Nel 1944 veniva dato alle stampe, presso i Fratelli Bocca di Milano, un aureo libretto dalla veste tipografica assai dimessa e privo del nome dell’autore.
Si intitolava Il Kybalion e recava come sottotitolo: La filosofia ermetica dell’antico Egitto e della Grecia. Al di sopra del titolo, la dicitura: Tre iniziati: dunque, gli autori, anonimi, erano tre.
Sfogliando le prime pagine, il lettore apprendeva che il titolo originale dell’opera era The Kibalyon, e che il testo presentato era stato tradotto in italiano da Remo Fedi.
Tre autori ignoti, quindi, di nazionalità anglosassone, dato che avevano scritto l’opera in inglese.
Si ignora l’esatto significato del nome Kybalion; si sa soltanto che, secondo i cultori della filosofia ermetica, tale era il titolo di una raccolta di insegnamenti che si tramandava dalla lontana antichità e che era attribuita direttamente ad Ermete Trismegisto.
Strano libro; strane circostanze di pubblicazione; tre autori che avevano voluto mantenere l’incognito, come d’abitudine nei circoli iniziatici, dove non si lavora per la propria gloria e dove, soprattutto, non ci si considera i «veri» autori degli insegnamenti esoterici, bensì dei semplici trasmettitori di una sapienza antichissima: la Tradizione primordiale, trasmessa oralmente da innumerevoli generazioni.
Anche la dedica dell’opera, A Ermete Trismegisto, noto agli antichi egiziani come il «più grande dei grandi» ed il «maestro dei maestri», allude all’estrema antichità della Tradizione iniziatica, che avrebbe mosso i primi passi sulle rive del Nilo o forse prima ancora, nel perduto continente di Atlantide.
Se, poi, si volesse tentare di risalire indietro nel tempo per individuare, con uno sforzo supremo, le radici ultime di un tale sapere, allora bisognerebbe arrestarsi come davanti a una soglia proibita: perché la caratteristica fondamentale della Tradizione è, appunto, quella di avere una origine non-umana. Così la definisce uno dei più grandi iniziati dei nostri tempi, il francese René Guénon, in alcuni passaggi delle sue opere (raccolti in Pensieri sull’esoterismo, Fratelli Melita Editori, Genova, 1988, pp. 273-274)
La Tradizione, lungi dall’essere un ostacolo agli adattamenti che le circostanze esigono, ha sempre fornito il principio adeguato di tutti quelli che si sono rivelati necessari (da:Oriente ed Occidente, 1924, trad. ital. Torino, 1965, p. 227).
La Tradizione ammette tutti gli aspetti della verità, non opponendosi a nessun adattamento legittimo (id., p. 235).
La Tradizione, nella sua integralità, forma un insieme perfettamente perfettamente coerente, ciò che non significa sistematico (da: L’Uomo e il suo Divenire secondo il Vedanta, 1925, trad. ital. Torjo, 1965, p. 18).
Nella confusione mentale caratterizzante l’epoca nostra si è infatti giunti ad applicare indistintamente questa parola, Tradizione, ad ogni sorta di cose, a cose spesso insignificanti, a semplici costumi privi di ogni portata e spesso di origine affatto recente (da: La Crisi del Mondo Moderno, 1927, trad. ital. Roma, 1972, p. 50).
L’origine della Tradizione, se pure la parola origine ha ancora in simili casi una ragion d’essere è non-umana come la metafisica stessa (da: La Metafisica Orientale, 1939, trad. ital. inRivista di Studi Tradizionali, 1944, 1976, p. 20). L’idea di tradizione è stata a tal punto distrutta che coloro i quali aspirano a ritrovarla non sanno più da quale parte dirigersi e sono pronti ad accogliere tutte le false idee che saranno presentate loro in sua vece e sotto il suo nome (da: Il Regno della Quantità e i Segni dei Tempi, 1945; trad. ital. Torino, 1968 p.253).
Tutti gli impieghi abusivi della parola Tradizione possono, in proporzioni variabili, servire a questo scopo, a cominciare dal più volgare d tutti, quello che la fa sinonimo di costume e di uso (id., p. 254).
Il nome di Tradizione si applica a ciò che, nel suo fondo stesso è restato tale quale era all’origine; si tratta dunque effettivamente di qualche cosa che è stato trasmesso, se si può dire, da uno stato anteriore dell’umanità allo stato suo presente (da: Considerazioni sulla Via Iniziatica, 1946; trad. ital. Milano, 1948, p.88).
La Tradizione comprende non solo tutto quello che vale di essere trasmesso, che veramente può esserlo, poiché il resto ciò che è sprovvisto di carattere tradizionale e che di conseguenza cade nel punto di vista profano, è tanto dominato dal cambiamento che ogni trasmissione ridiventa ben preso un anacronismo puro e semplice o una superstizione nel senso etimologico della parola (id., p.90).
Pur attraverso ogni successivo adattamento, la Tradizione non può che affermare di diritto, se non di fatto, che il suo punto di vista è realmente valido per tute le cose, e che la sua sfera di applicazione le comprende tutte in egual misura (da: Iniziazione e Realizzazione Spirituale, 1952; trad. Ital., Torino, 1967, p.p. 102).
E ancora (Op. cit., p. 274): Ogni tradizione va considerata nella sua integralità e non è il caso di chiedersi che cosa in essa sia primitivo o no, dato che si tratta di un insieme perfettamente coerente e nel quale tutti gli impliciti punti di vista possono essere considerati tanto simultaneamente quanto successivamente (da: Introduzione Generale allo Studio delle Dottrine, 1921; trad. ital. Torino, 1965, p. 160).
L’unità essenziale e fondamentale di tutte le tradizioni permette spesso, grazie ad un uso sensato dell’analogia e tenuto conto della diversità degli adattamenti, di interpretare le concezioni a cui si ricollegano originariamente le usanze prima di essere ridotte al rango di «superstizioni» (id., p. 277). Ciò che in ogni tradizione è più elevato può essere nello stesso tempo ciò che è più facilmente afferrabile e assimilabile, indipendentemente da ogni considerazione di razza o di epoca ed alla sola condizione di una sufficiente capacità di comprensione (da: Oriente ed Occidente, cit., p. 168).
Una tradizione completa può comprendere aspetti complementari e sovrapposti, i quali, riferendosi a domini essenzialmente distinti, non possono essere in contraddizione, né entrare in conflitto l’uno con l’altro (id., pp. 181-182).
Due tradizioni vere non possono in nessun caso opporsi come contraddittorie (id., p. 2119).
In ogni caso, se tra due tradizioni si scopre una contraddizione apparente, occorre trarne la conclusione, non che una è vera e l’altra è falsa, ma che almeno una di esse è stata compresa in modo imperfetto (id., p. 212).
Se un’intesa tra i rappresentanti delle diverse tradizioni è possibile, e noi sappiamo che in linea di principio nulla vi si oppone, essa non potrà venir realizzata che dall’alto, di modo che ciascuna tradizione conserverà sempre integralmente la propria indipendenza e con essa le forme che le sono proprie (id., p. 214).
Ogni tradizione contiene, sin dall’origine, tutt’intera la dottrina comprendendo da principio la totalità degli sviluppi e degli adattamenti che potranno legittimamente procederne nel corso dei tempi, così come le applicazioni cui essa può dar luogo in tutti i domini (da: Il Regno della Quanità. Cit., p.98).
È evidente, da quanto si è visto, che la concezione evoluzionistica della biologia non può in alcun modo conciliarsi con l’idea iniziatica. Quest’ultima, infatti, presuppone che il livello di consapevolezza dell’uomo sia progressivamente scemato, e non che si sia accresciuto.
Secondo i cultori della Tradizione, essa fu trasmessa ad una umanità assai più evoluta, in senso spirituale, di quanto non lo sia oggi, quando pochi maestri in incognito ne tengono viva la fiamma, in un mondo che è divenuto ormai totalmente profano.
Ma torniamo al libro del Kybalion.
Oggi sappiamo che i «tre iniziati» erano tre americani: William Walker Atkinson, Paul Foster Case e Mable Collins.
Essi presentavano quel testo come un completamento della più importante opera ermetica, la Tavola Smeraldina; ed esponevano le principali tappe per acquisire la piena conoscenza dei rapporti fra l’essere umano e il mondo della natura, realizzando così la condizione di «re dell’universo materiale».
In particolare, veniva dedicato un capitolo all’esposizione di ciascuno dei sette principi capitali della filosofia ermetica. Li riassumiamo brevemente.
Il primo principio è quello del mentalismo, che si può sintetizzare nella formula «tutto è spirito» ed esprime la consapevolezza che l’Universo è, nella sua vera ed intima sostanza, mentale; e che, di conseguenza, «tutto è in tutto» (solo a questo primo principio, considerato il più importante perché comprende, in un certo senso, anche i successivi, vengono dedicati ben cinque capitoli; mentre a ciascuno degli altri sei principi, uno soltanto). È importante, inoltre, riflettere che se tutto è nel Tutto, è altrettanto vero che il Tutto è in tutto. Tradotto in termini religiosi, si potrebbe anche dire pertanto, che ogni cosa è in Dio e che Dio è in ogni cosa.
Il secondo principio è quello di corrispondenza, che si può esprimere nella ben nota formula alchemica: «Ciò che è in alto è uguale a ciò che sta in basso, ciò che sta in basso è uguale a ciò che è in alto.» Tutti i fenomeni dell’universo, inoltre, si possono raggruppati in tre grandi categorie, relative ai tre piani di realtà: fisico, mentale e spirituale.
Il terzo principio è quello della vibrazione. In base ad esso, ogni cosa vibra, ogni cosa è in movimento; e non c’è nulla, nell’Universo, che permanga in uno stato di quiete. Come ha ben detto uno scrittore ermetico,«chi comprende il principio della vibrazione, ha afferrato lo scettro del potere».
Il quarto principio è quello di polarità. Esso afferma che tutto ciò che è esiste è doppio, ogni cosa ha due poli, due lati, due aspetti, formanti una coppia di opposti. Tutto è duale, ma il simile e il dissimile sono uguali; gli opposti sono identici di natura, ma differenti di grado; gli estremi si toccano, e tutte le verità non sono altro che mezze verità. Tutti i paradossi, infatti, possono essere conciliati.
Il quinto principio è quello del ritmo. Vi si enuncia che tutto scorre, tutto ha una durata, tutto conosce un processo di sviluppo e, poi, di degenerazione. Come l’equilibrio del pendolo, il quale, nella sua oscillazione, misura un movimento di pari ampiezza sia verso destra che verso sinistra, così ogni cosa possiede un ritmo costante. Tutto fluisce e rifluisce: ogni cosa ha le sue fasi; tutte le cose s’innalzano e cadono; il ritmo si compensa da sé.
Il sesto principio è quello della causalità. Ogni cosa possiede la propria causa e il proprio effetto; non esiste il caso, poiché dietro questa parola si celano delle leggi ancora sconosciute all’uomo. È vero, piuttosto, che esistono diversi piani di causalità, e non uno solo; ma resta il fatto che niente di ciò che esiste può sottrarsi alla legge della causa e dell’effetto.
Il settimo principio è quello del genere. Esso dice che il genere si trova in ogni cosa, che tutto ha il suo principio maschile e il suo principio femminile; che i due generi sono sempre presenti ed attivi in tutte le fasi dei fenomeni; e che il genere si manifesta su tutti i piani di vita.
Fonte: http://risvegliodiunadea.altervista.org/
In chiave moderna Mel Gill ha pubblicato Meta Secret,
semplificando il testo Ermetico,
ovviamente l’eccellenza rimane sempre il Kibalion.
In questo libro ci sono le altre sei.
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