L’impazienza della crescita personale è una tensione che ci allontana dalla crescita vera e propria che invece è stare nel presente con tutto noi stessi.

L’impazienza di molte persone oggigiorno di fronte ai risultati che le varie tecniche dovrebbero portare, mi ha indotto a scrivere questo articolo per fare un po’ di chiarezza perché, tra legge d’attrazione e fisica quantistica applicata a casaccio, molte persone fanno della crescita personale non solo un lavoro, non solo un dovere, ma quasi “mi è dovuto”, infatti un interrogativo che mi sento rivolgere spesso è il seguente:

“Non capisco perché questa cosa non avviene, eppure IO l’ho chiesta all’universo!

Non c’è egoismo più grande.

Non c’è fraintendimento più grande.

Dovremmo parlare di “febbre d’attrazione”, vista l’esaltazione di certe persone.

Ma se proprio volessimo parlare di Legge d’attrazione, dovremmo tornare su un concetto detto e ridetto molte volte.

La mente è inconscia per il 95%.

Ne risulta che la maggior parte delle azioni, dei pensieri, sono inconsci.

Con questo non voglio dire che la Legge d’Attrazione non funziona, ma che è decisamente più importante focalizzarsi sui bisogni reali della persona e che invece la stragrande maggioranza delle persone si sofferma sempre e solo su “IO voglio questo”.

Ma se quello che vuoi non è in linea con ciò di cui hai davvero bisogno (e che il tuo inconscio sa cos’è) allora puoi arrampicarti su tutti gli specchi dell’Attrazione che vuoi, che tanto ciò che speri, non arriva.

Ed è giusto così. Sottolineiamolo.

È molto più importante svilupparsi in modo armonico, facendo della propria vita un percorso di crescita, che blaterare di evoluzione puntando sempre ai propri desideri egoici.

Qualche giorno fa in una trasmissione televisiva ho visto il caso di una madre che, non riuscendo ad avere figli, prima si è rivolta all’inseminazione artificiale, poi ha tentato la strada dell’adozione. Finalmente, quando le è stato affidato un bambino di origine russa, ha chiesto il divorzio dal marito ed è andata con un altro, pretendendo gli alimenti.

Ci sarà qualcuno che sicuramente sosterrà la tesi che l’anima del bambino ha scelto quel tipo di sofferenza e si è trovato in quella situazione come strumento di crescita, però a mio vedere, ci si potrebbe anche fare un’autoanalisi più approfondita ed evitare a tutti di soffrire per il proprio egoismo.

E se siete tentati di dire che questo mio sia un giudizio, semplicemente porto questo caso per illustrare il tema di oggi.

L’impazienza della crescita. Come se la crescita fosse dovuta. Come se per il solo fatto di avere espresso un proprio intento all’universo, allora l’universo si debba muovere per accontentarci.

Fortunatamente non funziona così, bisognerebbe capirlo.

Vedo molte persone che diventano insofferenti quando si trovano in questa situazione e “accelerano”.

Di primo acchito, verrebbe da pensare a Impatiens come fiore di supporto e sono le persone stesse a chiedermelo.

Ma così facendo stiamo sostenendo la tesi della ragione.

Diamo ragione al sentito del cliente e siamo in accordo alla sua credenza: l’universo ti deve dare cose perché tu le hai chieste.

Per buona sorte e grande impegno di Edward Bach, abbiamo i nostri amati fiori.

E siccome sappiamo che i fiori di Bach armonizzano le percezioni delle persone, potremmo dare Chicory, ad esempio, che ci aiuta a lavorare sul rapporto tra ciò che vogliamo per noi e ciò che ci serve davvero.

Oppure, se la persona non ha davvero idea di cosa l’universo abbia in serbo per lei, potremmo usare Wild Oat, che aiuta a focalizzarci su quello che davvero è importante, poiché sappiamo che Wild Oat è davvero dispersivo.

Ma la dinamica che più spesso si nasconde sotto questa presunta fretta è la voglia di sbarazzarsi di ciò che da fastidio.

Con diverse persone infatti, mi sono trovato in questa situazione, dove sotto la maschera della fretta di voler “essere Luce”, giungere “all’Amore universale”, si nascondeva invece l’incapacità di accettare una data situazione.

Il dialogo è più o meno questo:

Cliente: “Sto male, ma giuro … sto accettando questa cosa anche se mi da fastidio”.

Io: “Forse non l’hai ancora accettata definitivamente”.

Cl: “Cià, allora, quanto ci va dai! Su, sbrigati che voglio vivere!”

E questo dialogo l’ho sentito e fatto più volte.

In fondo noi parliamo del problema come se fosse un fastidio da eliminare e non una parte di noi che chiede di essere ascoltata e prima lo eliminiamo, e prima saremo guariti e potremo dedicarci a fare quello ch ci piace.

È chiaro che questo atteggiamento nasconde una incapacità di accettare la situazione con l’insegnamento che vuole portarci.

E l’insegnamento è cambiamento.

È per questo che il problema non se ne va. Perché noi non riusciamo a capire che esso è parte di qualcosa che dobbiamo imparare e che apprendere ci porterà necessariamente a cambiare interiormente, assumendo in noi l’atteggiamento che farà cessare la sofferenza.

Allora forse è Agrimony che dovremmo somministrare.

O Chestnut Bud. O entrambi.

Dovremmo aiutare la persona a prendere coscienza del comportamento di negazione nei confronti del problema che diventa apparentemente “fretta di risolvere”.

Come terapeuti, è nostro dovere indirizzarli verso la comprensione delle loro dinamiche personali.

Oltre la fretta di evolvere che tra l’altro, se guardata da un punto di vista filosofico, non ha senso poiché, se il presente è la dimensione in cui stare, la “fretta” viene o da un desiderio verso il futuro, oppure da un voler fuggire da un passato che non ci piace. Che ci ha infastidito.

Max Volpi

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