Tutte le mattine, quando mi sveglio e mi guardo allo specchio, quante volte su 365 giorni mi accorgo di me?
Quante volte ci sono?
Cosa intendo dire con ‘ci sono’?

Che non solo mi guardo, mi pettino, faccio dunque tutte le azioni del quotidiano, ma mi accorgo, nel farle, che hanno spessore profondità. Quanti guidano la macchina da Roma a Milano senza rendersene conto, e poi dicono: ‘Che bello, Milano, sono già arrivato”?
Gli uomini dormono, sognano e in questo loro sognare credono a qualsiasi cosa.
Questo fanno: dormono a occhi aperti e credono in maniera incondizionata. In questo stato dì sonno non c’è “io sono” ma solo una macchina che funziona male. Non si alza dal letto, si dimentica le cose o fa le cose quando non sono previste.

È importante stabilire il punto di partenza per incominciare a “fare”, perché se dico: “sono abitudinario” , non sono partito, sto semplicemente utilizzando un “ammortizzatore”.
Dire: “Ma che mi alzo a fare”, oppure, ‘Mi alzo subito, sono scattante, sbarbato e profumato”, sempre dì meccanicità si tratta.
Meccanico, però non è solo colui che fa sempre la stessa cosa, ci può essere anche un “gruppo di io” anarchico che prende il governo della carrozza e che non obbedisce a nessun comando, ma solo ai comandi che autostabilisce.

In ogni caso è stato creato un solco e quando è stato inciso sarà molto difficile eliminarlo. Allora tutta la vita diventa semplicemente il percorso tra la casa simbolica e ciò che ci nutre, il supermercato dove facciamo la spesa.
Sto parlando delle solite abitudini, dei soliti percorsi mentali; ci nutriamo sempre delle solite idee e la qualità della nostra vita non cambia. Se ho solo tre prodotti la combinazione sarà quella, dopo 10-15 preparazioni sarò stanco.

Basterebbe un solo elemento nuovo per rivoluzionare il tutto, ma se questo elemento nuovo non lo richiedo, perché coloro che mi circondano dicono sempre che il mio menù è ottimo, la mia vita resterà chiusa in quella prigione e io non potrò evadere. Spesso dico che il problema più grande della prigione non è desiderare di evadere, ma accorgersi di essere prigionieri. Il prigioniero ha talento artistico perché dipinge le pareti della prigione con il mare, le montagne e, dopo un po’, si innervosisce perché, per circostanze esterne e per una volontà assolutamente indipendente dalla sua, arriva un po’ di attrito e allora: “Basta mare!” ed ecco apparire un nuovo dipinto nella cella e con esso un nuovo inganno che gli fa credere di avere cambiato vita.
carcere
La prigione è rappresentata da:
Molteplicità degli io – Impressione – Distorsione – Risposta inadeguata, dove sono i nostri molteplici io che generano il percorso tortuoso della prigione. Quanti uomini esistono sulla terra che funzionano come dovrebbero e cioè:
Io Unitario – Impressione – Comprensione – Risposta adeguata?
Questo ‘Uomo’ che ha un Io Unitario non interpreta la domanda, non la trasforma, semplicemente risponde ad essa. Per ottant’anni l’uomo vive tutti i giorni facendo battere il suo cuore un numero così grande di volte, che é quasi infinito, producendo un’energia meravigliosa. Quest’uomo, però, è anche capace dì dar vita a una serie di strane cose come, ad esempio, i sogni ad occhi aperti. Quando sogno di incontrare un divo e non faccio nulla perché questo accada, oppure quando faccio male il mio lavoro, o quando entro in immaginazione dicendo; “Sbrigherò tutte le mie pratiche in mezza giornata ‘ quando invece ho due mesi di lavoro arretrato, questo processo mi consuma togliendo energia alla mia vita. Ancora una volta non sono entrato nel tempo reale,
Tutte le volte che non rispondo in maniera corretta alla domanda che la vita mi propone, sto rubando a me stesso la vita,
COME FARE?
Innanzitutto devo scoprire che sono in prigione, devo guardarla sempre meglio e con tutta la lucidità e chiarezza di cui sono capace perché non posso partire se non da me stesso. Di chi possiamo fidarci se non di noi all’inizio della nostra opera? Può un cieco guidare un altro cieco? Quindi dobbiamo valutare tutto con i nostri mezzi. Anche se sono in prigione e sto dormendo, avrò sicuramente una cella, un posto in questa prigione. Posso incominciare a muovermi in essa. Questa è l’idea di osservazione. Per farlo devo individuare e quindi abbandonare tutta quella spazzatura che sono le mie idee preconfezionate e usare come sestante per tracciare la rotta quelle poche cose che quotidianamente posso andare a verificare.
QUANTE VOLTE IL PASSATO CI POSSIEDE?
Tutte quelle volte in cui diciamo; “Mi ha fatto questo, ho molto sofferto, non sono stato all’altezza”.
Queste idee preconfezionate, questi solchi, sono solo immondizia, (ieri è accaduto tutto questo, ieri… e se oggi sono ancora con il mio ieri mi sto danneggiando.
Nell’educazione ci è stato detto, anche se molto probabilmente in termini più gentili:
“Ti devi vendicare”: “Ti hanno picchiato? Devi picchiare”.
È vero, quando mi stanno colpendo devo spostarmi per cercare di prenderne il meno possibile, ma una volta che la battaglia è finita, è finita, non esiste più.
Invece metto anche questa battaglia in un sacco e continuo a trascinare questo sacco che diventa sempre più pesante.
Questo tipo di sacco non è la memoria prassica della macchina, che oltre a non danneggiare, è invece utilissima: pensate se dovessimo dire ogni giorno alle nostre gambe ‘ imparate a camminare”!
Dopo aver individuato quali forme di prigionia mi sono familiari, il passaggio successivo è rendermi conto che da solo non posso andare da nessuna parte. Quando scopro che sono in una cella, anche se ho le pareti dipinte come un murales e scopro che ho tutta una serie di nastri, devo trovare qualcuno che è già evaso.
Per evadere ho bisogno di un evaso, come ho bisogno di uno specchio per guardare me stesso.
Cosa significa trovare un evaso?
Facciamo un esempio semplice Se voglio imparare a forgiare il ferro, quando chiederò al fabbro di insegnarmi, certamente egli mi metterà al mantice, anche se penserò che è un lavoro antipatico e meccanico e che la mia aspirazione è lavorare il ferro per creare. Se invece umilmente osservo, ho fa possibilità di imparare.
Il mio maestro possiede un arte, la conoscenza e per evadere è necessario possedere quest’arte: per forgiare un tipo di ferro sarà necessario fare tre mantici al minuto, per forgiarne un altro solo uno, per forgiane un terzo dieci, e io, anche se non ho ancora il ferro in mano, sto già forgiando, perché sto imparando quanta aria devo dare affinché la fucina raggiunga la giusta temperatura per lavorare quel ferro, per dargli quella forma.
Un evaso è un allenatore, ti porta a compiere tutte le tappe, quei passi che ti permettono di cancellare i solchi, cercando di rendere la lavagna, per quanto è possibile, pulita perché sia possibile scrivere su di essa ciò che voglio e non quello che l’accidente determina.
L’evaso è rappresentato anche da un gruppo di lavoro che fa anch’esso da specchio e che in un attimo mi può dare dieci, cento, mille informazioni.
Lo specchio ha delle regole, che sono il gioco di squadra, cioè l’impegno reciproco. L’ importante all’ inizio è che ci sia un accordo comune, un tesoro comune, quello è l’inizio dell’evasione. Il tesoro è l’accordo; mi osservo e condivido con te ogni scoperta, ogni risultato, e così accade per tutti nel gruppo. In questo modo, in tempo reale, non avrò vissuto solo le mie ventiquattro ore.
Per evadere occorre una mappa e quindi l’aiuto di un evaso che, avendo già fatto questo percorso, possiederà il piano di evasione. Siete, per 24 ore al giorno, chiusi nel vostro corpo, nel sistema si intende per prigionia del corpo, quando l’involucro svolge le sue funzioni vitali in maniera impropria. È come possedere una macchina che avendo le candele sporche, non sale di giri e non funziona correttamente. Come un piccolo problema può impedire il corretto funzionamento di una macchina complessa, così accade anche al nostro corpo. La mappa ci consente di individuare la nostra posizione. Se non sappiamo dove siamo e cosa siamo in quel luogo, non potremo stabilire il punto di partenza.
Ci siamo individuati in un pianeta che abbiamo chiamato Terra. Questo pianeta svolge una funzione ed esiste in rapporto ad un corpo più grande, che è l’intero Sistema solare. Quindi non basta avere la mappa, bisogna anche individuare la nostra posizione rispetto all’insieme.
In quale rapporto siamo con il nostro pianeta?
E il nostro pianeta in quale rapporto è con l’intero Sistema solare?
E ancora, in quale rapporto i nostri organi sono con il corpo e le cellule con gli organi?
Comprendere che la forza espressa dall’insieme è maggiore della semplice somma delle sue parti, ci è indispensabile per incominciare il nostro studio, Quando ci saremo individuati, comprendere il senso e lo scopo della vita ci sarà possibile, così come l’idea di sviluppare il Sé. Tutto ciò che l’uomo fa nella vita ordinaria non conta quasi nulla, se egli non ha la direzione. Mi occorre un aiuto da un evaso che mi offra una mappa. Essa mi servirà ad individuare il luogo dove sono e, a seconda del luogo, potrò iniziare a muovermi orientando il mio cammino.
Tratto da Ararat di Patrizio Paoletti
Immagine: Opera del pittore Bernardo Peruta

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