Tutti dicono che bisogna lasciare andare… oggi va di moda dirlo dappertutto, gridarla ai quattro venti, raccontarcela nei salotti buoni ma… perchè?
Ci raccontiamo che serve per poter essere leggeri, per poter fluire meglio nella vita, per poter affrontare meglio la vita, per liberarsi dai pesi, dal passato, da tutto quel che impedisce un “viaggio” proficuo e realizzante.
Ma cosa si deve lasciare andare?
Normalmente si è portati a pensare di, dover lasciare andare le cose materiali della vita…
lasciare andare un partner che ormai “non amiamo più(ne sei sicura/o?)”
lasciar andare un lavoro che è diventato troppo pressante
lasciar andare un bene materiale che stiamo difendendo con tutto noi stesso e che ci sta sfinendo
lasciare andare la ricchezza
lasciare andare qualcosa di materiale…
ma siamo sicuri di aver capito davvero il senso profondo del… lasciare andare?
Ci siamo chiesti almeno una volta perchè stiamo soffrendo per questa situazione che… vogliamo lasciar andare?
E, se ce lo siamo chiesto, qual’è stata la risposta che ci siamo dati?
Siamo rimasti ancora nell’idea che, questa “cosa materiale e tangibile” che ci sta facendo soffrire (e che dovremmo(?) lasciare andare) sia la vera causa delle nostre sofferenze?
Cioè… siamo ancora convinti che, le nostre sofferenze siano causate da qualcosa che è materiale e che sta al di fuori di noi stessi?
Quante volte abbiamo visto persone che lasciando andare una situazione della vita, dopo poco tempo, al massimo un paio di anni si sono ritrovati in qualcosa di totalmente nuovo ma con la stessa sofferenza di base dalla quale sono “scappati”?
E ancora peggio, quante volte abbiamo visto persone che finalmente libere da qualcosa di materiale che hanno lasciato andare si sono ritrovate catapultate in una qualche malattia a volte anche grave?
Quante volte abbiamo detto… “adesso che si era liberato da quel problema si è ammalato e manco mò si può godere la vita”…
quante volte abbiamo visto dinamiche simili?
Se pensiamo che, il lasciar andare sia un liberarsi da un problema materiale, stiamo sostanzialmente scappando, lo stiamo facendo in un modo sicuramente più elegante… ma comunque stiamo sempre e semplicemente… SCAPPANDO.
Scappare dalle situazioni della vita che ci fanno soffrire, non porterà mai a nessuna guarigione e presto si ripresenterà lo stesso malessere di base con anche un pò di aggravamento.
Non sempre ci renderemo conto dell’aggravamento perchè nel frattempo la nostra “soglia di sopportazione” si sarà un pò elevata, ma credetemi, le situazioni si aggraveranno sempre di più.
Anche le malattie sono il frutto di qualcosa che… ci ha tenuti sotto pressione per troppo tempo, cose che avremmo fatto bene a, lasciar andare… ma non certo i fatti materiali, anzi, quelli, i fatti materiali che ci fanno soffrire, dovremmo benedirli e tenerceli stretti stretti perchè “in quella sofferenza c’è la chiave di ogni causa della stessa sofferenza”.
PierGiorgio Caselli, nel suo video “le dinamiche del corpo di dolore” che vivamente vi consiglio di vedere, spiega molto bene il perchè della necessità di attraversare il proprio dolore.
A parole mie io dico…
non potrai mai scappare da qualcosa che ti fa soffrire fino a quando non l’avrai risolta dentro di te.
Puoi cambiare le situazioni esterne, ma non cambierai mai l’emotività che quella stessa situazione ti genera dentro se non la comprendi nella sua profondità.
Tutto quello che ci succede quotidianamente e soprattutto quel che ci fa soffrire non è altro che il frutto di una nostra personale focalizzazione mentale che, a sua volta, ha “il compito(sottinteso)” di materializzare una nostra sofferenza interiore. Non è la situazione esterna che ci fa soffrire, ma solo “il nostro modo di vederla”, la nostra focalizzazione mentale.
Ogni sofferenza è un richiamo ad una sofferenza interiore, se non fosse così, la eviteremmo tranquillamente.
Il nostro inconscio ha una capacità incredibile (per la mente) di vedere “oltre il tempo e la materia” e di anticipare ogni problema facendocelo evitare e… anche quando non fosse proprio possibile evitarlo, riesce a metterci sempre nella condizione di non soffrirne più di tanto. Quando invece la sofferenza la sentiamo, la vediamo, la viviamo in noi stessi, allora vuol dire che ci riguarda, ma non a livello materiale, bensì a livello interiore, cioè, c’è qualcosa in noi che ha letteralmente bisogno di quella sofferenza per potersi esprimere.
Il meccanismo però è molto più semplice di quel che sembra, se solo riuscissimo a vederlo nel momento in cui inizia la manifestazione.
Seguimi bene in questo passaggio…
C’è un momento, che può essere di un tempo variabile da pochi attimi fino a qualche secondo in cui, all’inizio di una sofferenza, noi abbiamo una specie di silenzio interiore in cui emerge un ricordo molto chiaro di un evento della nostra infanzia.
Sono attimi, raramente durano alcuni secondi, sono momenti in cui, noi riviviamo qualcosa della nostra infanzia. Se ce ne accorgiamo e non interveniamo con la nostra mente, in quel momento vediamo la causa della sofferenza che da lì a pochi secondi si materializzerà nella quotidianità che stiamo vivendo in quel momento.
Abbiamo praticamente appena visto il copione che stiamo per mettere in scena.
Si, un copione, come in un film.
Questo è quello che facciamo quotidianamente, recitiamo un copione, anzi, una serie di copioni.
Non è un solo ricordo ad affiorare quotidianamente ma una quantità da impazzire, si dice che abbiamo quotidianamente almeno 60,000 (si, hai letto bene, sessantamila) pensieri al giorno ma in realtà, sono 60,000 richiami alla nostra infanzia, richiami a cose che nell’infanzia non abbiamo compreso e che attraverso la focalizzazione mentale di oggi vogliamo in qualche modo rivivere per poter rivedere la scena nella speranza di comprendere quel che ci è sfuggito nell’infanzia.
Se ci pensiamo bene, siamo semplicemente geniali, riuscire a pescare dalla scena quotidiana tanti particolari per poter ricomporre una scena e rivivere cose del passato, escludendo tutto il resto che comunque è sempre lì presente, solo che in quei momenti di focalizzazione mentale non lo vediamo più… è semplicemente straordinario… Geniale.
Ogni cosa che facciamo in qualche modo può richiamare un ricordo del passato, anche le cose che fanno gli altri, anche un rumore con una frequenza particolare, un colore particolare, un oggetto, una breve sequenza di parole, una voce simile a qualcosa che abbiamo sentito nella nostra infanzia, una combinazione di odori, una sensazione tattile, una espressione particolare… qualunque cosa, in qualche modo richiama qualcosa della nostra infanzia e attraverso questo richiamo, se la cosa è di importanza rilevante, la nostra mente comincia a focalizzarcisi cominciando a ricercare sempre più particolari simili o assimilabili, fino a spingere perfino gli altri presenti sulla scena a fare o dire qualcosa per fare in modo che la scena diventi sempre più completa, più coerente con il ricordo che vogliamo riesumare, fino a quando qualcuno dei presenti, sentendosi troppo pressato esploderà in qualche comportamento che… o ci richiamerà il senso della scena che volevamo rivedere e rivivere… oppure sarà così tanto incoerente con la nostra sceneggiatura interiore (con il copione che volevamo rivedere) che inizieremo a bollarla come asociale o qualcosa di simile…
Ma in realtà, abbiamo visto davvero cosa stava succedendo?
Mi viene in mente un classico… la sofferenza da abbandono (blocco emotivo dell’abbandono).
Chi ne soffre fa cose a volte davvero assurde fino a spingere qualcuna delle persone importanti della sua vita ad andare via oppure… fino a trovare così tante scuse e motivazioni per essere lei/lui stessa/o ad abbandonare la scena… ma tutto questo, per inscenare semplicemente la scena dell’abbandono che ha vissuto nella sua infanzia.
N.b.
Non sempre la persona che soffre di un blocco emotivo ha vissuto realmente quella scena E QUINDI, NON SEMPRE come NEL CASO DELL’ABBANDONO, la persona è STATA REALMENTE ABBANDONATA ma se, come già ho scritto in qualche altra pagina, per esempio… il primo giorno di asilo, il bambino si è sentito abbandonato dalla madre nel momento in cui l’ha lasciato con la maestra… di sicuro non c’è stato un reale abbandono, ma il bambino l’ha vissuto come tale e fino a quando non l’avrà compreso che non era realmente tale, continuerà a voler rivedere la scena di quel momento, proprio per comprenderla… per comprendere questo suo ricordo della sua infanzia, di quando lui era bambino… e quel momento in cui capirà cosa realmente è successo, potrebbe anche non arrivare mai se non ci si cala in quel ricordo “nel giusto modo” per rivivere letteralmente la scena che continuamente cerchiamo di inscenare.
Quindi, anche le fantasie di quando eravamo bambini hanno contribuito a creare i nostri blocchi emotivi che hanno poi generato in noi sia le credenze limitanti che quelle incentivanti… ma comunque, un sistema bloccato di interpretare le cose.
bambino…
qual’è qui il problema?
Perchè dopo avere inscenato un abbandono non la smettiamo di rincorrere sempre la stessa sceneggiatura?
Perchè, chi soffre di un blocco emotivo importante continua a manifestarlo più e più volte?
Perchè continuiamo sempre nella stessa modalità di interpretazione delle cose tanto da estrarre sempre e solo quei particolari che ci riportano sempre alla stessa sofferenza?
Cosa non abbiamo capito e perchè non abbiamo ancora capito anche dopo decine e a volte migliaia di ripetizioni sempre della stessa sceneggiatura?
Perchè questo sistema, questo modo di rivivere le cose così spontaneo e naturale non funziona e non produce il risultato che dovrebbe?
Il problema è che siamo totalmente orientati a “vedere fuori da noi stessi”, siamo totalmente proiettati a vedere fuori, a vedere gli altri, a vedere le cose esterne, ad usare i nostri 5 sensi e non lo facciamo nemmeno nel migliore dei modi, siamo totalmente orientati lontani da noi stessi.
La mente, la nostra mente, è stata “educata” fin dall’asilo a vedere gli altri, a sostenere il confronto con il bambino più bravo dell’asilo, a dover vedere come fanno gli altri, ad imparare come fanno gli adulti, ad imparare le cose degli adulti… siamo stati totalmente indottrinati a NON VEDERE Più NOI STESSI semplicemente perchè noi eravamo bambini e alla società i bambini non servono a niente… alla società servono gli adulti produttivi.
La mente, dovrebbe essere solo un osservatore e come tale, dovrebbe osservare tutto, sia dentro che fuori e soprattutto, dovrebbe osservare prima dentro per poi vedere fuori quel che le è eventualmente sfuggito dall’interno. Un altro problema è che siamo anche dei pessimi attori ed ancora… che siamo assolutamente inconsapevoli di essere degli attori, cioè di stare recitando una sceneggiatura scritta da noi stessi quando eravamo bambini… quando eravamo troppo impegnati a crescere più velocemente possibile per diventare grandi…
Ma noi abbiamo lasciato degli appunti nella nostra infanzia e ci siamo ripromessi di andare a ripescarli in futuro per poterli comprendere… cosa che oggi stiamo facendo quotidianamente… ma inconsapevolmente.
Un ulteriore problema è che la maggior parte dei ricordi non compresi sono solo fantasie del bambino che eravamo, ma in quell’età, le abbiamo memorizzate come cose reali da comprendere, come abbiamo visto con l’esempio della sofferenza dell’abbandono. In realtà, anche le fantasie infantili hanno un senso profondo e direi… “animico”, ma in questa pagina non voglio parlarne, chi sà di cosa parlo, avrà già capito. Restando nell’aspetto umano e psichico della questione… direi che, dobbiamo oggi comprendere come fare a far funzionare bene questo sistema naturale, o meglio, come ripristinare il nostro sistema naturale di comprensione.
Come dicevo prima, nel momento in cui inizia una sofferenza c’è una parte di noi (l’inconscio) “che ci presenta il copione”, cioè la sceneggiatura che stiamo per mettere in scena.
Se in quel momento noi riusciamo ad essere presenti a noi stessi, cioè, se in quel momento la nostra mente sta facendo il suo vero lavoro che è… osservare noi stessi, noi possiamo cogliere quella scena, possiamo vedere letteralmente il ricordo della nostra infanzia nella sua integrità prima della (pessima) interpretazione che stiamo per inscenare. Nei primi momenti di ogni sofferenza c’è sempre la matrice chiara e limpida della sceneggiatura che stiamo per mettere in scena. Non è facile all’inizio rendersene conto, ma con un pò di allenamento ci si riesce tranquillamente.
L’allenamento necessario è la meditazione.
Una vera meditazione è sostanzialmente assenza di pensiero… ma è ovviamente una pratica estrema.
La meditazione è sostanzialmente allenamento, cioè è come fare palestra e quello che facciamo in palestra non è detto che lo faremo nella vita quotidiana ma, se in palestra ci alleniamo a sollevare un certo peso, questo allenamento farà in modo che dopo, nella vita quotidiana ogni peso risulti più leggero.
Lo stesso succede con la meditazione, non è necessario nella vita quotidiana eliminare ogni pensiero, ma se in meditazione ci riusciamo, quando arriverà il momento di riconoscere un ricordo nel momento in cui comincia una sofferenza, noi riusciremo a tenere la mente abbastanza sgombra da poter vedere senza interpretazioni varie il ricordo infantile che sta per emergere.
Di modi per meditare ce ne sono tantissimi, io consiglio per cominciare l’osservazione del respiro, del proprio respiro da fare quotidianamente, tutti i giorni, molte volte al giorno, anche se solo per pochissimi secondi ogni volta.
Ne parlo nel post che segue… http://osservazionequantica.altervista.org/auto-osservazione-losservazione-del-respiro/
Questa meditazione può avvicinare la nostra mente a noi stessi e può permettere in poco tempo di riuscire a “dare una sbirciata al copione” prima di “andare in scena”, prima che ogni sofferenza quotidiana cominci a materializzarsi.
Tuttavia… nel frattempo che impariamo a fare la nostra meditazione perfetta che ci porterà a cogliere il problema nel suo momento iniziale, è bene cominciare a fare qualcosa nel quotidiano e qui ritorniamo al… lasciare andare… Se nella vita quotidiana impariamo a vedere le cose pesanti e pressanti della vita con un nuovo occhio più consapevole, possiamo cominciare a cogliere nelle sofferenze quotidiane il perchè della sofferenza stessa.
Se le sofferenze o le cause materiali che vogliamo lasciare andare le vediamo con un nuovo occhio, anche durante la “rappresentazione”, la “messa in scena”, cioè durante quello che vediamo come la nostra sofferenza materiale e quotidiana, capiremo facilmente che, quella situazione o quel bene o quel rapporto o quel che sia… che vogliamo lasciare andare ha in se un messaggio profondo e importante per noi, un messaggio che ci conviene capire adesso con questa sceneggiatura perchè… la prossima (che sarà inevitabile) sarà sicuramente più incisiva… e dolorosa.
Lasciare andare senza aver capito la lezione è… come ho detto prima, un modo “elegante” di scappare dai problemi, ma non è risolutivo e metterà nella necessità di inscenare in un’altro modo più convincente la stessa sofferenza di sempre.
Capire la lezione… altro problema importante… capire la lezione…
Si può pensare che, vedendo la scena iniziale si può capire tutto, e questo è vero ma… c’è un ma prezioso.
C’è un problema di linguaggio.
Ne ho già parlato in altre pagine, lo ripeto qui.
Tutto quel che noi abbiamo memorizzato nell’infanzia, l’abbiamo memorizzato in quel momento e l’abbiamo fatto con tutto il materiale emotivo, fisico, tattile, cromatico, olfattivo, auditivo, visivo, percettivo e soprattutto cognitivo che avevamo a quell’età questo ricordo emerge così come è stato memorizzato, cioè con la modalità con la quale l’abbiamo memorizzato ed è in quella particolare combinazione di tutto questo insieme che deve essere completato.
Il modo di comunicare mentale (dell’adulto) che abbiamo oggi, non può permettere il completamento del ricordo, non può permettere di guarire davvero del tutto il ricordo perchè è incoerente con il ricordo originario.
Eppure, la nostra attuale “maturità” è preziosa per fare il “miracolo”.
Nel momento in cui si apre il ricordo dell’infanzia davanti a noi, noi dovremmo essere in uno stato di sola e pura osservazione, senza giudicare nulla nel modo più assoluto.
Dobbiamo puramente osservare e stare lì nel ricordo.
In questo stato di pura presenza in cui vediamo sia con gli occhi del bambino che eravamo che con gli occhi dell’adulto che siamo oggi, avverrà qualcosa che si chiama “comprensione”, ed anche questa comprensione, NON deve essere interpretata… deve essere lasciata che sia quella che è… cioè pura osservazione, pura presenza, pura condivisione di un momento della nostra infanzia che è emerso, di un momento di noi bambini in cui non siamo più da soli ma abbiamo la mano di un adulto (che siamo sempre noi stessi) che ci sta vicini… dobbiamo dare al nostro ricordo, alla nostra memoria che è emersa in quel momento, la possibilità di essere metabolizzata con la stessa energia che ha sempre avuto che ha sempre cercato di manifestarsi nella vita quotidiana nelle modalità che abbiamo visto fin qui.
Ogni cosa è energia, anche i pensieri, anche i ricordi, anche le memorie, anche la materia… che si plasma a volte proprio in funzione di una manifestazione del nostro inconscio pur di rimettere in scena se stesso.
Il nostro inconscio è un insieme di memorie infantili non comprese (come abbiamo già detto) che fino a quando non le comprenderemo nella loro stessa energia, continueranno a manifestarsi generando letteralmente una seconda personalità in noi stessi, proprio come se dentro di noi ci fosse un’altra anima…
Quando prenderemo coscienza pienamente di questo dato di fatto, vedremo letteralmente il mondo in un modo diverso, vedremo ogni scena di vita in un modo diverso, riusciremo a cogliere nelle scene della vita qualcosa che ci riporterà a noi stessi e… non avremo più la necessità di lasciare andare.
E concludendo sul lasciare andare… quante cose della vita abbiamo già lasciato andare senza nemmeno pensare di doverlo fare?
Pensaci bene… quante volte hai già lasciato andare senza pensare di doverlo fare?
Dico… spontaneamente!! cioè quante cose senza pensarci non le hai avute più nella tua vita senza nemmeno soffrire per il distacco?
Bene, quando comprenderai il senso profondo di ogni cosa che oggi MENTALMENTE vuoi lasciare andare, il lavoro di… lasciare andare diventerà cosa spontanea… non dovrai nemmeno pensare di doverlo fare perchè accadrà spontaneamente e molte altre volte, non avrai bisogno di lasciare andare qualcosa perchè semplicemente era perfetta così com’era ma tu non lo vedevi nella sua completezza… ne vedevi solo una piccola parte sulla quale eri focalizzato…
Quando avrai risolto i tuoi blocchi emotivi, cioè quando avrai compreso il senso di quella sceneggiatura dalla quale volevi scappare elegantemente dicendoti che hai lasciato andare… vedrai tutto nel modo più completo…
Vedrai la perfezione del creato, anche nelle sofferenze perchè ne avrai capito il senso, l’avrai visto letteralmente con i tuoi occhi e con tutti i sensi di cui disponi.
Sulla regressione spontanea c’è da dire moltissimo di più… e lo farò presto, per ora… osserva con occhi nuovi la scena dalla quale vuoi scappare, vedi il copione che stai mettendo in scena, vedilo proprio con la consapevolezza di cui abbiamo parlato fin qui, vedrai qualcosa che fin’ora ti era sfuggita.
Con affetto…
Giuseppe Lembo
Fonte: http://osservazionequantica.altervista.org/lasciare-andare-cosa-perche/