E’ il cuore che governa il mondo, non il cervello. In tutti i campi, le nostre conquiste ci portano solo alla morte. Abbiamo voltato le spalle al solo regno dove la libertà è possibile. Nella grande immobilità che venne su di me a Epidauro, in quella vasta pace sentii pulsare il cuore della terra.
Ora so qual è la vera cura: è cedere, abbandonarsi, darsi, affinché i nostri piccoli cuori possano battere all’unisono col grande cuore del mondo.
Gli uomini che, in schiere innumerevoli, da ogni parte del mondo antico affrontarono il lungo viaggio verso Epidauro erano, credo, già guariti prima ancora di arrivare.
Seduto nel silenzio arcano dell’anfiteatro, pensavo alla strada lunga e contorta che avevo percorso per arrivare finalmente a questo salutare centro di pace. Chi avrebbe potuto scegliere un percorso più circonvoluto del mio? Avevo vagato per più di trent’anni, come in un labirinto. Avevo gustato ogni gioia e ogni disperazione ma non avevo mai conosciuto la pace. Strada facendo avevo sconfitto tutti i miei nemici, uno dopo l’altro ma il nemico più grande m’era rimasto nascosto – me stesso.
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Come entrai nello spazio immobile dell’anfiteatro, che era immerso in una luce immacolata, mi diressi verso quel punto, proprio al centro, da dove anche il più fievole sussurro s’innalza come un uccello, in un volo felice che finisce e si spegne sul pendio della collinetta soprastante, come si spegne la luce del giorno inghiottita dal nero vellutato della notte. Nemmeno Balboa sulla vetta di Darien può aver conosciuto una meraviglia più grande della mia in quel momento. Non c’era più nulla che dovesse essere conquistato: davanti a me si estendeva un oceano di pace.

Essere liberi, così come in quel momento seppi di essere, è rendesi conto della vanità di ogni conquista, persino della conquista del sé, che è l’atto estremo dell’egocentrismo.
Essere felici consiste nel portare l’ego al suo culmine finale e poi, trionfanti, abbandonarlo. Conoscere la pace è un’esperienza totale, che viene subito dopo, quando l’abbandono è completo, quando non c’è più nemmeno la consapevolezza di darsi. La pace è al centro e quando vi si giunge la voce innalza un canto di lode e di benedizione. Poi si allontana e s’espande fino ai limiti estremi dell’universo. E guarisce, perché porta luce, calore, compassione.

“Epidauro è solo un luogo simbolico: il vero luogo è il cuore, è nel cuore di ogni uomo, se solo ci si ferma un attimo a cercarlo. In ogni scoperta c’è questo di misterioso – ciò che essa rivela è inaspettatamente immediato, vicino, intimamente conosciuto da sempre.
“…. La lotta non è contro le malattie: esse sono solo un sottoprodotto. Il nemico dell’uomo non sono i microbi, ma l’uomo stesso, il suo orgoglio, i suoi pregiudizi, la sua stupidità e la sua arroganza.
Nessuna classe ne è immune, nessun sistema ha scoperto la panacea. Ciascuno deve, individualmente, ribellarsi a un modo di vivere che non gli è appartiene; è la rivolta, se vuole essere efficace, dev’essere continua e inesorabile. Non basta rovesciare governi, padroni, tiranni; bisogna rovesciare i propri preconcetti di bene e di male, di giusto e sbagliato, di verità e menzogna.
Dobbiamo abbandonare le trincee conquistate a fatica nelle quali ci siamo sepolti e uscire allo scoperto, abbandonare le nostre armi, i nostri possessi, i nostri diritti individuali, di classe, di nazione, di popolo. Nessuno potrà mai asservire un miliardo di uomini che cercano la pace. Noi stessi ci siamo asserviti, con la nostra meschina, ristretta visione della vita.”
Tratto dal libro Il Colosso di Marassi di Henry Miller

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I problemi che abbiamo vengono per risolvere qualcosa in noi stessi. Sono così insolubili che ci spingeranno in un angolo dal quale solo il nostro genio creativo più autentico potrà tirarci fuori. L’alternativa è la follia, una continuazione della follia che già ci possiede e che cerca di accumulare beni, armi e protezioni esterne a noi. Al mondo, abituato com’è a questo movimento verso l’esterno, sembrerà invece follia l’atto intuitivo di volgersi, disarmati, verso la propria interiorità per trovare là le risposte.

Il più grande guaritore naturale è il nostro stesso sé. Lo sciamano, il guaritore, il “naturopata” sono dentro di noi. La nostra energia ci viene dalle montagne, dal mare e dal cielo, che sono tutti dentro di noi. E’ la nostra stessa natura a guarirci. Se ci mettiamo in contatto con la sorgente che è in noi possiamo fare anche a meno degli alberi e del cielo; è il nostro meccanismo di difesa, pronto a rispondere. C’E’ SEMPRE UN MEDICO IN CASA, che dimora in noi, nel cuore dietro al cuore, nella grotta luminosa, come la chiamavano i Rishi.
Possiamo, come Henry Miller a Epidauro, farne la scoperta fortuita e in simili momenti ci liberiamo dalla nostra ristretta continuità di tempo e di spazio per sfociare nella grande dimensione risanatrice universale. Quando questo medico interiore uscirà in primo piano in un numero sufficiente di persone, le vecchie strutture crolleranno e la malattia verrà riassorbita dall’altra sua faccia, la salute.

Proprio come quei problemi che sembrano venire per risolvere qualcosa in noi, le malattie sono venute a ricordarci che esiste un guaritore da troppo tempo dimenticato. L’evoluzione consiste in una scoperta e liberazione progressiva delle operazioni spontanee delle forze di vita.
Quando permettiamo a queste energie di agire indisturbate, anche il bisogno di terapie alternative viene a cadere. Queste terapie, permettendo un approccio più sottile all’energia interiore, sono un passo verso la verità, sono gli aiutanti del medico interiore; ma quando sarà interamente libero, il medico divino che è in tutti noi darà loro per sempre il premio del riposo, poiché il loro lavoro sarà finito.
Avremo allora spezzato la nostra catena, vivremo fuori dalle malattie, in un benessere luminoso.
La storia dell’umanità farà un “salto quantico” verso la sua realtà interiore e saremo fuori, avremo spezzato la spirale della storia.
E’ una cosa che sta già succedendo.

di Maggi Lidchi Grassi

Nell’immagine Il teatro di Epidauro

 




 


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