Con l’immaginazione costruiamo scenari ipotetici, mondi paralleli, tutti fatti di se … errore
Se non avessi fatto questa scelta, a quest’ora sarei …. Se avessi continuato a studiare, adesso dovrei … Se continuavo a stare con lei, sicuramente avrei …
Tuttavia, togliendo i mondi paralleli dei se esiste solo una realtà, solo una strada, ed è quella in cui ti trovi ora.
Non ce ne sono altre. Doveva andare così com’è andata.
In sostanza, per quanto possiamo immaginare delle conseguenze nelle “nostre” azioni, non sapremo in fondo mai cosa avverrà finché non stiamo nel momento. L’evoluzione di una conseguenza, è possibile solo se stiamo vivendo concretamente l’esperienza. Il resto è immaginazione che, per quanto magari possa avvicinarci statisticamente alla realtà, sarà sempre alterata e circoscritta nei nostri file – mentali, ovvero il nostro passato.
Ora, tutti cerchiamo un equilibrio, tutti noi vogliamo fare la scelta giusta. Io dico, con assoluta ed evidente certezza, che non possiamo mai sbagliare. Ciò che la mente stabilisce come errore è qualcosa legato ad un’ipotesi futura, dettata quindi da esperienze pregresse che congelano le infinite variabili possibili … oppure il non soddisfacimento, al passato, delle aspettative riposte nell’esperienza attuale. Potremmo perdere tutto, entrare in depressione rimanendo nostalgici nel pentimento di aver “sbagliato strada”.
“Ah .. se fossi rimasto al mio posto, a quest’ora non sarei in questa situazione avvilente …”
Oppure .. “fortuna che ho fatto la scelta giusta … altrimenti …”
Altrimenti cosa? Nel possibile mondo parallelo in cui si sarebbe sviluppata la nostra vecchia vita, possiamo sapere come si sarebbero evoluti i fatti? Certo che no.
Possiamo ipotizzare, ma sempre in relazione al passato. Dunque le nostre opinioni risultano distorte, frammentate, parziali, di parte.
Pur riposando nell’evidente certezza di questa verità, cioè che esiste una sola strada e non un apparente bivio, rimane tuttavia un’insoddisfazione di fondo. Non è vero?
Un “ma, un se, un però, un chissà …”
Consideriamo la diversità, lasciando perdere per un attimo la ricerca di una felicità assoluta, oggettiva, totale, a favore di una relativa, personale. Non me la sento di dire “la felicità dipende da ciò che sei, e non da ciò che fai o che hai”, e nemmeno “trova la felicità dentro di te” Semmai questo è un inizio. E’ innegabile che abbiamo diversità fisiche-mentali, e che ciò che fa stare bene me, potrebbe non soddisfare un’altro. Se quel disagio è presente, non bollatelo come “sbagliato”, non cercate di tapparlo fingendo una comprensione superiore. Non escludetelo solo perché mentale … non dategli nomi e accoglietelo, ospitatelo, amatelo, studiatelo. Se un ambiente fisico vi fa star meglio di un’altro, cosa c’è di sbagliato? Se un lavoro vi piace e un’altro no, cosa c’è di male?
Un illuminato sta bene ovunque sta? No, sta dove deve stare, male o bene che sia, perché sa che non potrebbe stare da nessun’altra parte che in questo posto in questo momento. Non immaginate un risvegliato come un santo che sorride sempre e ovunque, o che benedice tutto ciò che trova. Dunque, la ricerca di una soddisfazione personale non è qualcosa da rifiutare, da ripiegare, da “tappare”. Tutt’altro. Il riconoscimento della bellezza di fondo in quanto INCLUSIONE di tutti gli stati, negativi o positivi che siano, è illuminazione. Riposa, quindi, nell’evidente certezza che tutto è così come deve essere, anche nell’indecisione, nella sofferenza, nell’errore apparente e nella non completezza.
Questa completezza, racchiude anche la non completezza.
Gabriele Pintaudi
Sito: http://riscoprirsigabriele.blogspot.it/