Un esempio spettacolare dell’ego come interprete si può trovare nell’ego “spiritualizzato.” L’ego ordinario fa le cose che fa un ego ordinario: pensa troppo o troppo poco di se stesso; manipola gli altri e prova costantemente a guadagnarsi il posto più in alto; agisce in modo egoistico; mente, inganna e rubacchia. Ma l’ego spiritualizzato ha il suo gioco; parla in un tono caldo e spirituale; crea un certo splendore di facciata o un’aura che impara ad emanare; ha esperienze “intense” regolarmente; conosce la risposta dharmicamente corretta a ogni situazione. Chiunque abbia un’intelligenza minima può prendere l’insegnamento spirituale del dharma e manipolarlo da una prospettiva egoica. Llewelyn Vaughan-Lee racconta la morte del suo ego spiritualizzato.

Per molti anni trovavo importante il fatto che fossi un ricercatore spirituale. Questa era la mia identità. Un giorno dissi alla mia maestra, la signora Tweedie, “è un ostacolo questo?” Lei disse, “Si, mio caro. Per ora è una gruccia necessaria, ma poi se ne andrà.” Poi ebbi questa visione di una bara su cui era scritto “Aspirante Spirituale.” Quella visione mi diede molta più libertà di essere un essere umano semplice, comune, che ama Dio.

Ricercatore, pioniere, insegnante, maestro, saggio…l’identità con uno qualsiasi di questi ruoli è lo stesso materialismo spirituale. Ci sono molte persone che funzionano in modo appropriato ed efficace in questi ruoli, ma quando l’ego reclama queste identità come proprie, e le sbandiera in giro come fosse un pavone, qui sta la difficoltà. Vaughan-Lee continua:

Una delle cose più pericolose che ho trovato sono questi ego spiritualizzati – gente il cui ego non è più un ego normale a cui piace una bella macchina, o comprarsi un vestito nuovo o cose del genere, ma che ora è diventato un ego spiritualizzato ed ha esperienze spirituali. Vedi tutte le cose spirituali che queste persone conoscono e che desiderano ardentemente rivelarti. Se osservi attentamente noterai che queste persone sono leggermente squilibrate. Sono di solito eccessivamente entusiaste, e da loro viene fuori tutto di tutto. Sostituiscono un ego spiritualizzato a un’esperienza spirituale vera, ed è molto difficile per gli altri riconoscere la differenza.

L’ego non si rende conto che non può avere esperienze mistiche o diventare illuminato, e questa è la causa primaria della nascita dell’ego spiritualizzato e del materialismo spirituale in generale. Vaughan-Lee aggiunge:

Molte persone hanno un’esperienza momentanea di unione e poi tornano nel loro ego, ma l’ego non può avere un esperienza di unione perché la sua stessa esistenza sta nel fatto che è separato. In realtà queste esperienze di unione disturbano grandemente l’ego perché iniziano a minare la credenza dell’ego nella sua esistenza separata.

Il dialogo seguente tra Philip Kapleau Roshi e un allievo illustra questo punto.

Allievo: cos’è il satori?
Roshi: quando a un maestro Zen fu chiesto “cos’è il Buddismo?” rispose “Io non capisco il Buddismo.” Io non conosco il satori.
Allievo: se tu non capisci, chi può capire?
Roshi: perché non chiedi a qualcuno che dice di essere illuminato?
Allievo: tu sei illuminato?
Roshi: se dico di sì, quelli tra di voi che sanno se ne andranno via disgustati. Se dico di no, quelli tra voi che fraintendono se ne andranno via delusi.

Poiché l’ego non può avere esperienze mistiche o diventare illuminato, Kapleau Roshi non può dire di essere illuminato.

Vaughan-Lee descrive un’interazione simile tra Irina Tweedie e Bhai Sahib.

Un giorno Bhai Sahib stava dicendo a qualcuno che non era illuminato, che non aveva realizzato il Sé. Quando l’individuo se ne andò, la signora Tweedie, che gli stava accanto, si arrabbiò moltissimo. Sapeva che lui era uno sceicco incredibile, che era un’anima incredibile, allora disse “ma certo che lo sei! Hai realizzato il Sé! Sei illuminato.” Lui la guardò e disse che in quelle esperienze l’ “IO” non c’è. “Perciò, IO non ho realizzato nulla,” le disse.

Il maestro indiano contemporaneo Vimala Thakar sa che l’unico “qualcuno” che c’è da illuminare è l’ego. Delle sue esperienze descrive, “Il contenuto della coscienza nel corpo di Vimala è il “Nessuno” e in “Niente”. Come si può dire di essere una persona illuminata o un maestro veramente illuminato?”
Il vero mistico sa,” commenta Vaughan-Lee, “che “lui”, “tu”, “io” non potranno mai essere illuminati.”

Una delle cose che la gente non capisce è che non è l’ego ad avere un’esperienza mistica. Carl Jung spiega in modo magistrale la necessità di ricordare che l’ego – o chiunque tu credi di essere – è la mangiatoia in cui nasce il Cristo-bambino, ma non è il Cristo-bambino. C’è troppo fraintendimento su questo punto. Le persone credono di diventare illuminate.

Trungpa Rinpoche disse che l’ego che vuole avere un’esperienza di illuminazione è come se volesse “essere presente al proprio funerale.” Eppure prova a convincere l’ego di questo! L’ego non è solo presente nell’esperienza stessa, ma nel momento in cui questa esperienza essenziale svanisce, l’ego è tutto ciò che rimane. L’implicita realizzazione e il riconoscimento di qualcosa di Altro e Oltre, che era vero dell’esperienza, non è più presente come realizzazione e l’unica cosa che rimane è l’ego, che avanza orgogliosamente a grandi passi per prendersi i meriti dell’esperienza. Dice ancora Vaughan-Lee:

E’ molto, molto sottile il modo in cui, quando hai un’esperienza interiore puoi pensare “Ah! Ora sono questa persona spirituale. Ho avuto questa esperienza.” Un mio amico dice, “allora l’ego ti tira indietro per ammirare l’esperienza.” E’ un processo molto sottile avere l’esperienza e realizzare che non sei tu ad aver avuto l’esperienza e non lasciare che l’ego rimanga attaccato all’esperienza.

Un allievo descrive il processo per cui l’ego si prende i meriti dell’esperienza mistica nel modo seguente.

Personalizzare l’esperienza mistica e non riconoscere la sua origine sarebbe come un ramo di un melo che guarda se stesso e mentre ammira i suoi bellissimi fiori e foglie, decide di staccarsi dall’albero così può andarsene in giro per il mondo a mostrare i suoi fiori. È assurdamente ovvio con questa analogia che i fiori non dureranno a lungo senza l’albero, ma quando consideriamo noi stessi non è poi così chiaro. L’idea dell’emergere di qualcosa come risultato della connessione con una fonte più grande di noi e poi prendere le cose nelle proprie mani è ridicolo.

Per quanto possa sembrare ridicolo, è quello che fa l’ego. “Spesso penso a questa canzone,” ricorda Vaughan-Lee. “Non puoi andartene in paradiso su una sedia a dondolo, perché una sedia a dondolo non dondola così lontano.” E non puoi arrivare alla Realtà attraverso l’ego, perché l’ego non può raggiungere un altro piano di realtà perché è concepito per questo piano di realtà. L’ego non può avere un’esperienza spirituale. Può solo portare il riflesso di un’esperienza spirituale, poiché la mente ordinaria appartiene a un livello di dualità.”

Lozowick commenta che anche dopo quello che chiama “l’esperienza che mi ha spinto verso il mio lavoro di insegnamento” e quello che i suoi allievi considerano come il suo spostamento in un contesto illuminato, ancora pensava che fossa in qualche modo “lui” a irradiare l’insegnamento e la benedizione che venivano da lui.

L’ego dice, “questa gente mi ama. Queste persone vogliono darmi qualcosa.” Prima di connettermi veramente al mio maestro Yogi Ramsuratkumar, pensavo: “Ho questo grande splendore. Ho questo magnifico dharma.” Che stupido. Non siamo mai noi, perciò ti metti nei guai seri se inizi a prenderti la responsabilità dell’attenzione che attrai.

È difficile non rimanere sedotti. La veridicità e autenticità di queste esperienze è sconvolgente. C’è un’espansione in esse. Ci può essere la completa realizzazione che l’universo intero è nel proprio corpo, oppure si può avere esperienza dell’unione tra tutte le forme di vita. Tutto questo dà alla testa e ci vuole un altissimo grado di onestà individuale e coscienza per non prendere queste esperienze e usarle per puntellare l’ego, per rendere l’ego più forte. Più si lavora per contenere le energie superiori, più pericoloso è per l’ego identificarsi con il processo che si sta attraversando, che a un certo punto si riconosce come non essere il proprio processo personale. È un processo universale che è molto più grande di qualsiasi cosa con cui ci identifichiamo in questa incarnazione.

Sebbene l’ego non può mai essere illuminato, o diventare “spiritualmente evoluto,” l’ego spiritualizzato ben presto si prende gioco di sé e degli altri. All’occhio non allenato, le sue manipolazioni possono sembrare scollegate e la sua radiosità e generosità apparente sono difficili da mettere in discussione. L’altro aspetto dell’ego spiritualizzato che Llewellyn Vaughan-Lee enfatizza è che sebbene l’ego non può avere vere e proprie esperienze mistiche, può però sintetizzare la sua marca di spiritualità – ovvero delle imitazioni di ciò che è vero. In Cutting Through Spiritual Materialism, Trungpa Rinpoche spiega:

Se hai imparato una tecnica meditativa o pratica spirituale particolarmente benefica, allora l’atteggiamento dell’ego è in primo luogo di considerarla come un oggetto affascinante e in secondo luogo di esaminarla. Alla fine, poiché l’ego sembra solido e non può in realtà assorbire nulla, può solo mimare. Perciò l’ego prova ad esaminare e ad imitare la pratica di meditazione e il modo di vivere meditativo. Quando abbiamo imparato tutti i trucchi e le risposte del gioco spirituale, automaticamente proviamo ad imitare la spiritualità…comunque, non possiamo fare esperienza di ciò che stiamo provando ad imitare; possiamo solo trovare qualche zona all’interno dei confini dell’ego che possa sembrare la stessa cosa…

L’ego imita le esperienze e i gesti spirituali perché vuole i benefici che immagina che tali esperienze possano portare, ma non vuole sacrificare i propri meccanismi. “Diventiamo degli attori molto bravi,” dice Trungpa Rinpoche, “e mentre giochiamo a fare i sordomuti col vero significato degli insegnamenti, troviamo un po’ di conforto nel fare finta di seguire il percorso.”
Jack Kornfield discute questo principio illustrando gli insegnamenti Buddisti dei “nemici vicini.”

I nemici vicini sono qualità che emergono nella mente e che si mascherano da realizzazione spirituale vera, quando in realtà sono solo un’imitazione, che serve a separarci dal vero sentire piuttosto che connetterci ad esso. Un esempio di nemici vicini si può vedere in relazione ai quattro stati divini che il Buddha descrive della gentilezza amorevole, della compassione, della gioia empatica, dell’equanimità. Ciascuno di questi stati è un segno di risveglio e di apertura del cuore, tuttavia ciascuno stato ha un nemico vicino che imita il vero stato, ma che in realtà emerge dalla separazione e dalla paura invece che da una sincera connessione…ciascuno di questi nemici vicini può mascherarsi da qualità spirituale, ma quando definiamo spirituale la nostra indifferenza o rispondiamo al dolore con la pietà, stiamo solo giustificando la nostra separazione e usando la “spiritualità” come difesa…se non riconosciamo e comprendiamo i nemici vicini, questi indeboliranno la nostra pratica spirituale.

Gli individui che hanno spiritualizzato il loro ego si trovano in una situazione precaria e per nulla invidiabile, sebbene si immaginino di essere le belle della serata danzante spirituale. Hanno usato essenzialmente la spiritualità come un meccanismo di difesa per proteggere se stessi dal mostrarsi come invece sono veramente, che è l’essenza della spiritualità. Il loro ego che sa tutto è diventato talmente preparato nel campo della spiritualità e ha creato una tale corazza attorno ad esso che non c’è quasi verso per vedere che hanno manipolato la loro conoscenza a loro scapito. Poiché conoscono tutto – qualsiasi spiegazione dharmica, qualsiasi stato meditativo – non c’è un’apertura sincera per accorgersi che il loro “sapere tutto” è precisamente ciò che li ostacola nella loro vita spirituale. Gilles Farcet, uno dei quattro insegnanti responsabili del lavoro con degli allievi sotto la guida del maestro spirituale Arnaud Desjardins, condivide la sua scoperta di questo aspetto del materialismo spirituale nel suo lavoro con gli allievi.

Nel corso degli anni, quello che ho scoperto essere pericoloso da quando insegno ha a che fare con certe persone – di solito persone molto intelligenti – che pretendono di sapere e dico “pretendono” in modo sincero, perché queste persone si illudono. Si pongono rispetto a insegnamenti non dualistici, assoluti e rigidi in modo tale da credere di averlo capito. Non entrano però dentro la loro psicologia e non esaminano il proprio comportamento.

Questa strategia può essere molto sofisticata. Un uomo con cui lavoravo in un gruppo era intelligente e sofisticato. Non potevo dirgli cosa stesse facendo. Quando ho soltanto provato ad alludervi, l’ha subito coperto con un dharma sofisticato. Era impossibile penetrarlo. Era ovvio che la sua strategia era quella di rimanere nel controllo. Ho notato che la maggior parte delle persone che usa questa strategia sono persone che hanno molto da perdere in termini di perdere la faccia se vengono davvero confrontate su quello che succede dentro di loro.

Di solito queste persone hanno visto qualcosa che non è totalmente falso. Hanno percepito qualcosa, ma proprio perché sono così sensibili, hanno fatto ricorso agli insegnamenti spirituali come strategia di sopravvivenza. Non hanno fatto il lavoro necessario per affrontare la verità sui loro meccanismi psicologici, per cui vogliono aggirarli. Trovo che questo tipo di strategia sia molto più pericolosa delle esperienze mistiche fantasiose che non durano. Questo tipo di persona fa molto per danneggiarsi e a volte anche per danneggiare gli altri.

Uno studioso e allievo dell’ Advaita-Vedanta si riferì alla tipologia di ego nella descrizione di Farcet come a “ego antiproiettile.” Questi sostiene che quando un individuo non ha un contesto per comprendere la natura delle esperienze e degli insegnamenti spirituali (e anche quando lo ha), l’ego prende le esperienze e gli insegnamenti che riceve, li raggruppa e li fa orbitare intorno a se stesso. Poi li assimila a un ego “a prova di proiettile.” Quando l’ego stesso è composto dalle esperienze e dagli insegnamenti, niente all’infuori di un piccolo miracolo riuscirà a penetrarlo. Fin troppo consapevole della natura insidiosa dell’ego, Llewellyn Vaughan-Lee insiste che, per il bene del lavoro spirituale, l’individuo se la caverebbe molto meglio con un ego comune che con un ego spiritualizzato.

Ancora una volta, il pericolo è sempre quello di spiritualizzare l’ego, di diventare una “persona spirituale.” Dico sempre che è molto più facile se hai una buona identità mondana perché è molto più semplice sbarazzarsene, ma di una identità spirituale è difficile liberarsi.

La possibilità che l’ego sia capace di tali trucchi intricati per innalzarsi allo status spirituale elevato è plausibile per chi ha familiarità con i suoi meccanismi, ma una tale assurdità non entrerebbe mai nella mente del turista spirituale comune. Finché l’intero contesto di qualcuno non si sposta sul riferimento a Altro o a Dio, l’ego interpreterà le esperienze spirituali sempre nei modi che servono meglio ai suoi scopi. Vi sono tracce evidenti di materialismo spirituale in tutte le tradizioni e in tutte le culture. Rivendicare il territorio spirituale di cui l’ego si è appropriato richiede l’affinamento della capacità di riconoscere quando l’ego sta mandando avanti lo spettacolo e la volontà di mettere in discussione le supposizioni che facciamo sulla base delle interpretazioni e del programma dell’ego.

Estratto dal libro di Mariana Caplan

Tra Cielo e Terra
Gli errori della ricerca spirituale e le pretese premature di illuminazione

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