
L’ esperienza pura è il vivere senza interpretare. L’ignoto che diventa noto quando limitiamo la descrizione a parole dell’esperienza. Dare nomi e “parlottare” della propria sopravvivenza si chiama imprigionare e ridurre il mistero della vita.
Per molto tempo ho vissuto credendo nelle parole, e ancora possono piacermi, dopotutto il loro uso è un’arte magica. Ma di tanto in tanto devo abbandonarle per poter andare oltre. Immaginate un tuffo nell’infinito, un volo indescrivibile. Ora immaginate che le parole siano una catena legata alle gambe. Sì, c’è un limite che non si può recepire quando siamo legati alle parole, ma quando comprendiamo che possiamo abbandonarle si può andare oltre, e sentire, vivere. Il sentire e vivere sono esperienze essenziali, ma non possono essere condivise in tutta la loro complessità, perché sono al di là della catena limitata delle descrizioni. Visto che siamo esseri umani gregari ci sembra che queste esperienze trascendenti non abbiano una certa validità sociale, perché non possono essere condivise, non possono essere mostrate, raccontandole, per essere convalidate o contestate socialmente, a qualsiasi gruppo sociale apparteniamo.
In questo modo abbiamo scoperto che la catena della descrizione può essere la catena della prigione, che non ci permette di andare al di là di ciò che si può descrivere, ma può essere la catena sociale, che ci lega a tutto il resto dell’umanità in elementi descrittivi che consentono la condivisione di esperienze, la conservazione e la diffusione di informazione. Se da un lato la limitazione ci trattiene, dall’altro lei ci consente l’accumulo di conoscenza che può essere passata di generazione in generazione e che può essere migliorata, permettendo all’esperienza di alcuni esploratori di servire ad altri esploratori nella stessa forma, usando la stessa catena ma diminuendo la sua tensione. Permettendo all’umanità, come un corpo coeso, di andare sempre più lontano.
Nell’epoca del silenzio, che ha preceduto questa nostra era della ragione, le catene non esistevano, esistendo soltanto l’esperienza di persone che individualmente, in una sola vita, senza dipendere dall’esperienza precedente, la transcendessero personalmente e senza la necessità di condivisione. Molte esperienze potevano comunque essere vissute e trascese anche collettivamente. Di questi tesori di conoscenza, che tutte quelle persone hanno lasciato individualmente, e che le comunità hanno cercato di tramandare collettivamente, restano dei miti che rappresentano, senza una sistematica e lucida comprensione, un tentativo di descrizione che tuttavia non comunica metodi o tecniche per vivere le stesse esperienze.
Abbiamo storie di civiltà che partirono per un altro mondo, ma non sappiamo come hanno fatto, perché erano solo azione nel silenzio, la parola non ha consentito di lasciare una traccia per il futuro. Abbiamo storie di persone che hanno incarnato miti, che se ne sono andati senza lasciare traccia, ma non abbiamo piste del cammino percorso.
Per questo le generazioni, si sono sforzate, cominciando a lasciare indizi, prima, molto prima della parola, in disegni nelle grotte, nelle storie narrate in tradizioni orali e successivamente in scritti. Sono tracce. Tutto questo è però limitato e limitante, perché doveva essere descritto e, come detto, la descrizione imprigiona e riduce il potere delle cose, ma era un prezzo da pagare, accettato dagli antichi, affinché avessimo di fronte una possibilità di perfezionamento dei percorsi .
Ma in tutto il percorso ci sono pietre e la pietra della ragione è che lei, da strumento per migliorare la conoscenza, è diventata la regina di questo mondo. La ragione ha voluto spiegare tutto, imprigionare il potere di tutto, non solo il cammino verso l’altro lato. E alla fine, nella nostra generazione, la ragione ha già abbandonato la pratica di seguire il percorso verso l’oltre, evolvendosi solo per spiegare se stessa. Una ragione attuale che spiega la propria ragione, un sistema sociale che spiega se stesso, si giustifica dimenticando il motivo per il quale si era costituita tempo fa.
Gli strumenti, quando permeati di molto potere, possono trasformarsi in carnefici dei loro creatori e oggi la civiltà è schiava della ragione che è diventata fine a sé stessa e non un mezzo per le conquiste, già dimenticate, di evoluzione per la nostra civiltà .
Per questo le generazioni che verranno e a cui trasmettiamo le nostre personali esperienze è bene che le vivano insieme a noi, per poter trovare nuovi modi di condivisione e comunicazione che trascendano quelli limitanti e coercitivi di una mente tiranna ed egocentrica e per farla evolvere in una più ampia e libera consapevolezza.
Grazie a Max Matus