C’era la peste, allora, ad Atene. La gente era in preda al panico ed alla disperazione. Perfino i guerrieri più valorosi, dovendo fronteggiare un invisibile nemico che non potevano né colpire né fermare con lance, scudi e corazze, erano abbattuti e pregni di sconforto.
In una fucina, un fabbro batteva sull’incudine la rovente lama di una spada. D’improvviso, un ragazzo macilento entrò e disse: “Padre mio, perché non vieni a casa a stare con noi?Sono giorni che non rientri. Tutti si rifugiano per non attirare i mortiferi dardi di Apollo, e tu pensi a battere il ferro!”
“L’ esercito avrà bisogno d’armi, figlio mio. È mio dovere continuare a fabbricarne”.
“Ma padre, non hai paura?”
“Certo, figlio mio, ma non è scappando che voglio che tu e i tuoi fratelli mi ricordiate nel caso il morbo dovesse colpirmi, e poi, Apollo saetta in silenzio. Potrei già avere il veleno nel corpo, non è saggio, per me venire a riposare a casa”.
“Padre, ho paura…”
“Non devi averne, figlio mio. Ecco, guarda sotto la statua di Atena”.
“Quel vecchio matto che sorride?”
“Non è matto, tutt’altro”.
“Ma allora perché ride di chi ha paura”.
“Non credo che stia irridendo chi ha paura, ma Thanatos”.
“La morte… A proposito, ti ho portato del cibo, non vorrai mica morire di fame?”
“Ti ringrazio, ma è troppo per me. Perché non ne prendi un po’ e lo porti in dono a quel vecchio?”
” Se proprio vuoi…”
“Quando ti parlerà, chiedigli: quanti pilastri occorrono per vincere la morte? Vedrai che cambierai opinione sul come comportarsi quando la paura ti afferra”.
“D’accordo, padre…”
Il ragazzo giunse, titubante, davanti alla ieratica figura seduta ai piedi della statua. “Signore, mio padre vuole che le offra questo cibo e che le chieda una cosa” disse.
“Grazie, ragazzo. Chiedi pure”.
“Vorrei sapere quanti pilastri occorrono per vincere la morte”.
“Ah, i pilastri… Sono quattro, ragazzo, ed appartengono al nostro popolo da sempre.
Il primo pilastro si chiama: Aletheia, ossia il disvelamento della verità, il ricordo di ciò che siamo oltre a dei semplici corpi morenti. Colei che insegna il primo pilastro è Dike, la Giustizia.
Il secondo pilastro si chiama: Areté, ossia l’eccellenza, la virtù, l’arte di saper decidere, del saper governare sé stessi, il valore spirituale dell’uomo, la capacità di assolvere al proprio compito.
Il terzo pilastro si chiama: Kalokagathia, e consiste nel saper adottare un modello di perfezione fisica e morale.
Il quarto pilastro si chiama: Agàpe, ed è lo sviluppo di un amore disinteressato e sublime nei confronti dell’umanità.
Ora che sai i nomi, puoi tornare da colui che ne detiene l’essenza e che ti ha mandato da me ad apprendere. Questi pilastri hanno consentito ai tuoi antenati di elevarsi e di restare fermi come le colonne più imponenti tra i capricci degli dèi. Quando resti fermo mentre tutto va in rovina, non sei più un semplice uomo, ragazzo mio, ma un piccolo sole che irride le spaventose ombre della morte”.
Alessandro Frezza – scrittore
dal libro Mille e più carezze per spiriti inquieti