Sabato 15 Dicembre, ore 16:00
Roma, Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, Sala della Fortuna

“LA CIVILTA’ DELLA DEA” E “HOBEVALGE”

La presentazione dei due libri “La Civiltà della Dea” dell’archeologa lituana Marija Gimbutas, e di “Hobevalge” di Lennart Meri, il più noto scrittore, regista e politico estone, è stato anche Presidente della Repubblica dell’Estonia dal  1992 al 2001, costituisce un momento importante dell’ evento di Villa Giulia.
I temi affrontati in questi due straordinari testi, tradotti per la prima volta in lingua italiana, costituiscono infatti il punto di partenza di un ambizioso progetto di ricerca congiunta tra il Museo delle Antiche Genti di Lucania di Vaglio di Basilicata e le Terre dell’Ambra, Estonia, Lettonia e Lituania, progetto voluto e coordinato dall’Associazione Italia Estonia.

Marija Gimbutas è una icona della archeologia del XX secolo e nel campo della ricerca delle antiche civiltà europee. Il libro “La Civiltà della Dea” edito di recente dalla Casa Editrice Nuovi Equilibri, è la sua opera più importante. Il libro propone una tesi rivoluzionaria riguardo alle origini della civiltà europea. Tra il Settimo ed il Terzo millennio sarebbero infatti esistiti in Europa dei popoli pre-indoeuropei che fondavano la loro struttura sociale su pacifiche comunità agricole matrifocali, ossia centrate su valori spirituali e religiosi femminili e non patriarcali.

Questi popoli, in grado di vivere in perfetta armonia con la natura ed in pace tra di loro, avrebbero elaborato una espressione artistica multiforme e sofisticata nonché un complesso sistema simbolico incentrato intorno al culto della Dea nei sui vari aspetti. Di questa civiltà la Gimbutas trova le tracce e le prove archeologiche in tutta Europa, oggi generalmente accettate. Come la stessa autrice scrive “L’uso del termine civiltà richiede un approfondimento. Secondo le ipotesi degli archeologi e degli storici la civiltà implica un’organizzazione politica e religiosa di tipo gerarchico, un’economia bellica, una stratificazione sociale ed una divisione complessa del lavoro. Questo modello è infatti tipico delle società androcratiche (dominate dall’uomo) come quella indoeuropea, ma non si applica alle culture ginocentriche (centrate intorno alla donna e alla madre) descritte in questo libro.

La civiltà fiorita nell’antica Europa fra il 6500 a.C. ed il 3500 a.C. e a Creta fino al 1450 a.C. ha goduto di un lungo periodo pacifico senza interruzioni, dimostrando di poter
garantire una qualità della vita superiore a molte civiltà androcratiche e classiste”. Noi stiamo vivendo oggi la conseguenza di questo cambiamento di paradigma, tanto da far scrivere a Joseph Campbell della non più rinviabile necessità di una trasformazione collettiva delle coscienze affinché ” s’inauguri un’epoca di armonia e di pace in consonanza con le energie creative della natura, come è accaduto per tutti i circa 4000 anni di preistoria che hanno preceduto quell’incubo di 5000 anni – così lo ha definito James Joyce a causa degli scontri d’interesse tribali e nazionali – dal quale è senz’altro giunta l’ora che il pianeta si svegli”. La ricerca delle tracce di questa civiltà dimenticata è il progetto di ricerca multidisciplinare tra le Repubbliche Baltiche ed il Museo delle Antiche Genti di Lucania, una civiltà spiritualmente avanzata che ha fatto convivere in modo pacifico tutti i popoli d’Europa e che oggi avrebbe molto da insegnarci.

Il libro Hobevalge tratta un tema differente, ma che nuovamente ci porta a considerare l’intenso scambio culturale e mitico-religioso che da sempre riguarda i popoli europei. Lennart Meri pubblicò questo lavoro nel 1976 e non è stato mai tradotto in altra lingua. Mediante rigorose indagini storiche, scientifiche ed etnografiche e materiale raccolto durante i suoi viaggi tra il Baltico, gli Urali e la Siberia, Meri prospetta reciproche influenze che le Terre del Baltico e quelle del Mediterraneo hanno  avuto in periodi molto antichi. “Se la geografia è prosa, le mappe sono iconografia” scrive Meri, così ripercorrendo le antiche mappe dei navigatori ricostruisce il famoso viaggio di Pithea e della sua mitica Ultima Thule. Thule è un nome che deriva da un antico verso ritmico popolare e tradizionale dell’Estonia e che narra della caduta del meteorite Kali sull’isola baltica di Saaremaa.
Thule significa “fuoco” e sarebbe proprio Saaremaa. Questa isola, nota ai romani come Abalo o Basilia, era il centro del commercio dell’ambra, e sarebbe all’origine del mito di Apollo Iperboreo. Con l’ambra dunque sarebbero giunti fino al Mediterraneo miti e spiritualità di popoli baltici, chiamati “Aesti” da Tacito, e che avrebbero influenzato anche l’origine di miti greci ed italici.
La ricerca dell’origine di un pensiero e di una spiritualità che definiamo “europea” ci riconduce a quell’esordio che vide nella Grecia la principale protagonista.

Sono illuminanti al riguardo le considerazioni di Angelo Tonelli in
“Eraclito, dell’Origine”
:
“In epoca arcaica esisteva uno sfondo comune, costituito dal sostrato sciamanico panasiatico, che estendeva le proprie radici fino alla Tracia e alla Ionia e di qui alla Grecia e alla Magna Grecia, investendo i centri iniziatici e sacerdotali di Delfi e Olimpia: di tale cultura troviamo tracce nei filosofi presocratici (in Empedocle ad Agrigento, in Parmenide a Elea, in Pitagora a Samo) e in personaggi semileggendari, come Aristea nel Proconneso, Orfeo in Ionia, Hermotino a Clazomene. Di sciamanesimo erano impregnati inoltre i culti misterici della Grecia classica di matrice orfica ed eleusina, delfica, ecatica. Come non cogliere allora nella sapienza eraclitea del Fuoco cosmico almeno un’eco di tale, sciamanica, religiosità?”

Gentilmente inviato da Angelo Tonelli

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