La tradizione medioevale narra di un grande re dei Britanni che sconfigge i nemici Sassoni, unifica il proprio paese, fonda l’Ordine dei Cavalieri della Tavola Rotonda e costituisce un governo ideale a Camelot (la reggia di Artù è stata identificata da alcuni studiosi con  la fortezza neolitica di Cadbury, ai confini tra il Somerset e il Dorset, da altri con il castello di Greenan, a nord di Glasgow).

Per alcuni studiosi, Artù è un personaggio ispirato a Cu Chulainn , protagonista di poemi epici irlandesi; per altri un dio del pantheon celtico, forse il simbolo della terra stessa (Art = roccia, da cui Earth ), poi trasformato dalla leggenda in un essere umano. C’è invece chi ritiene che sia esistito veramente: nel VI secolo d.C. fu forse il re o il capo di una tribù britannica impegnata nella resistenza contro gli invasori Sassoni. Purtroppo dell’Artù storico – se mai c’è stato – si conosce ben poco: lo stesso nome “Arthur”, in inglese, non fornisce indicazioni sulla sua origine. Potrebbe derivare dal latino Artorius  (in tal caso Artù era forse un Comes Britanniarum , ovvero un rappresentante locale dell’Impero Romano), dal gaelico Arth Gwyr  (“Uomo Orso”), o ancora dal già citato Art  (Roccia  in irlandese).

Un principe britanno chiamato “Arturius, figlio di Aedàn mac Gabrain Re di Dalriada” è citato dall’agiografo Adomnan da Iona nella “Vita di San Colombano” (VIII° secolo); nella “Historia brittonum” (IX° secolo) lo storico Nennio racconta che il dux bellorum  Artorius era il comandante dei Britanni durante la battaglia contro i sassoni al Mons Badonis (Bath?); gli “Annales Cambriae” (X° secolo) descrivono la sua morte e quella del traditore Medraut (“Mordred”) nella battaglia di Camlann nell’ “anno 93” (539 d.C.?); ma altri storici dell’epoca, tra cui Gildas e il Venerabile Beda, non fanno alcun cenno a un condottiero chiamato Artù. All’Artù storico sono stati attribuiti convenzionalmente una data di nascita e di morte (475-542 d.C.), ma c’è chi lo identifica con personaggi più antichi.
Arthur diventa protagonista o comprimario di narrazioni gallesi intorno al 600 d.C.  Nell’XI° secolo era considerato dagli inglesi un eroe nazionale, e le sue imprese – diffuse dalle canzoni dei Bardi – erano note non solo in Gran Bretagna, in Irlanda, nel nord della Francia, ma anche nella lontana Italia: lo dimostra un bassorilievo sulla “Porta della Pescheria” del Duomo di Modena realizzato intorno al 1120 (e cioè con almeno dieci anni di anticipo sul ciclo di narrazioni scritte cui dette l’avvio Chretien de Troyes, il più grande scrittore medioevale di romanzi arturiani, originario della Champagne, attivo tra il 1130 e il 1190).

Ma l’Artù celtico-britannico era un personaggio che i romani avrebbero definito “un barbaro”: un re robusto e coraggioso quanto rozzo e incolto. La sua notorietà internazionale impose  quella che oggi definiremmo un’operazione di “rinnovamento dell’immagine” allo scopo di nobilitare la sua figura e farne il signore di Camelot.

Fu l’inglese Geoffrey di Monmouth a dare il via al processo che avrebbe trasformato Re Artù da monarca “barbaro” a simbolo messianico di Re-Sacerdote e i suoi cavalieri in un perfetto modello per le istituzioni cavalleresche medioevali (la Tavola Rotonda). Tra il 1130 e il 1150, nell’ “Historia Regum Britanniae”, nelle “Prophetiae Merlini” e nella “Vita Merlini”, Geoffrey tracciò una precisa quanto fantasiosa genealogia del sovrano, recuperò e interpretò in chiave cristiana (e non più celtica) Merlino e gli altri comprimari, e pose alcuni capisaldi del futuro ciclo, battezzando, per esempio, “Avalon” il sepolcro da cui Artù sarebbe risorto ” quando l’Inghilterra avrebbe avuto ancora bisogno di lui “.

Escalibur

La spada denominata Escalibur, il cui nome è stato recentemente interpretato da insigni celtisti come una sorta di crasi delle parole latine, ossia ensis caliburnus, cioè la “spada calibica” , cioè forgiata dai Calibi (antica e mitica popolazione della Scizia, di cui si dice, scoprirono il ferro e ne portarono l’uso fra gli uomini).

Massimo Valerio Manfredi, storico del mondo antico e scrittore di successo, nel suo ultimo romanzo “L’ultima legione”, che ruota intorno ad un gruppo di soldati romani lealisti che si assumono il compito di far fuggire e portare in salvo in Britannia l’ultimo imperatore romano, Romolo Augusto, deposto nel 476 d.C. da Odoacre, insieme al suo precettore Meridius Ambrosinus, immagina che Romolo Augusto rifugiatosi in Britannia divenga re con il nome di Pendragon e abbia un figlio di nome Artù, mentre in Meridius Ambrosinus adombra Myrdin o Merlino. Quanto a Escalibur il suo significato sarebbe “Cai.Iul.Caes.Ensis Caliburnus”, cioè la spada Calibica di Giulio Cesare, che, ritrovata casualmente da Romolo e portata in Britannia sarebbe stata scagliata lontano dallo stesso Romolo (Pendragon) in segno di pace, si sarebbe conficcata in una roccia e qui, esposta alle intemperie, avrebbe finito per lasciar leggere solo alcune lettere dell’iscrizione, e cioè: E S CALIBUR.

Il Santo Graal

Il termine Graal deriva dal latino Gradalis, con cui si designa una tazza, un vaso, un calice, un catino. Questi  oggetti nella mitologia sono i simboli del grembo fecondo della Grande Madre, la Terra, e portano vita e abbondanza. La coppa della vita dei Celti è il “Calderone di Dagda”, portato nel mondo materiale dai Tuatha De Danaan  rappresentanti ultraterreni del “piccolo popolo”(il magico popolo degli abitatori dei boschi, fate, streghe, gnomi e folletti). Molti eroi celtici hanno avuto a che fare con magici calderoni. La tradizione cristiana annovera almeno due sacri contenitori: il Calice dell’Eucarestia e – sorprendentemente – la Vergine Maria. Nella ” Litania di Loreto”, antica preghiera dedicata a Maria, essa è descritta comeVas spirituale, vas honorabile, vas insigne devotionis, ovvero “vaso spirituale, vaso dell’onore, vaso unico di devozione”: nel grembo (vaso) della Madonna, infatti, la divinità era divenuta manifesta.

Forse, quando, alla fine del XII° secolo, Chretien de Troyes decise di introdurre nella materia arturiana il motivo del “Vaso Sacro “, lo fece perché era al corrente dei miti celtici del Calderone e l’argomento gli sembrò particolarmente in tema. Forse esisteva già una tradizione orale sul Graal e Chretien si limitò a metterla per iscritto. Forse (è l’ipotesi più probabile) elaborò in termini cristiani le antiche leggende sui contenitori sacri. Il Graal arturiano fu descritto per la prima volta da Chretien intorno al 1190 in “Perceval le Gallois ou le Compte du Graal”.
La parola “Graal” è utilizzata con il significato generico di coppa e fa parte di un gruppo di oggetti egualmente dotati di poteri mistici, ma non ha comunque alcuna associazione con il sangue di Gesù.
Solo nel successivo “Joseph d’Arimathie – Le Roman de l’Estoire dou Graal”, un testo arturiano del cosiddetto “Ciclo della Vulgata” (dove però Re Artù non compare) scritto da Robert de Boron intorno al 1202, il Graal viene descritto come il calice dell’Ultima Cena, in cui Giuseppe d’Arimatea aveva raccolto il sangue di Gesù crocifisso.

Ma perché il calice fu portato proprio in Inghilterra? I sostenitori della sua esistenza materiale avanzano delle ipotesi piuttosto ardite. Durante gli anni sconosciuti della sua vita, prima della predicazione, Gesù avrebbe soggiornato per un certo periodo in Cornovaglia e avrebbe ricevuto in dono una coppa rituale da un Druido. Dopo la crocefissione, Giuseppe d’Arimatea, discepolo e forse zio di Gesù, avrebbe voluto riportarla al donatore ulteriormente santificata dal sangue di Cristo; il Druido in questione era Merlino, trait d’union  tra la religione celtica e quella cristiana (lo stesso che ritroviamo cinquecento anni dopo quale consigliere di Artù?). Comunque sia, le peripezie subite dal Graal dopo il suo arrivo in Inghilterra variano in modo considerevole a seconda delle varie fonti.  Ad ogni modo, secoli dopo, il Graal è, di fatto, perduto. Sulla Britannia si abbatte una maledizione chiamata dai Celti Wasteland (“La terra desolata”), uno stato di carestia e devastazione sia fisica che spirituale.

Per annullare il Wasteland – spiega Merlino ad Artù – è necessario ritrovare il Graal, simbolo della purezza perduta. Uno dei cavalieri della Tavola Rotonda, Parsifal, ispirato da sogni e presagi, superando una serie di prove, rintraccia Corbenic, il Castello del Graal e giunge al cospetto della Sacra Coppa. Non osa però porre le domande “Che cos è il Graal? Di chi esso è servitore?”, contravvenendo così al suggerimento evangelico “Bussate e vi sarà aperto”. Il Graal scompare di nuovo. Dopo che il cavaliere ha trascorso alcuni anni in meditazione, la ricerca riprende. Finalmente Parsifal (o Galaad) pone il quesito e il Wasteland finisce. Re Artù muore a Camlann e Merlino sparisce nella sua tomba di cristallo (o d’aria ). Il Graal viene riportato in medio oriente da Parsifal e Galaad. Per secoli non se ne sente più parlare, finché, verso la fine del XII° secolo, esso torna improvvisamente alla ribalta. Come mai? Cos’aveva ridestato l’interesse nei confronti di un mito apparentemente dimenticato? La maggior parte degli studiosi concordano nel ritenere le Crociate l’avvenimento scatenante. A partire dal 1095 molti cavalieri cristiani si erano recati in Terra Santa ed erano entrati per forza di cose in contatto con le tradizioni mistiche ed esoteriche del luogo: sicuramente qualcuna di esse parlava del Graal, un sacro oggetto dagli straordinari poteri. Grazie ai Crociati, la leggenda raggiunse l’Europa e vi si diffuse. C’è anche chi ritiene che il Graal sia stato rintracciato dai Cavalieri Templari (v. articolo in fondo alla pagina)  e riportato nel vecchio continente. In tal caso vi si troverebbe ancora. Innumerevoli i probabili luoghi in cui sarebbe stato nascosto, molti anche in Italia,  Torino, a Castel del Monte, nella nicchia del “Sacro Volto” a Lucca, nella cattedrale di Modena, sul cui portale sono riprodotti i cavalieri di Re Artù, nella cattedrale di Otranto, ove si trova un mosaico raffigurante Artù a cavallo di un gatto selvatico.  Ma uno dei luoghi più accreditati sarebbe la cappella di Rosslyn, costruita proprio dai discendenti dei Templari più di cinque secoli fa in terra di Scozia e resa celebre dal  famoso thriller esoterico di Dan Brown “Il Codice da Vinci”, ma prima di lui anche dai ricercatori britannici Knight e Lomas nell’affascinante indagine dal titolo “La chiave di Hiram”.

Ma non in tutte le tradizioni il Graal è un calice, infatti esso è stato associato anche a un libro scritto da Gesù Cristo alla cui lettura può accedere solo chi è in grazia di Dio .

Intorno al 1210, nel poema “Parzival”, il tedesco Wolfram Von Eschenbach conferì al Graal ulteriori connotazioni, non più una coppa, bensì ” una pietra del genere più puro (…) chiamata lapis exillis. Se un uomo continuasse a guardare( la pietra) per duecento anni, (il suo aspetto) non cambierebbe”. Il termine lapis exillis  è stato interpretato come “Lapis ex coelis”, ovvero pietra caduta dal cielo: e, difatti, Wolfram scrive che la pietra era uno smeraldo caduto dalla fronte di Lucifero e portato a terra dagli angeli rimasti neutrali durante la ribellione.

Dunque non si conosce esattamente la sua natura: forse è una pietra, forse è un libro, forse un contenitore; è certo che permette di abbeverarsi (l’ultima cena), ma vi si può anche versare qualcosa (il sangue di Cristo crocefisso). Può guarire le ferite, dona una vita lunghissima, garantisce l’abbondanza, trasmette e garantisce la conoscenza, ma è anche dotato di poteri terribili e devastanti. La tradizione sull’esistenza di un oggetto con questi poteri è antichissima e diffusa in una vasta zona dell’Asia, del Nord Africa e dell’Europa; il Graal è forse stato identificato con nomi diversi (la “Lampada di Aladino”, il “Vello d’Oro”, l'”Arca dell’Alleanza”).

Lo scrittore inglese Graham Hancock in “Il mistero del sacro Graal. Alla ricerca dell’Arca dell’Alleanza” (1995) ipotizza che il Graal simboleggi l’Arca dell’Alleanza, costruita dall’antico popolo israelitico per contenere le tavole dei Dieci Comandamenti, venerata nei secoli come simbolo della presenza di Dio sulle terra, dotata di poteri straordinari, inspiegabilmente scomparsa dal Tempio di Salomone nel sesto secolo prima di Cristo, senza lasciare traccia, ma che forse si trova attualmente in Etiopia ad Axum.

Ad ogni modo il Graal, con qualunque cosa si identifichi materialmente,   è un oggetto materiale e spirituale insieme.

Per gli antropologi è un corpus di dottrine elaborato attraverso i secoli. Per gli esoteristi Renè Guenon e Julius Evola, il Graal è il cuore di Cristo, potente simbolo della religione primordiale praticata ad Agharti, di cui Gesù sarebbe stato un esponente.
Per gli alchimisti rappresenta la conoscenza e la sua ricerca equivale a quella della Pietra Filosofale o dell’Elisir di lunga vita. Per Carl Gustav Jung è un archetipo dell’inconscio. Ci credeva e lo fece cercare anche Hitler per il quale era uno strumento magico con cui ottenere il potere assoluto. Per gli autori di romanzi di fantascienza e i fautori dell’ipotesi extraterrestre è un’apparecchiatura proveniente dallo spazio, o qualcosa che ha a che vedere con i terribili poteri della fusione nucleare.

E per i giornalisti Michael Baigent, Richard Leigh e Henry Lincoln è ancora un altra cosa. Infatti una delle possibili etimologie di Graal comprende l’attributo “San”: “San Graal” sarebbe l’errata trascrizione di “Sang Real”, ovvero “Sangue Reale” e designerebbe una dinastia (per l’occultista inglese, Dion Fortune, quella dei sacerdoti di Atlantide). La stirpe di cui i ricercatori Baigent, Leigh e Lincoln avrebbero scoperto l’esistenza, dopo un appassionata ricerca, sarebbe quella di Gesù. Salvatosi dalla crocefissione, avrebbe generato dei figli, da cui sarebbe nata la dinastia francese dei Merovingi. L’ipotesi, descritta in “The Holy Blood and the Holy Grail” (Il mistero del Graal, 1982) non si ferma qui. Certe misteriose carte rinvenute nel 1892 dal parroco Berenger Saunière dietro l’altare della chiesa di Rennes-Le-Chateau sarebbero state il punto di partenza per il ritrovamento di altri documenti i quali proverebbero che, lungi dall’essersi estinti nel 751, i Merovingi (e quindi gli eredi diretti di Cristo) sono ancora tra noi, accuratamente protetti da un’antica società iniziatica denominata Il “Priorato di Sion”.
Come i “Superiori Sconosciuti” di Agharti, i membri del Priorato – di cui sono stati Gran Maestri, tra gli altri, Nicolas Flamel, Leonardo da Vinci, Ferrante Gonzaga, Robert Fludd, Victor Hugo, Claude Debussy, Jean Cocteau – costituiscono una “Sinarchia” o governo occulto che, ormai da quasi un millennio, influisce sulle scelte (politiche o d’altro genere) dei governi ufficiali.
Purtroppo – fanno rilevare Baigent, Leigh e Lincoln nel seguito di “The Holy Blood and the Holy Grail”, intitolato “The Messianic Legacy” (L’eredità messianica, 1986) – negli ultimi tempi il “Priorato” si è parzialmente corrotto e alcune sue frange mantengono stretti contatti con la Mafia, la P2 e altre associazioni deviate.

CONCLUSIONI

Il Graal è un oggetto materiale e spirituale insieme. Non si conosce esattamente la sua natura: forse è una pietra, forse è un libro, forse un contenitore; è certo che permette di abbeverarsi (l’ultima cena), ma vi si può anche versare qualcosa (il sangue di Cristo crocefisso).
Può guarire le ferite, dona una vita lunghissima, garantisce l’abbondanza, trasmette e garantisce la conoscenza, ma è anche dotato di poteri terribili e devastanti.
In qualche modo ignoto Gesù ne è entrato in possesso.
Le varie leggende a proposito del Graal concordano nel conferirgli un’origine ultraterrena.
Per la tradizione cristiana, il Graal rappresenta l’evangelizzazione del mondo barbaro operata dai missionari, stroncata dalle persecuzioni e ripresa da un gruppo di uomini di buona volontà guidati da un sacerdote, Merlino.
Per gli esoteristi Renè Guenon e Julius Evola il Graal è il cuore di Cristo, potente simbolo della Religione Primordiale praticata ad Agharti, di cui Gesù sarebbe stato un esponente; per gli alchimisti rappresenta la conoscenza, e la sua ricerca equivale a quella della Pietra Filosofale o dell Elisir di lunga vita.

Fonte: www.bethelux.it
www.misteri.org



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