Esperienze di viaggio dell’autore che, in compagnia di nativi americani, si dedica all’esplorazione degli insediamenti nascosti negli anfratti dei canyon nel sud-ovest degli Stati Uniti.
Si tratta di uno dei misteri che l’archeologia ufficiale tenta ancora di far rientrare nei canoni ormai consolidati, le cui uniche interpretazioni si devono unicamente al tramandarsi di tradizioni e conoscenze di cui solo i nativi americani sono oggi testimoni.
“Una nuova vita ha avuto inizio: un bambino piange nella piccola stanza dalle pareti in pietra. Giace su una coperta e, accanto a lui, c’è una pannocchia di mais, “Madre Mais”, che non verrà toccata per i prossimi venti giorni. Il bambino rimarrà nell’oscurità per tutto il periodo. All’alba del ventesimo giorno, la madre prenderà il bambino tenendolo sul braccio sinistro e raccoglierà la pannocchia con la mano destra. Annuirà a sua madre, la nonna del bambino, e lasceranno la casa col piccolo dirigendosi verso Est. Si fermeranno e, pregando in silenzio, cominceranno a sgranare la pannocchia di mais, gettando i grani in direzione del Sole. Quando il Sole sarà completamente sorto all’orizzonte, la madre avanzerà e sollevando il bimbo verso il Sole pronuncerà queste parole: “Padre Sole, questo figlio appartiene a Te”.”
Il vero nome di questo popolo ci è tuttora sconosciuto. Diverse centinaia di anni dopo la loro sparizione, un gran numero di indiani navaho vennero da Nord, dal Canada, e vedendo le rovine di antichi edifici diedero ai costruttori il nome di Anasazi, “antico popolo” oppure, in un’altra traduzione, “nemici dei nostri antenati”. La storia moderna presenta il fenomeno degli Anasazi in modo molto aderente al quadro storico generale. Vengono menzionate tre fasi di evoluzione della loro civiltà:
- la prima fase da duemila anni fa fino al tempo dei primi nomadi;
- la seconda dal 600 d.C. circa fino ai primi insediamenti costruiti sottoterra;
- la terza fase, più sviluppata, è il periodo in cui furono costruite le città in pietra, dal X al XIII secolo d.C.
Senza alcuna spiegazione logica, le loro città, distribuite su un enorme territorio, furono abbandonate tutte contemporaneamente nel XIII secolo. La teoria dominante è che la migrazione si sia verificata in due direzioni: a Sud-Ovest verso l’Arizona, ubicazione dell’attuale popolo hopi che identifica gli Anasazi come propri antenati, e a Sud-Est, in New Mexico, dove sono localizzate diciannove tribù degli indiani pueblo.
Ma qui sorge un problema: il gran divario di tempo tra la scomparsa della civiltà Anasazi e l’apparizione degli indiani pueblo.
Tra i rari documenti scritti su ciò che è stato rinvenuto in una città Anasazi trovata ancora intatta, apprendiamo molto dalla penna dell’allevatore Al Wetberilb, che nel 1882 esplorò il canyon di Mesa Verde:
«Gli oggetti nelle stanze erano disposti come se le persone fossero andate in visita da qualche parte e potessero ritornare da un momento all’altro. Esemplari perfetti di terrecotte erano ordinata-mente disposti sul pavimento e in altri posti opportuni; le suppellettili domestiche erano dove le donne le avevano utilizzate; prove di bambini che giocavano “alla famiglia” come fanno ancora oggi. Nelle kiva dove gli uomini si incontravano c’erano ancora le ceneri di un fuoco estinto da tempo. Non c’era alcuna indicazione di atti di violenza verso le persone».
«Sembrava di poter vedere questa gente intorno a noi; guardarli lavorare nei campi mentre i cani abbaiavano e i tacchini gloglottavano; le donne che macinavano il mais e preparavano il pasto del giorno e i bambini che giocavano vicino a casa».
«Sembrava che stessimo calpestando un suolo sacro, entrando nelle case dall’aspetto pacifico di un popolo scomparso da molto tempo».
È forse il più importante mistero archeologico del Nord America ed ed è legato alla storia degli Anasazi, una civiltà che ha lasciato moltissime tracce di sè prima di scomparire misteriosamente dalla scena storica circa ottocento anni fa.
Tratto dal libro Civiltà Perduta di Sam Semir Osmanagich