Jung vide nel fenomeno UFO
una proiezione psichica a carattere collettivo

 

“Morbius era quasi alla soluzione. I Krell completarono il loro progetto. La grande macchina… senza meccanismi. Il grande segreto… ma avevano dimenticato i mostri… i mostri dell’Id”.
Ciò che rende Forbidden Planet di Fred M. Wilcox ancora oggi una delle opere più affascinanti della fantascienza moderna, al di là della splendida realizzazione visiva e dei riferimenti letterari (la Tempesta di Shakespeare1), sono sicuramente le profonde implicazioni psicanalitiche2: “Gli altri?… ma non ce ne sono, comandante. Verso la fine del primo anno tutti, sia uomini che donne, soccombettero a… una specie di forza planetaria, un’oscura, terribile, incontrollabile forza. Solo mia moglie e io ne fummo immuni”. La mostruosa forza planetaria che ha distrutto l’equipaggio del Bellerofonte, e ora minaccia la vita degli astronauti sbarcati sul pianeta Altair 4 non è altro infatti che il subconscio dell’uomo che vi abita, Morbius, uno studioso misantropo che vorrebbe essere lasciato in pace con i suoi studi e le sue ricerche sulle vestigia dell’antica civiltà Krell: “Tuttora nella mia mente mi sembra che quell’essere sia in agguato, sornione e irresistibile, in attesa di essere evocato per colpire”. Il subcosciente di Morbius è pronto a ridestarsi, per eliminare chiunque vada contro i suoi desideri, anche se di ciò la mente conscia dello scienziato se ne rende conto solo vagamente3.

Le analogie tra film e sogno

La scienza psicanalitica nasce quasi contemporaneamente al cinema e negli studi relativi al cinema è sicuramente una delle discipline più coinvolte: “Essa consente di trascendere la superficie del discorso filmico per raggiungere aree psichiche più profonde, poiché ogni discorso, compreso quello filmico, è sostenuto da una complessa trama di attività mentali di cui il pensiero cosciente è solo un aspetto parziale e in situazioni e momenti diversi gli elementi psichici inconsci coinvolgono analogamente sia il realizzatore che il fruitore dell’opera”4.
Alcuni studiosi hanno intrapreso in questo senso delle ricerche sulla cosiddetta “doppia visibilità” dell’immagine filmica (l’una denotativa, realistica e precisa; l’altra connotativa, simbolica e nascosta). Altri hanno invece rilevato le strette analogie che intercorrono tra la struttura del film e quella del sogno, il quale, è noto, costituisce proprio l’oggetto fondamentale della psicanalisi: il comune carattere visivo, l’assenza in entrambi di uno stretto principio causale (sia film che sogno avanzano sulla base di “rapporti di contiguità e di immaginazione” piuttosto che su rapporti logici), la somiglianza tra le condizioni della proiezione (l’oscurità della sala, l’isolamento dei corpi, l’abbandono psicologico, l’irrealtà delle immagini) e quelle del sonno.

Possiamo aggiungere ancora il sorgere nello spettatore del film di processi di identificazione e proiezione con i personaggi sullo schermo, e dunque la presenza di veri e propri transfert con lo spettacolo filmico. In certe figure ricorrenti nel cinema, come il doppio, lo specchio o la maschera, o come a livello stilistico il campo/controcampo, in cui si contrappongono un soggetto vedente e un oggetto visto, si scopre l’emergere di una sorta di inconscio del cinema stesso. Tutto ciò è stato già abbastanza trattato da una vasta letteratura. In questa sezione tuttavia si vuole restringere il campo di analisi al solo cinema di fantascienza degli anni Cinquanta. Quei generi cinematografici più carichi di contenuti simbolici nascosti, come il fantastico e il fantascientifico, si prestano infatti facilmente all’impiego dello strumento psicanalitico: “[…] il Rimosso, cioè l’Altro, il Diverso, l’Oscuro, il Terrorizzante, lo Sconosciuto, l’Angoscioso che si chiamano ora extraterrestri, mutanti, androidi, robot, radiazioni misteriose, mostri, animali perversi… e insieme società autoritarie, uomini-macchina, calcolatori padroni, e silenzio, il lungo silenzio del dopo Bomba, popolano senza soluzione di continuità gli spazi indiscreti della science fiction. […]

La rappresentazione dell’incubo, il gag nero, cioè il corpo tormentato dell’Inconscio che si traveste da corpo di ragno, diventa l’unico vero centro d’interesse del film annullando o degradando la narrazione, i personaggi, l’intrigo. Il corpo del film, proprio attraverso la mediocrità delle storie, l’inesistente spessore psicologico dei personaggi, la “casualità” del tessuto narrativo, viene a identificarsi con il corpo del sogno, o del mistero, realizzando un’audace operazione di ellissi”5.

Nel cinema fantastico e nella fantascienza inoltre, proprio per la rilevanza che assume l’elemento immaginativo, certi meccanismi, come quello di proiezione/identificazione, e certe figure, come lo specchio e il “doppio”, ricorrono più frequentemente che altrove.

Le cose che si vedono in cielo

Nel 1958 Carl Gustav Jung, ormai più che ottantenne, pubblica il saggio Su le cose che si vedono in cielo, nel quale propone un’interpretazione psicologica del fenomeno dei “dischi volanti”. Lo psichiatra svizzero individua nella grande quantità e frequenza delle testimonianze di avvistamenti, una “proiezione” psichica a carattere collettivo, una “tensione affettiva” dovuta alla situazione di pericolo e di disagio che l’umanità vive in quegli anni. Nel passato gli uomini interpretavano il passaggio nel cielo di corpi celesti come le meteore e le comete quali segni premonitori di avvenimenti catastrofici. Allo stesso modo, in un momento storico difficile come quello degli anni Cinquanta, gli esseri umani, meno propensi ad ammettere interventi metafisici e seguendo il filo di una fantasia tecnicizzante, vedono avvicinarsi il pericolo di un’invasione extraterrestre, con il volo misterioso, contrario alle leggi della gravitazione, degli UFO.

Il fenomeno dei dischi volanti assume la forma di vero e proprio mito moderno: “Sembrava che gli aeroporti e specialmente le installazioni atomiche esercitassero su [gli extraterrestri] un’attrazione particolare: e se ne dedusse che il pericoloso sviluppo della fisica atomica, o meglio della fissione nucleare, avesse provocato una certa inquietudine nei pianeti vicini e dato origine a una ricognizione aerea più circostanziata sopra la terra. Ci si sentì di conseguenza sottoposti all’osservazione e allo spionaggio cosmico”6. Nella fantascienza cinematografica troviamo pellicole abbastanza esemplificative di questi timori: la forma di vita extraterrestre di The Space Children di Jack Arnold, per esempio, giunge sulla Terra proprio nei pressi di una base missilistica sulla costa della California, dove militari e scienziati stanno costruendo un micidiale missile a testate nucleari. Il fine degli alieni è quello di sabotare, per mezzo dei bambini, tutti gli arsenali nucleari sparsi nel mondo, pericolosi per la pace nell’universo.

Leggiamo ancora dal saggio di Jung: “Oltre che in possesso di una tecnica indiscutibilmente superiore, li si ritiene dotati di una superiore saggezza e bontà morale che li renderebbero in grado di redimere l’umanità”7.
Proprio di questa superiore saggezza è dotato l’alieno Klaatu (Micheal Rennie) di The Day the Earth Stood Still di Robert Wise (1951), uno dei migliori e più noti film di fantascienza dell’epocatra i pochi in cui il visitatore spaziale giunge sulla Terra per portare un messaggio di pace piuttosto che per invaderla: “Io sto per partire. Mi perdonerete se vi parlo senza preamboli. L’universo diventa ogni giorno più piccolo e il pericolo di aggressione, da parte di chiunque e dovunque, non può essere tollerato. È necessario che ci sia sicurezza per tutti gli esseri viventi. […]
I nostri antenati hanno pensato così quando hanno fatto le leggi per autogovernarsi, ma anche una polizia per imporle. Anche noi che abitiamo gli altri pianeti abbiamo accettato questo principio e abbiamo creato un’organizzazione per la mutua protezione di tutti i pianeti e per la totale eliminazione di ogni aggressione. La forza di questa autorità superiore è una polizia che la faccia rispettare e a questo scopo abbiamo creato un esercito di automi. Il loro compito è pattugliare i pianeti con aerei astrali come questo e mantenere la pace”. Questo è il monito che Klaatu lancia alla Terra nella sequenza finale del film.

Jung considera anche quelle credenze all’epoca così diffuse secondo le quali le ricognizioni dei dischi volanti in prossimità delle piste d’atterraggio avrebbero preparato invece un trasferimento di prepotenza sulla Terra degli abitanti di un altro pianeta venutosi a trovare in una situazione disperata. Quasi tutte le invasioni extraterrestri della fantascienza degli anni Cinquanta trovano origine proprio nella fuga da pianeti morenti.

Il terrore di catastrofi collettive connesse ai contrasti politico-ideologici non sarebbero la sola causa del fenomeno degli UFO. Aggiunge Jung: “Si potrebbe supporre facilmente che la terra stia diventando troppo stretta per gli uomini, e che essi cercano di fuggire dalla loro prigione, minacciata non solo dalla bomba all’idrogeno ma, più ancora, dal vertiginoso aumento della popolazione. […] La ristrettezza di spazio genera angoscia, la quale a sua volta cerca in un ambito extraterrestre l’aiuto che la terra non le dà”8. Le visioni nel cielo di oggetti luminosi circolari o sferici sarebbero da ricondurre, secondo le teorie dello psicologo, proprio a questa angoscia. I contenuti dell’inconscio si esprimono attraverso forme simboliche, archetipiche e come tali universali. Nella forma degli UFO Jung rintraccia le caratteristiche del “mandala” indiano, il cerchio, che da sempre in ogni luogo ha rappresentato il selbst, l’unione tra coscienza e inconscio, la totalità psichica dell’uomo o la stessa divinità. Questo simbolo unitario sorge come compensazione dell’effetto disgregatore prodotto sulla psiche umana dalla società contemporanea. “È un fatto sintomatico per il nostro tempo – afferma ancora Jung – che l’archetipo assuma, in contrasto con i suoi aspetti precedenti, una forma concreta, addirittura tecnica, per evitare l’indecenza di una personificazione mitologica”9.

I meccanismi di proiezione e identificazione nella fantascienza

“Solo nell’arte succede ancora che un uomo dilaniato da desideri realizzi qualcosa di simile al soddisfacimento e che questo gioco – grazie all’illusione artistica – evochi reazioni affettive, come se fosse una cosa reale”10.

Nell’ambito della teoria freudiana che vede nella produzione artistica la manifestazione di processi e tendenze inconsce, il cinema di fantascienzaassume una grande risonanza emotiva, insinuando, tramite presunte spiegazioni scientifiche, la plausibilità degli eventi proposti e quindi il possibile soddisfacimento di desideri inconsci ad essi collegati. “Nell’esperienza filmica della fantascienza, – scrive Alberto Angelini – come del resto in ogni situazione filmica, si manifestano nell’individuo mutevoli situazioni psichiche che esprimono la dinamica di correnti sotterranee della personalità; ci riferiamo particolarmente ai meccanismi di identificazione e proiezione”11.

Una tematica che illustra bene l’attuarsi di tali meccanismi nell’ambito della fantascienza è quella dell’alieno. Caratteristica di questa figura, sia che si presenti come un singolo individuo, sia che si presenti sotto forma di una comunità organizzata, è quella di costituire, tranne rarissime eccezioni, una minaccia per l’umanità. In War of the Worlds e in The Earth vs the Flying Saucers (La Terra contro i dischi volanti, 1956) di Fred F. Sears, per esempio, assistiamo a delle invasioni di astronavi extraterrestriche, per mezzo di armi sconosciute, disintegrano edifici e persone. Altrettanto distruttive risultano le intenzioni dei tanti mostri più o meno credibili degli anni Cinquanta, per lo più generati dagli effetti delle esplosioni nucleari. Nell’interpretazione psicanalitica, la violenza e l’aggressività rappresentate negli alieni, troverebbero origine nella sfera dell’inconscio.

Questo fenomeno di proiezione si sviluppa attraverso due differenti momenti. In un primo tempo si attua una totale estraniazione formale dall’oggetto della proiezione, cioè dall’alieno. Sullo schermo l’alterità degli alieni viene ribadita attraverso una serie di caratteristiche in grado di ispirare repulsione e disgusto nello spettatore. Una volta compiuto questo processo di estraniazione, diviene possibile attribuire agli extraterrestri qualsiasi intenzione violenta. A questo punto scatta il secondo momento del processo di proiezione, in cui l’alieno si carica di tutta quell’aggressività che emerge dalla sfera dell’inconscio. Per mezzo dell’estraniazione, si attenuano le possibilità di identificazione col soggetto della violenza, minimizzando in questo modo la censura del Super-Io e l’insorgere del senso di colpa e del conseguente stato angoscioso che lo accompagna12.

Un film come Forbidden Planet sembra avvalorare le tesi fin qui presentate. In esso, si è detto, l’essere invisibile che decima l’equipaggio dell’astronave, altro non è, infatti, che la proiezione dell’inconscio dello scienziato. L’uomo e la bestia si riunificano in una medesima identità, al punto che quest’ultima scompare solo in seguito alla morte del suo creatore. Dunque se i mostri esistono siamo noi stessi a produrli; essi giungono da uno spazio altrettanto profondo e poco conosciuto di quello cosmico, da “regioni psichiche e non astronomiche”, e l’angoscia che lo spettatore sperimenta nell’assistere alle loro gesta è la stessa che si manifesta nella percezione della propria aggressività.

La dinamica dell’identificazione predomina invece in quei film, ben più rari nella fantascienza della decade, in cui l’alieno viene presentato come una figura positiva. È questo il caso di The Day the Earth Stood Still di Robert Wise. Nel film l’extraterrestre si presenta come latore di una ammonizione, quindi di una minaccia di punizione e ad esso l’umanità bambina si rivolge come a una figura paterna. In quanto tale, diviene oggetto di sentimenti ambigui, ma complessivamente individuato come un personaggio da emulare.

Possiamo concludere allora, d’accordo con quanto riportato nel capitolo introduttivo di Effetto macchina, che la fantascienza funziona sostanzialmente “da zona franca della fantasia, territorio libero all’interno del quale è permesso sfogare sentimenti crudeli o almeno amorali senza aver alcunché da temere […]. La fantascienza, come tutto il cinema fantastique in genere, tende a rappresentare quello che gli altri generi occultano o trattano meno direttamente. Il desiderio di autodistruzione viene appagato attraverso la visione di esplosioni nucleari, il narcisismo si compiace di sé vestendosi dello sguardo eccitato dell’uomo di scienza, la fustigazione chez Masoch, vecchio rituale trecentesco con il quale l’uomo puniva la propria impotenza, riappare come valvola di sfogo mentale nei misfatti che i film di fantascienza infliggono come staffilate allo spettatore”13.

Tutto ciò avviene attraverso gli schemi ferrei di un genere, la cui codificazione piuttosto rigida e ripetitiva assicura tanto la legittimità dell’incubo (il rischio/piacere del mostro) che il contemporaneo annullamento del trauma (il rischio ripetuto diviene infine prevedibile).

Nel mondo degli specchi: il tema del “doppio” nella fantascienza

“Assicuratomi che dormiva, tornai indietro, presi la lampada e con quella mi avvicinai di nuovo al letto. Il letto era circondato da enormi cortine, che io, proseguendo nel mio piano, scostai cautamente, lasciando cadere sul ragazzo addormentato la luce vivida e violenta della lampada: in quello stesso momento lo sguardo mi cadde sul volto di Wilson. Lo guardai ed ecco che un torpore paralizzante, una sensazione di gelo s’impossessò di me. […] Erano proprio quelli i lineamenti di William Wilson? […] Cosa, in essi, mi spaventava tanto? […] Il medesimo nome, la medesima taglia […] E infine quella cocciuta, assurda imitazione del mio portamento, della mia voce, delle mie abitudini, del mio modo d’essere!”14

Si è già visto come, nella fantascienza degli anni Cinquanta, il tema della duplicazione possa essere messo in relazione alla paura generata dallo spettro comunista. Il “doppio”15 è comunque un motivo da sempre ricorrente nella letteratura e nel folklore. L’ombra, il sosia, l’immagine riflessa nello specchio, presenti nelle tradizioni di tutti i popoli, non sono altro che modi diversi di rappresentare la figura del “doppio”. Alcune culture tradizionali ritengono l’ombra un essere spirituale, una personificazione dell’anima, altri hanno timore della propria immagine riflessa, poiché questa sarebbe portatrice di sventura. In un articolo del 1982, Lucilla Albano ha rilevato come il tema del doppio appaia fin dalla mitologia greca dove possiede la forza di ogni altro grande tema dell’immaginario: universalità ed imperscrutabilità: “Nei racconti mitologici, gli dei si trasformano in animali o in uomini mortali per realizzare i propri desideri sessuali: Zeus si trasforma in un serpente per possedere la madre Rea e in un cuculo per sedurre la sorella Era; Mirra si avvolge nell’oscurità per giacere con il padre. Siamo all’infanzia dell’uomo, al desiderio innocente di capire e di conoscere e il doppio è una trasformazione volontaria e consapevole sotto sembianze diverse o mentite spoglie”16. La maschera del doppio rende realizzabili quelle azioni che la coscienza o le regole sociali impediscono di compiere, ma gli uomini non nascondono ancora i loro desideri. Per dirla con le parole di J. L. Borges: “I due regni, lo speculare e l’umano, vivevano in pace; per gli specchi si entrava e si usciva”.

Freud in un saggio17 e Rank in un libro18 hanno interpretato e analizzato, da un punto di vista psicanalitico, il tema del doppio basandosi soprattutto sui racconti e sui romanzi fantastici dell’800: Hoffmann, Poe, Maupassant, Wilde, Heine, Dostoevskij, dove il doppio è sempre un altro, perfettamente identico al protagonista ma materializzato in qualcosa di esterno a lui, ombra, immagine riflessa o sosia. Tutti questi scrittori, secondo Rank, rivelano un’identica struttura psichica, una comune personalità nevrotica e il ricorrere ossessivo del tema del doppio non costituisce altro che una sublimazione di queste nevrosi19. “Questa rappresentazione del doppio – rileva la Albano – è esattamente contraria a quella del racconto mitologico. Questa volta siamo di fronte ad una vera e propria rimozione in senso psicanalitico: l’uomo ha perduto la propria innocenza, la consapevolezza delle proprie azioni e dei propri desideri; ha inizio il disagio, la paura, la nevrosi”20. Pensiamo a William Wilson di Poe o a Dorian Gray di Wilde: le pulsioni più basse e i lati più abietti della personalità vengono proiettati nell’altro da sé, nel proprio doppio. Ancora Borges: “Una notte la gente dello specchio invase la Terra. Irruppe con grandi forze”.

Rapportando la dinamica di questi meccanismi al cinema di fantascienza “la rappresentazione del doppio – scrive ancora la Albano – si organizza in questo modo: il significante, il corpo, è umano, il significato invece è alieno, cioè tradotto in linguaggio psicanalitico, si potrebbe dire che il rimosso invade la coscienza”21. Questa interpretazione, per quanto suggestiva, mostra tuttavia una contraddizione: il doppio, nella fantascienza degli anni Cinquanta, non rappresenta la parte istintiva e irrazionale dell’uomo ma esattamente il suo contrario, la fredda ragione, l’assenza di pulsioni, desideri ed emozioni. In The Invasion of the Body Snatchers22 l’angoscia nasce proprio dalla constatazione della perdita di queste pulsioni. “Molte persone – dice Miles a Becky – perdono a poco a poco la loro umanità, ma non dalla sera alla mattina… Ma la differenza è poca… Ci si indurisce il cuore giorno per giorno… Solo quando dobbiamo lottare per difendere la nostra umanità ci accorgiamo quanto valga, quanto ci sia cara”. Il terrore dello scrittore Jack davanti al suo duplicato disteso sul tavolo da biliardo è il terrore della visione del cadavere di se stessi, della propria morte, in quanto totale mancanza di emotività.

Afferma Siegel a questo proposito: “Il mio film tratta di mostri. Certo. Ma non sono mostri scesi dal cielo o saliti dalle profondità della Terra. Questi mostri sono delle persone in apparenza comuni. […] Sono persone del tutto prive di sentimenti, di sensazioni. Certo, esistono, respirano, parlano, mangiano e dormono. Ma non sentono nulla. Niente li scuote o li riguarda. Per diventare un mostro del genere non occorre un baccello, basta scordarsi cosa voglia dire provare delle passioni, degli entusiasmi, la gioia o la rabbia… quando si diventa così, non si è più degli esseri umani. Si è dei vegetali. Come il popolo dei baccelli del mio film”23. È evidente allora come il tema del doppio, del sosia, presenti tanto nella letteratura fantastica che nel cinema di fantascienza degli anni Cinquanta, in ambito psicanalitico, non possano assumere lo stesso significato.

“Tu hai vinto, e io cedo; ma da qui in avanti anche tu sei morto, morto al mondo, al cielo, alla speranza. Tu esistevi in me, e nella mia morte, guarda questa immagine, che è anche la tua, guarda come ti sei orrendamente assassinato”24. La conclusione di William Wilsonsuggerisce infine un’altra considerazione: al contrario che nella tradizione letteraria infatti, dove alla morte del doppio si accompagna anche quella del protagonista, nella fantascienza il duplicato vive solo con la soppressione o nell’assenza dell’altro: il freddo dominio della ragione esige inevitabilmente la morte dei sentimenti e delle pulsioni.

N O T E

Il Prospero shakespeariano diviene nel film il dottor Morbius, il servizievole spiritello Ariel il robot Robbie, il mostro Calibano l’Id dello scienziato. Nella Tempesta sull’isola approdava appunto un gruppo di naufraghi.

All’uscita del film sugli schermi americani, la MGM basò invece tutto l’approach pubblicitario (il celebre manifesto) sulla figura del robot e sul fascino femminile di Altaira, nuda, stretta tra le sue braccia. Robbie riscosse un successo clamoroso, in Italia partecipò addirittura ad una puntata di Lascia o Raddoppia?

È evidente, anche se nel film non viene asserito, che la tigre mansueta che improvvisamente tenta di assalire Altaira, mentre questa è in un tenero colloquio col comandante, è anch’essa una creazione di Morbius. Lo scienziato ha paura che la figlia si separi da lui e quindi il suo inconscio reagisce violentemente.

Alberto Angelini, Buon giorno, signore alieno, in “Rivista del cinematografoN.18, dicembre 1978, p. 524

C. Asciuti, F. Carlini, G.Fumagalli, Effetto macchina. Guida al cinema di fantascienza, Il Formichiere, Milano 1978, p. 10.

C. G Jung, Su le cose che si vedono in cielo, in “Opere”, Borlinghieri, 1986, vol. X, tomo II, p. 167

Ivi, p.169

Ivi, p.175

Ivi., p. 180

10 S. Freud, Totem e Tabù, Torino, 1969, p.133

11 Alberto Angelini, op.cit., p. 525

12 L’angoscia che accompagna lo spettatore durante la visione di The Invasion of the Body Snatchers è proprio dovuta alla mancanza del meccanismo di estraniazione: gli alieni sono identici a noi.

13 C. Asciuti, F. Carlini, G. Fumagalli, op.cit., p.10

14 E.A. Poe, William Wilson, in “RaccontiFabbri Editori, Milano, 1987, p.177.

15 Il cinema stesso è doppio della realtà, in quanto arte della duplicazione per eccellenza.

16 Lucilla Albano, La fantascienza e il mondo degli specchi, in “Film Critica” n.323, aprile 1982, p.147.

17S. Freud, Il perturbante, in Opere, vol. IX, Boringhieri, Torino, 1977.

18 O. Rank, Il doppio, SugarCo Edizioni, Milano, 1978.

19 Secondo le interpretazioni di Freud e Rank il motivo del doppio nella letteratura esprimerebbe sostanzialmente il tentativo dell’artista di esorcizzare l’ombra terribile che lo perseguita, cioè la morte.

20 Lucilla Albano, op. cit., p. 148

21 Ivi, p.149

22 Nel film, paradossalmente, la sostituzione, e quindi la perdita della sfera delle pulsioni, avviene durante il sonno, cioè nel momento stesso in cui la ragione cede il campo all’inconscio. “Non ho resistito, mi sono addormentata, Miles…ed è successo” dice Becky a Miles. Sleep No More (Senza più dormire), era appunto il titolo che Siegel avrebbe voluto per il film, traendolo da un verso del monologo di Amleto.

23 Luigi Cozzi, Il cinema dei mostri, Fanucci, Roma, p.182.

24 Edgar Allan Poe, op. cit., p. 187.

MASSIMILIANO CONTI è nato nel 1973 a Civita Castellana (VT), ove attualmente risiede. Nel 1992 ha conseguito il diploma di maturità classica, nel 1998 si è laureato in lettere all’Università “La Sapienza” di Roma, discutendo la tesi: Il cinema americano di fantascienza degli anni Cinquanta. Relatori: prof. Giovanni Spagnoletti: correlatore: dott. Stefano Todini. Esperienze lavorative: collaborazione giornalistica con il quotidiano “Corriere di Viterbo” dal 1996 al 1998. Interessi principali: cinema, musica, informatica. Attualmente, frequenta il “Laboratorio di giornalismo e tecniche audiovisive” di Roma, diretto da Franco Riina, e cura la rivista culturale su Internet “Officina”. Con “Future Shock”, ha pubblicato: Il cinema americano di fantascienza degli anni Cinquanta (n.27), L’esplosione della fantascienza nel cinema degli anni ’50 (n.30) e La science fiction negli anni Cinquanta (n.32).

Tratto dalla tesi di laurea di Massimiliano ContiIl cinema americano di fantascienza degli anni Cinquanta, svolta, nell’anno accademico 1997-98, all’Università degli Sudi di Roma “La Sapienza”, Facoltà di lettere, Dipartimento di Musica e Spettacolo. Relatore: prof. Giovanni Spagnoletti; correlatore: dott. Stefano Todini. 

Fonte: http://www.futureshock-online.info/pubblicati/fsk41/html/body_conti.htm

Loading...

Notice: ob_end_flush(): failed to send buffer of zlib output compression (0) in /home/kzjpxwtn/public_html/wp-includes/functions.php on line 5373