Proseguiamo il cammino nei CANTI STELLATI dalla Divina Commedia programmati sulla nostra Web Radio

8-58, VIII dell’Inferno e XXIV del Purgatorio: 
SULL’ORLO DELL’ABISSO

… nel suon de le parole maladette… (8)
… inver’ la valle ove mai non si scolpa. (58)

I DIAVOLI DI DITE E BONAGIUNTA (golosi e invidiosi)
(domenica delle Palme 26 marzo 1301, notte)

Se nella conversazione 7-57 si canta della possibilità di riconoscere il proprio Destino, che è anche legato strettamente al Soccorso d’Amore delle persone che possono offrire il loro aiuto, e solo per amore, la coppia 8-58 ci investe in pieno parlandoci delle nostre reali paure nei confronti della Sorte, della quale nulla sappiamo, tranne che sa bene colpire con la sua cecità. 
Dante, in tutti e due i canti, vive la dura prova di temere per la sua vita, e non teme di nasconderci tutte le sue ansie e i suoi timori. Che sono gli stessi che ci accompagnano nella nostra vita. 
E per questo ci troveremo tutti, Lettori e Autore, sull’orlo dell’abisso.

Forse dovrei parlare dell’abisso al plurale, visto che sono tanti gli abissi che si rivelano in questi due canti. 
L’ottavo, innanzi tutto, è un Passaggio intermedio, rispetto ai 4 Grandi Passaggi evidenziati dalla Geometria Sacra del Poema. Si traghetta la Palude Stigia per giungere alla Città di Dite, seconda porta infernale, perfettamente blindata, centro direzionale di Satana.
Immaginatela un po’ come l’Isola Tiberina, circondata dall’acqua, bagnata dalla palude Stigia. Com’era paludoso il Tevere ai tempi di Dante. E si vedono anche due torri:
«Maestro, già le sue meschite 
là entro certe ne la valle cerno, 
vermiglie come se di foco uscite / fossero». (8)
Già vedo le due torri della città, rosse come se fossero incendiate.

Non so se ai tempi di Dante ci fossero due torri, ma, per un luogo che ha più di duemila anni, c’è da sospettarlo. E comunque c’era almeno la Torre dei Caetani, di proprietà di Bonifacio VIII. Ed è anche vero che, a pochi passi da qui, nel palazzetto degli Anguillara, oggi chiamato Casa di Dante, fu ospite l’Alighieri (prendetela soltanto come un sogno scherzoso: e se il Poeta ne avesse veramente sorriso in segreto di aver progettato Dite dentro il cuore pulsante di Roma?).
La verità è che stiamo scendendo sempre di più verso la Valle del Dolore.
Dentro il fetore torbido della palude sono immersi gli iracondi, e l’incontro con Filippo Argenti è il secondo di questi abissi.

E io a lui: «Con piangere e con lutto,
spirito maladetto, ti rimani;
ch’i’ ti conosco, ancor sie lordo tutto». 39
Allor distese al legno ambo le mani;
per che ’l maestro accorto lo sospinse,
dicendo: «Via costà con li altri cani!». 42
Lo collo poi con le braccia mi cinse;
basciommi ’l volto, e disse: «Alma sdegnosa,
benedetta colei che ’n te s’incinse! 45 (8)

E io a lui: «Ed è bene che tu resti afflitto e in lutto, spirito maledetto; infatti ti riconosco, benché tu sia tutto sporco di fango». Allora il dannato si protese con ambo le mani verso la barca; il maestro, accorto, lo spinse via dicendo: «Va’ via di qui, torna con gli altri cani!» Poi mi abbracciò al collo con le braccia, mi baciò il viso e disse: O anima disdegnosa, benedetta colei che rimase incinta di te!

Nell’abbraccio istintivo del Maestro, nel suo segreto bascio, percepiamo l’eco delle dolenti note di Paolo e Francesca, il canto che ha fatto morire Dante alle sue Leggi. Ora è tempo di morire alla legge della rabbia, che molto appartenne all’Alighieri: ti conosco bene, anche se sei tutto sporco!
E benedetta tua madre che ti ha portato nel ventre, perché, ragazzo mio, l’hai capito subito, che guardare in faccia il tuo dolore è l’unico modo per superarlo.
L’abisso dell’anima di Dante, che coincide con l’abisso di tutte le anime.
Non rileggetela tante volte questa frase: correreste il rischio di vedere destabilizzate molte strutture del vostro pensiero. Ma non dimenticatelo che siamo dentro l’infinita rete dell’Universo, dove tutto si tiene.

 

7-57, VII dell’Inferno e XXIII del Purgatorio: DESTINO E SORTE

… ché tutto l’oro ch’è sotto la luna… (7)
… quando tonda vi si mostrò la suora di colui… (57)
DANNATI AVARI E SPIRITI GOLOSI (Forese Donati)
Non basterebbe tutto l’oro che c’è sotto la luna per salvare questi dannati! (Avari e Prodighi)
La luna, sorella del sole, che si mostrò piena quando ho incontrato Virgilio.
La prima voce è quella di Virgilio, e la seconda è di Dante.

Sento già piovere sassi! Ma come si permette, signora mia! di uscire così proditoriamente dal contesto?
Primo: quando si esce dal letterale e si entra nell’anagogico, per forza si cambia contesto. Sta tutto dentro il progetto dell’Alighieri.
Secondo: si parla di Luna e di Sole e nella astrologia classica la Luna rappresenta la Sorte (detta anche Tukè o Fortuna) della quale si discorre lungamente nel settimo canto. Invece il Sole, fratello della Luna, rappresenta il Destino, al quale si fa ampio cenno nel canto cinquantasette (che anch’esso è diventato mercuriale, e quindi si scava molto sotto la superficie).
Terzo: Beatrice siede sul settimo canto, come custode del destino di Dante, e, se Luna è Fortuna, Sole è Destino. E per il destino ci vuole un Dàimon. Entità Angelica. Come è angelica la Fortuna, e questo lo spiega molto bene lo stesso Virgilio.
Noi siamo abituati a pensare che sorte e destino siano due vocaboli che significano la stessa cosa, e invece sono due cose ben diverse, che, tra l’altro, dovremmo ben imparare a riconoscere e controllare. Uno dei tanti segreti che ci siamo persi quando ci hanno portato via i Sentieri della Sapienza.

Maria Castronovo

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