Avvolto da racconti di misteri, l’oracolo di Delfi è stato, per migliaia di anni, uno degli enimgmi più sconcertanti del mondo antico. Filosofi, mercanti, contadini e re, tutti salivano le scale di Delfi per sapere che cosa riservava loro il destino. Si credeva che gli dei parlassero agli uomini e che le loro parole salissero da una gorgogliante spaccatura nella roccia. Secoli dopo, cinque scienziati trovano la soluzione di questo enigma, in sostanza confermando quanto scritto dagli apologisti cristiani dei primi secoli.
L’origine di Delfi
Gli oracoli rappresentavano un aspetto fondamentale dell’antica religione e della cultura ellenica. Dopo alcuni rigorosi rituali, l’oracolo rispondeva ad una domanda personale posta da un pellegrino (sempre un uomo, non poteva essere una donna: domanda che in genere riguardava il futuro. La risposta si credeva provenisse direttamente dagli dei, attraverso la pizia o pitonessa.
L’oracolo di Delfi, situato su di un altopiano a 700 metri sopra il livello del mare, sulle pendici meridionali del monte Parnaso, vicino al golfo di Corinto, era venerato in tutto il mondo greco come la sede dell’omphalos (???????), l’”ombelico del mondo“, il centro dell’universo.
Tutti coloro che consultavano l’oracolo dovevano passare sotto un’iscrizione nel frontone del tempio, su cui erano incise parole interpretabili come un’esortazione o un’avvertenza: ????? ???????, “Conosci te stesso“.
Ebbe il suo apogeo nei secoli VII, VI e V avanti Cristo, quando era la più importante fonte di saggezza del mondo greco: ogni volta che era necessario prendere una decisione importante si inviava qualcuno a Delfi. Il pellegrinaggio rimase in vigore sino ai primi secoli dell’era cristiana.
Il culto apollineo di Delfi, secondo la mitologia, nacque quando Zeus ordinò al figlio Apollo, appena nato, di recarvisi. Gli fornì per il viaggio un carro trainato da cigni, ma questi condussero Apollo al lontano paese degli Iperborei, una regione situata in terre sconosciute a nord della Tracia. Il dio si presentò a Delfi con un anno di ritardo e arrivò in piena estate, quando la natura è esuberante; perciò, a partire dall’allora, tutti gli anni si celebrava l’arrivo della bella stagione con un sacrificio.
A Delfi esisteva già un antico oracolo di Temi (?????), dea della legge.
Apollo, prima di stabilirsi lì, doveva uccidere l’essere che custodiva il luogo: il drago o serpente Pitone. Il nome “pizia” o “pitonessa“, attribuito alle donne che interpretavano l’oracolo, derivò dall’animale che viveva nella caverna e che il dio Apollo uccise per impossessarsi della sua sapienza e sostituirlo nel controllo dell’oracolo.
Il tempio di Apollo era il luogo in cui la sacerdotessa consigliava gli uomini più potenti del mondo antico. Nove volte all’anno, nel settimo giorno del mese, che era considerato data di nascita di Apollo, la pitonessa entrava nella zona più remota e misteriosa del tempio, una sala nota come adython (“luogo in cui non si può entrare“), uno spazio sacro al quale poteva accedere solo lei.
Lì si sedeva su un tripode ed entrava in uno stato di trance o di deliquio, apparentemente posseduta dal dio Apollo.
Poteva profetizzare solo nell’adython. Il dio non parlava in alcuna altra parte di Delfi. Era l’unico luogo in cui la pitonessa riceveva il potere necessario con Apollo. (John R. Hale, Università di Louisville)
Gli scritti antichi
Si sa molto poco sui rituali che venivano seguiti quando l’oracolo cadeva in trance, e nessun autore greco o latino – nemmeno lo storico, biografo e saggista Plutarco, sacerdote a Delfi per quasi trent’anni – descrisse scene concrete.
Oltre a Plutarco, molti altri testimoni oculari come Strabone, Pausania, Platone e Diodoro Siculo scrissero di questo luogo, ma ci diedero pochi dettagli sul procedimento seguito dalla pitonessa per consultare il dio o su che cosa accadeva nella stanza segreta. Secondo le testimonianze, la pizia non era visivile; si udiva solo la sua voce.
Una tradizione dice che proprio lì il filosofo Socrate fu proclamato “il più saggio di tutti gli uomini” e che Alessandro Magno risalì le pendici del monte chiedendo – e ottenendo – l’assicurazione divina di vittorie costanti.
Per secoli si è ritenuta una verità storica lo stato di trance della pitonessa, confermato persino dagli scrittori cristiani del III e del IV secolo d.C. quali Origene e San Giovanni Crisostomo, che descrissero così il procedimento:
Il tripode della pitonessa o pizia si trovava su una spaccatura molto profonda della roccia. Da quella fenditura uscivano gas venefici che inducevano rapidamente nella donna uno stato di ubriachezza e disperazione insieme a grandi brividi, cadeva cioè in deliquio, era scarmigliata ed emetteva schiuma dalla bocca. Inoltre, masticava foglie di alloro, il che l’aiutava a raggiungere quello stato.
Tuttavia sino alla seconda metà del XX secolo gli archeologi rifiutarono queste tesi non riuscendo ad rintracciare la fenditura in questione, di conseguenza ritenendo gli scritti cristiani diffamatori e falsi, pure invenzioni per screditare l’oracolo pagano.
I ritrovamenti, le prove chimiche e la scoperta
Lo scetticismo degli studiosi verso gli autori cristiani ben presto fu costretto a mutare in approvazione, a seguito dei rinvenimenti occorsi negli ultimi decenni.
Prima d’arrivare al punto focale della situazione è giusto riassumere brevemente la storia degli scavi archeologici della zona.
Nel 1840 l’archeologo tedesco Karl Otfried Müller lavorò nei pressi di Kastri e scoprì, tra i ruderi del villaggio, una parte del grande muro poligonale che circondava il santuario. L’onore d’esser il primo a effettuare scavi a Delfi gli costò la vita: morì difatti per un colpo di sole.
Grazie alle sue scoperte tra il 1891 ed il 1894 un’equipe d’archeologi francesi, guidati da Théophile Homolle, riuscirono a localizzare e rinvenire la piattaforma del tempio e l’adython, seppur lo scavo si allagò poco tempo dopo.
Nel 1913 la stesso gruppo di studiosi, una volta ripulito il sito, iniziò le ricerche della tanto rinomata spaccatura nella roccia, non ottenendo tuttavia grandi risultati, tant’è che a quel punto si decise di scartare definitivamente la teoria dei gas tossici.
Nel 1950 l’archeologo francese Pierre Amandry sostenne che a Delfi, visto che non è una zona vulcanica, non si potevano verificare emissioni di gas e che la trance della pitonessa in vero era una sceneggiata voluta dai sacerdoti di Apollo. Di fronte a questa conclusione l’oracolo, un tempo tanto potente, fu relegato alla sfera della mitologia e della narrativa.
Il vero punto di svolta arriva nel 1985.
Il geologo Jelle Z. de Boer proprio in quel periodo stava lavorando su commissione del governo greco, il quale voleva costruire delle centrali atomiche sul territorio. Durante la prima visita di ricognizione gli operai notarono una spaccatura che dalla montagna si restringeva sino ad arrivare alle alla base del tempio. Le foto satellitari confermarono i sospetti.
Tra il 1995 ed il 1998 il geologo olandese decise di tornare a Delfi affiancato dall’archeologo John R. Hale, nella speranza di trovare ulteriori prove a sostegno della tesi sui gas venefici.
Nei sei mesi d’intense ricerche i due studiosi non trovarono una spaccatura, ma ben due che s’incontravano esattamente a Delfi; sotto alle fondamenta furono scoperti anche numerosi canali.
Lo studio dell’architettura dell’adython mise in risalto l’interessante peculiarità della costruzione: templi identici in antichità esistevano a Claro, Dydyma e Hierapolis. Proprio in quest’ultimo era presente una fenditura che sprigionava quantità di CO2 tali da poter uccidere qualunque animale si avvicinasse.
Con l’ingresso nel team del chimico Jeffry Chanton attorno all’anno 2000, grazie ad alcuni esami sul travertino, si riuscì a capire quale tipo di gas veniva sprigionato nella stanza della pitonessa: l’etilene. Le caratteristiche di questo particolare gas coincidevano esattamente con le descrizioni antiche, in particolar modo riguardo l’odore dolciastro.
L’incrocio delle due spaccature e il terreno di pietra calcarea bituminosa contribuivano a far si che dal letto roccioso uscissero gas quali l’etanolo, il metano e l’etilene, causando lo stato di confusione della pizia.
Nel 2003 la rivista “Scientific American” pubblicò il resoconto dei quattro membri della squadra con il titolo “Questioning the Oracle of Delphi“: gli apologisti cristiani erano stati di fatto riabilitati e la verità da loro scritta 1700 anni prima finalmente confermata.
Il declino e la fine di Delfi
Un ultimo elemento che vale la pena approfondire brevemente è quello della fine dell’oracolo di Delfi.
Per molti secoli la “colpa” era stata attribuita al Cristianesimo, colpevole d’aver distrutto qualsiasi tempio o idolo che non fosse conforme alla propria religiosità.
Ebbene, nel 1995 gli oceanografi dell’Università di Patrasso e Stephen Soter ebbero occasione di screditare questa tesi: grazie a delle rilevazioni nelle zone limitrofe e degli studi approfonditi sull’attività della terra riuscirono a risalire ad un terremoto avvenuto nel 373 dopo Cristo, il quale avrebbe modificato l’area impedendo la fuoriuscita di gas dalla fenditura cui era passato per secoli. Il terremoto chiuse di colpo l’apertura e l’emissione di gas diminuì notevolmente.
Non a caso dal 380 d.C. in poi il luogo fu quasi totalmente abbandonato.
L’ultima risposta ufficiale dell’oracolo risale al 362 d.C., fu consultato dall’imperatore Giuliano l’Apostata.
La testimonianza così recita:
Un emissario dell’imperatore chiese una profezia alla pizia. Lei rispose: “Di’ questo al re: il tempio glorioso è caduto in rovina; Apollo non ha più un tetto sul capo; le foglie degli allori sono silenziose, le sorgenti e i ruscelli profetici sono morti.” E l’oracolo ammutolì.