Kensho)
3. Attualizzazione della Via Suprema nella nostra vita quotidiana (mujudo no taigen).
Questi tre formano un insieme inscindibile, ma ai fini di una discussione saranno affrontati uno alla volta singolarmente.
JORIKI
Joriki, il primo di questi, è il potere o la forza che sorge quando la mente è stata unificata e portata ad un acuta e profonda concentrazione in Zazen. Questo è ancor più che la capacità di concentrarsi, nel senso usuale del termine. E’ un potere dinamico che, una volta attivato, ci permette di agire subito, anche nelle situazioni più impreviste e inaspettate, senza aspettare di raccogliere le facoltà mentali, e in modo del tutto adeguato alle circostanze.
Colui che ha sviluppato Joriki non è più schiavo delle sue passioni e non è più in balia del suo ambiente. Mantenendo sempre il comando di se stesso e delle circostanze della sua vita, egli è in grado di muoversi con piena libertà ed equanimità. Con Joriki, è reso anche possibile lo sviluppo di certi poteri supernormali, come pure uno stato in cui la mente diventa chiara e trasparente come acqua immobile. (Vedi anche: siddhi).
Ora, benché i poteri di Joriki possano essere ampliati all’infinito tramite una pratica regolare, se però si trascura lo Zazen essi si ritirano e spariscono. E pur se è vero che molti poteri straordinari derivano da Joriki, tuttavia tramite esso da soli noi non possiamo tagliare le radici della nostra visione illusoria del mondo. La sola forza della concentrazione non è sufficiente per i più elevati livelli di Zen e deve essere tenuto in considerazione un percorso non dissimile da shikantaza. E, contemporaneamente, ci deve essere il Risveglio-Satori.
In un documento poco conosciuto, tramandato da Shih-t’ou Hsi-ch’ien (Sekito Kisen, in Giapponese), seguace del Sesto Patriarca Hui-neng e fondatore di una delle prime sètte Zen, appare la seguente frase:
“Nella nostra setta, è fondamentale la realizzazione della Natura di Buddha, e non la mera devozione o la forza di concentrazione”.
Il Buddismo insegna che quando un praticante raggiunge un certo grado di realizzazione, si sviluppa il potere spirituale. Si dice che uno che sia al livello di un Arhat abbia dei poteri sovrannaturali. Anche così, resta inteso che è attraverso l’illuminazione che si manifestano poteri soprannaturali, piuttosto che questi poteri soprannaturali rafforzino l’Illuminazione. Inoltre, è anche riconosciuto che i poteri soprannaturali non sono esclusivamente ottenibili proprio e SOLO dai Buddisti. E’ possibile sviluppare una sorta di “poteri ultra-normali” per chiunque abbia una profonda coltivazione religiosa e spirituale.
KENSHO
Il secondo di questi obiettivi è Kensho, ‘Vedere-nella-propria-vera-natura’ e allo stesso tempo, Vedere nella Natura Ultima dell’Universo e “tutte le diecimila cose” contenute in esso. E’ la realizzazione improvvisa del fatto che
“Io sono completo e perfetto sin dall’inizio. Che meraviglia, che miracolo!”
Se è un vero Kensho, la sua sostanza sarà sempre la stessa per chiunque la sperimenti, sia egli Buddha Shakyamuni, il Buddha Amida, o una persona qualunque. Ma questo non significa che tutti possiamo sperimentare Kensho allo stesso livello, perché nella chiarezza, profondità e completezza di quel tipo di esperienza ci sono grandi differenze. Come esempio, immaginate una persona cieca dalla nascita che poco a poco comincia a recuperare la vista. All’inizio, essa può vedere in maniera molto vaga e oscura, e solo gli oggetti a lui vicini. Poi, allorché la vista migliora, essa è in grado di distinguere le cose ad un metro di distanza, quindi gli oggetti a una decina di metri, poi a un centinaio di metri, fino a quando alla fine sarà in grado di riconoscere ogni cosa fino a mille metri. In ciascuna di queste fasi, il mondo fenomenico che egli vede è lo stesso, ma le differenze in chiarezza e in precisione delle sue visioni di quel mondo sono enormi, come quelle che ci sono tra la neve e il carbone. Così, le stesse differenze di chiarezza e di profondità ci sono nelle nostre esperienze di Kensho.
MUJODO NO TAIGEN
L’ultimo dei tre obiettivi è mujodo no taigen, l’Attualizzazione della Via Suprema con tutto il nostro essere e in tutte le nostre attività quotidiane. A questo punto, noi non distinguiamo il fine dai mezzi. Quando ti siedi con fervore e senza-ego in conformità con le istruzioni di un insegnante competente – con la mente pienamente cosciente, però così libera dal pensiero come un puro foglio di carta bianca che è privo di qualunque macchia – c’è un dispiegarsi della vostra “natura di Buddha” intrinsecamente pura, sia che abbiate o meno avuto un Satori. Ma ciò che qui dev’essere enfatizzato è che solo con il vero risveglio tu potrai direttamente comprendere la verità della tua natura di Buddha e percepire che il più puro tipo di Zen, cioè Saijojo, non è affatto diverso da quello praticato da tutti i Buddha.
La pratica del Buddista Zen dovrebbe abbracciare tutti e tre questi obiettivi, perché interconnessi. Per esempio, vi è una essenziale connessione tra Joriki e Kensho. Kensho, infatti, è “saggezza associata naturalmente a Joriki”, il quale è il potere derivante dalla concentrazione. Joriki è collegato pure in un altro modo con Kensho. Molte persone non potranno mai essere in grado di raggiungere Kensho se non hanno prima coltivato una certa quantità di Joriki, perché altrimenti potrebbero sentirsi troppo agitate, troppo nervose e inquiete per proseguire il loro Zazen. Inoltre, a meno che non sia fortificata da Joriki, una singola esperienza di Kensho non avrà alcun apprezzabile effetto sulla nostra vita, e si esaurirà in un mero ricordo. Infatti, anche se tramite l’esperienza di Kensho con l’occhio della mente voi avrete appreso l’unità fondamentale del cosmo, senza Joriki voi sarete incapaci di agire con tutta la forza del vostro essere su ciò che la vostra visione interiore vi ha rivelato. Similmente, vi è una connessione tra Kensho e il terzo obiettivo dello Zazen, Mujodo no Taigen. E quando Kensho si manifesterà in tutte le vostre azioni, allora c’è mujodo-no-taigen. Con la perfetta Illuminazione, Anuttarasamyak-Sambodhi, ci accorgiamo che la nostra concezione duale e antitetica del mondo è falsa, e da questa realizzazione si rivela il mondo di unicità, di vera armonia e di pace.
La setta Rinzai tende a rendere il Satori-risveglio lo scopo finale della zen-seduta e sorvola su Joriki e su Mujodo-no-taigen. In tal modo, la necessità di una pratica continua dopo l’illuminazione è ridotta al minimo, e lo studio dei koan, dal momento che non è supportato da Zazen e poco legato alla vita quotidiana, diventa essenzialmente un gioco intellettuale, anziché un mezzo attraverso cui amplificare e rafforzare l’Illuminazione. D’altra parte, mentre il tipo di pratica sostenuta oggi negli ambienti ufficiali della setta Soto enfatizza il mujodo no taigen, in realtà, essa non è altro che poco più di un aumento di Joriki, che, come già detto in precedenza, “si perde o si indebolisce” e in ultima analisi scompare a meno che non si svolga regolarmente zazen. Oggigiorno, la tesi della setta Soto è che Kensho sia inutile, e che uno avrebbe più bisogno di maliziosità nella sua attività quotidiana con la Mente di Buddha che è speciosa, perché senza Kensho non si può mai sapere che cosa sia questa mente-di-Buddha. In questi ultimi tempi, questi squilibri di entrambe le sette hanno, purtroppo, compromesso la qualità dell’insegnamento Zen.
Zazen non deve essere confuso con la meditazione. La meditazione implica immettere qualcosa nella mente, un’immagine o una parola sacra che viene visualizzata, o un concetto su cui si deve pensare e rifletterci su, o entrambi. In alcuni tipi di meditazione, il meditante immagina, contempla o analizza alcune forme elementari, tenendole nella sua mente con l’esclusione di ogni altra cosa. Oppure egli può contemplare in uno stato di adorazione un’immagine di Buddha o di un Bodhisattva, sperando di suscitare in sé paralleli stati di mente. Egli può riflettere su delle qualità astratte come la gentilezza amorevole e la compassione. Nei sistemi meditativi del Buddismo Tantrico, i mandala contengono varie sillabe-seme dell’alfabeto Sanscrito – come, per esempio Om – che sono visualizzate e fermate nel modo prescritto. Impiegati anche per scopi di meditazione, i mandala sono costituiti di speciali forme di Buddha, Bodhisattva e altre figure.
L’unicità dello Zazen sta nel fatto che la mente è liberata dalla schiavitù di tutte le forme-pensiero, visioni, oggetti, e fantasie, sia pur sacri o elevati, e portati ad uno stato di assoluta vacuità, soltanto dal quale si potrà un giorno percepire la propria vera natura, o natura dell’universo. Questi esercizi iniziali, come il contare o seguire il respiro, non possono ovviamente essere chiamati meditazione, in quanto non comportano visualizzazione di un oggetto o riflessione su un’idea. Per le stesse ragioni, un Koan Zazen non può essere chiamato meditazione. Sia che uno stia sforzandosi di ottenere l’unità con il suo Koan o, per esempio, chiedendosi intensamente “Che cosa è Mu?”, egli non sta meditando nel senso tecnico del termine. Lo Zazen che porta all’auto-realizzazione del Sé non è né una fantasia né un’inerzia inattiva, ma una intensa lotta interiore per ottenere il controllo della mente e quindi saperla usare, come un silenzioso missile, per penetrare la barriera dei cinque sensi e l’intelletto discorsivo (che è il sesto senso). Esso richiede energia, determinazione e coraggio. Yasutani Hakuun Roshi lo chiama “una battaglia tra le forze opposte dell’illusione e il Bodhi (Risveglio)”. Questo stato mentale è stato vividamente descritto con queste parole, che si dice siano state pronunciate da Shakyamuni Buddha seduto sotto l’albero del Bodhi mentre faceva il suo sforzo supremo, e citate spesso nello zendo durante le sesshin:
“Anche se mi restassero solo la pelle, i tendini, e le ossa, e il mio sangue e la carne si disperdessero, io mai potrei muovermi da questa seduta finché non avrò raggiunto la piena Illuminazione”.
Da un lato, la spinta verso l’illuminazione è alimentata da una schiavitù interiore sentita con una forte sofferenza – una sorta di frustrazione verso la vita, paura della morte, o per entrambi – e, dall’altro, dalla convinzione che attraverso il Risveglio si possa ottenere la liberazione. Ma è nello Zazen che la forza e il vigore del corpo-mente sono allargate e mobilitate per la svolta in questo nuovo mondo di libertà. Le energie che prima venivano sprecate in nevrotiche corse e azioni compulsive senza scopo ora sono conservate e incanalate in una unità tramite la corretta seduta Zen, e nella misura in cui la mente raggiunge acutezza attraverso lo Zazen non disperde più la sua forza-energia nell’incontrollata proliferazione di pensieri oziosi.
L’intero sistema nervoso è calmo e rilassato, son eliminate le tensioni interne, e rafforzato il tono di tutti gli organi. Inoltre, la ricerca che interessa un elettrocardiografo ed altri strumenti su soggetti che praticano Zazen da uno o due anni, ha dimostrato che lo Zazen porta un rilassamento della tensione psicofisica ed una maggiore stabilità dell’insieme corpo-mente con un abbassamento della frequenza cardiaca, del polso, della respirazione e del metabolismo. In breve, lo Zazen riallineando le energie fisiche, mentali e psichiche attraverso una corretta seduta, respirazione, e concentrazione, ristabilisce anche un nuovo equilibrio del corpo e della mente.
Ed ora una storia:
Ma-tsu stava facendo il suo Zazen quotidiano nella sua capanna, sul monte Nan-Yueh. Un giorno, il suo maestro Huai-Jang (Nanyue Huairang, Nangaku Ejo, 677-744), osservandolo pensò: “Diventerà un grande monaco”, e chiese: “Reverendo, cosa stai cercando di raggiungere stando così seduto?”
Ma-tsu rispose: “Sto cercando di diventare un Buddha”.
Allora Huai-Jang prese un pezzo di tegola e cominciò a strofinarla su una roccia di fronte a lui.
“Che cosa stai facendo, maestro?” chiese Ma-tsu.
“La sto lucidando per farne uno specchio”, disse Huai-Jang.
“Come si può lucidare una tegola per farne uno specchio?”
“E come, lo stare seduti in Zazen, potrebbe fare un Buddha?”
Ma-tsu chiese: “Cosa devo fare, allora?”
Huai-Jang rispose: “Se tu fossi alla guida di un carro, e questo non si muove, tu frusteresti il carro o frusteresti il bue?” Ma-tsu non rispose.
Huai-Jang continuò: “Ti stai allenando in Zazen? Stai cercando di diventare un Buddha seduto? Se ti stai allenando in Zazen, lascia che ti dica che la vera sostanza dello Zazen non è né lo stare seduti, e né sdraiati. Se ti stai allenando a diventare un Buddha seduto, lascia che ti dica che il Buddha non ha una forma [come, ad es. la seduta].
Il Dharma, che non ha fissa dimora, non ammette distinzioni. Se uno cerca di diventare un Buddha seduto, questo è come uccidere il Buddha. Se ci si aggrappa alla forma della seduta, non si potrà raggiungere la verità essenziale”.
Per cui, dovrebbero essere considerati i seguenti punti: “In nessun modo… io sto suggerendo che le pratiche non debbano essere fatte, solo che dietro di esse non c’è un praticante che sia il colui che agisce. Questo è vero per ogni attività. … Proprio perché non c’è nessun praticante (e mai c’è stato), non significa che non avrà luogo la pratica. Se è evidente che una particolare pratica spirituale abbia a verificarsi, allora ci sarà…”.
tratto da ‘Shobogenzo’ di Dogen
Fonte: www.centronirvana.it
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