L’interesse per le pratiche meditative è andato crescendo negli ultimi decenni per diversi motivi. A partire dagli anni sessanta si è verificato un avvicinamento culturale fra Occidente ed Oriente, sempre più persone infatti si accostarono alle filosofie orientali e alle numerose tecniche prodotte da quella cultura. Il bisogno di interiorità come reazione ad una cultura considerata materialista e arida, spinse molte persone, giovani soprattutto, sulla via dell’Oriente, dove scoprirono un pensiero centrato sulla ricerca di unità e di sintesi, quando invece il pensiero occidentale, con la sua propensione analitica, proponeva di costruire il suo processo di conoscenza parcellizzando e segmentando la realtà, favorendo così una visione sempre più specialistica ma frammentata. Dall’incontro fra Occidente ed Oriente nacquero una nuova visione e nuove opportunità di ricerca che permettevano di unire il rigore metodologico occidentale alla sperimentazione di tecniche psicofisiche orientali. La scienza e la cultura contemporanea si sono notevolmente arricchite da questo incontro, probabilmente non avremmo oggi la medicina psicosomatica e la medicina olistica, la psicologia umanistica e transpersonale, la naturopatia, l’ecologia, il movimento new age e la nuova spiritualità, che sono per molti versi conseguenza di questo incontro.
Per quello che riguarda la meditazione, che nella cultura indotibetana come in quella cinese è parte integrante della visione mistico-religiosa, si associano ad essa stati di beatitudine, di risveglio interiore, di coscienza trascendente, di comunione con il divino, di ascesi mistica. La scienza occidentale nei confronti della meditazione ha avuto inevitabilmente un approccio più laico. Quello che interessava era poter valutare l’eventuale esistenza di benefici psicofisici dalla sua pratica, magari con riferimento alla cura di particolari malattie. In occidente si conosceva il training autogeno del dott. Schultz (anni venti), il rilassamento progressivo del dott. Jacobson (anni trenta) e con gli anni settanta si cominciava a studiare ed utilizzare il biofeedback. Diventava interessante quindi poter confrontare l’efficacia delle varie pratiche in rapporto ai loro effetti sulla salute.
I primi studi
Fra i primi studi abbiamo quelli di Therese Brosse, (cardiologa francese che nel 1935 in India condusse delle ricerche su alcuni yogi. Si era diffusa la leggenda che in India alcuni yogi in meditazione riuscivano a fermare il cuore, così la dott.ssa Brosse “armata” del suo elettrocardiografo provò a verificare non tanto la leggenda in sè, quanto il fatto se fosse possibile o meno modificare in modo volontario l’attività del sistema nervoso autonomo. La Brosse verificò e rese note le sue osservazioni. Durante la meditazione si poteva osservare:
– riduzione della frequenza cardiaca e del ritmo respiratorio
– a livello cerebrale la registrazione di uno stato di rilassamento diverso dal sonno
Negli anni cinquanta gli psicofisiologi Wenger e Bagchi, intrapresero un viaggio in India durato cinque mesi durante il quale percorsero più di 4000 miglia sottoponendo ad analisi con un elettroencefalogo portatile varie persone trovando però, come diranno alla Società Americana di Elettroencefalografia nel 1958 pochi esperti in meditazione. Sulla base dei loro studi in particolare su 14 soggetti praticanti il Raja Yoga confermarono che la meditazione può rappresentare un singolare stato di riposo profondo. In tutti i soggetti si registrarono durante lo stato meditativo: un forte aumento della resistenza cutanea, un rallentamento del ritmo della respirazione, e soprattutto un pattner elettroencefalografico caratterizzato da un ritmo alfa persistente. Nei soggetti normali lo stato alfa presente in stato di riposo ad occhi chiusi, è prevalente nella fase che precede il sonno. Gli yogi in meditazione, al contrario, mostravano un pattner alfa durante il normale stato di veglia.
In un lavoro successivo i fisiologi indiani Anand, Chhina e Singh (1961) confermarono la presenza persistente di attività alfa con marcato aumento della modulazione d’ampiezza durante lo stato definito di samadhi, scoprendo inoltre, un fenomeno ancora più interessante: l’attività alfa non veniva bloccata dalla somministrazione di diversi stimoli sensoriali. La mancata desincronizzazione del ritmo alfa nonostante la stimolazione sensoriale permise di ipotizzare che durante la meditazione gli yogi presentavano un livello di assorbimento e di rilassamento molto profondo senza però essere addormentati.
Nel 1966 in uno studio analogo condotto da Kasamatsu e Hirai, due neuropsichiatri giapponesi, su monaci Zen praticanti la meditazione Zazen constatarono la presenza di ritmi alfa già 50 secondi dopo l’inizio della meditazione, nonostante essi mantenessero gli occhi aperti. Le onde alfa generalmente aumentavano di ampiezza e in alcuni monaci, quelli con più anni di pratica, il ritmo alfa rallentava ulteriormente per diventare una successiva onda theta con frequenza dimezzata rispetto a quella alfa.
Successivi studi di Tomo Hirai, applicando EEG ed ECG a monaci zen (meditanti abituali) confermò:
– un aumento dell’ampiezza delle onde alfa soprattutto nella corteccia frontale
– una diminuzione significativa del consumo di ossigeno, della frequenza respiratoria, e di quella cardiaca
Aspetti fisiologici della meditazione
Sarà però negli anni settanta che si assiste ad un ulteriore e più sistematico incremento degli studi sulla fisiologia degli stati meditativi. Pioniere di questi studi fu Robert K. Wallace, infatti la sua tesi di Ph.D. sostenuta nel 1970 presso l’Università della California a Los Angeles e i successivi lavori con Herbert Benson, altro noto ricercatore in questo campo, costituiscono una pietra miliare degli studi sulla fisiologia della meditazione. La pratica prescelta fu la Meditazione Trascendentale (MT) diffusa nel mondo occidentale a partire dagli anni sessanta da Maharishi Mahesh Yogi. La Meditazione Trascendentale si era diffusa in occidente grazie anche alla notevole risonanza avuta sui media, del soggiorno dei Beatles (e altri protagonisti dello star-sistem quali Mia Farrow, Donovan, Paul Saltzman) avvenuto nel febbraio del 1968 presso l’ashram di Maharishi il cui nome ufficiale era International Academy of Meditation, che sorgeva nei pressi di Rishikesh allora considerata la “capitale mondiale dello yoga”, situata nei pressi del Gange ai piedi dell’Himalaya.
La scelta della MT era dovuta al fatto che questa tecnica si era diffusa rapidamente ed erano molti gli americani che la praticavano offrendo così un campione abbastanza eterogeneo facilmente raggiungibile e che avevano appreso la stessa tecnica in maniera omogenea. Inoltre mentre i precedenti studi erano stati effettuati su monaci o yogi, in questo caso il campione era rappresentato da soggetti che non avevano particolari osservanze religiose e questo permetteva lo studio di una tecnica isolata da contesti religiosi o ritualistici.
Le osservazioni raccolte in laboratorio da Wallace e Benson confermarono che durante la pratica si verificava:
– una marcata riduzione del consumo di ossigeno
– un aumento considerevole della resistenza elettrica cutanea
– una diminuzione della frequenza cardiaca e respiratoria
– una intensificazione dell’attività alfa a livello cerebrale
– una rapida diminuzione nella concentrazione del lattato ematico
Il lattato ematico è un prodotto del metabolismo anaerobico presente principalmente nel tessuto muscolare e la cui concentrazione diminuisce in un soggetto a riposo. La velocità di diminuzione durante la meditazione è risultata quattro volte più rapida rispetto a persone in normale stato di riposo. Dal momento che l’alta concentrazione di lattato ematico è stata riscontrata in soggetti affetti da nevrosi d’ansia in seguito a stress (Pitts, 1969) e che una iniezione di lattato può provocare attacchi d’ansia negli stessi soggetti e sintomi d’ansia in soggetti normali, Wallace e Benson ipotizzarono che il basso livello di lattato presente nei meditanti durante e dopo la meditazione potesse essere in parte responsabile delle condizioni di tranquillità e rilassamento.
Più recentemente
Negli anni ottanta e novanta gli studi diventarono più sistematici e articolati. Oltre alle tradizionali indagini con EEG ed ECG si associano anche analisi del sangue per valutare i livelli di importanti ormoni e neurotrasmettitori.
Come ci ricorda Francesco Bottacioli, medico e docente di psiconeuroimmunologia, nel suo Meditazione psiche e cervello (2003) riassumendo i risultati di questi studi, si può affermare che oltre alle funzioni metaboliche descritte si registra in seguito ad una regolare pratica meditativa:
– regolazione della produzione di cortisolo, ormone prodotto in situazioni di stress
– aumento notturno di melatonina, ormone del sonno con funzioni chiave nella sincronizzazione dei ritmi biologici dell’organismo
– riduzione di noradrenalina, prodotto sia dalle surrenali che dal cervello sotto stress
– aumento di serotonina, equilibrante dell’umore, della fame e del sonno
– aumento della Dhea, ormone prodotto sia dalle surreni che dal cervello con molteplici ruoli sia sull’umore che nel sistema immunitario
Uno studio effettuato da psicofisiologi dell’Accademia delle scienze mediche della Russia ha analizzato le modificazioni cerebrali di venti meditanti esperti sia durante la pratica che successivamente, constatando una riduzione della complessità dell’attività cerebrale nelle aree frontomediali che si combina con l’incremento delle onde theta e alfa. I ricercatori suppongono che durante la pratica meditativa vengano “spenti” circuiti nervosi irrilevanti e inibite informazioni non pertinenti, come se il nostro cervello riducesse il sovraccarico riorganizzando i circuiti che contano.
La sincronizzazione emisferica
Un altro fenomeno osservato recentemente riguarda il livello di coerenza intraemisferica prodotto durante la pratica meditativa. Pioniere in questo tipo di studi è un italiano, Federico Nitamo Montecucco, medico olistico che con il dott. Giroldini, esperto informatico, mette a punto nel 1993 il Brain Olotester, un elettroencefalografo computerizzato capace di scomporre le onde cerebrale in 64 bande e visualizzarle a colori sullo schermo di un computer consentendo così di misurare il livello di sincronizzazione fra i due emisferi. Il dott. Montecucco ha potuto testare nel corso degli anni novanta, meditanti esperti e non, sia in Italia, in India che nei monasteri himalaiani.
Dalle ricerche di Montecucco raccolte nel suo ottimo libro Cyber, la visione olisitica (2000), probabilmente la prima opera di vera sintesi olistica, vengono evidenziate alcune indicazioni:
– durante la meditazione si osserva una progressiva sincronizzazione emisferica che significa una correlazione coerente fra l’attività elettrica dei due emisferi. I due emisferi sappiamo svolgono attività diversificate, come se si fossero nel corso dell’evoluzione specializzati in due diverse funzioni: intuitivo-creativo quello destro e logico-razionale quello sinistro. In condizioni di veglia e di attività cerebrale si osservano range di onde diversificate fra i due emisferi. Durante la meditazione si osserva un progressivo allineamento di onda e una progressiva sincronizzazione che nei meditanti più esperti arriva anche a livelli di sincronizzazione del 90%.
– si è scoperto che un alto livello di coerenza emisferica in cui sembra che l’intero cervello pulsi secondo un’unica onda armonica, si associa ad una maggiore creatività e senso di benessere.
– si è notato che più sono elevati i livelli di sincronizzazione più sono correlati ad alti livelli di salute, mentre più sono bassi più sono correlati a stati di depressione psicofisica.
– utilizzando il Brain Olotester su più persone contemporaneamente, ad esempio un gruppo di persone in meditazione, si registrava progressivamente un allineamento delle onde individuali verso una sincronizzazione collettiva, come se si creasse una particolare sintonia fra i cervelli delle persone partecipanti all’esperimento che si concretizzava in alti livelli di sincronizzazione. Montecucco parlerà a tale proposito di Buddhafield intendendo un particolare campo di coscienza collettiva legato da un alto livello di empatia fra i membri.
Effetti sulla salute psico-fisica
Le malattie cardiovascolari rappresentano la principale causa di morte in occidente. Arterosclerosi e ipertensione sono strettamente correlati a patologie cardiache. Studi su gruppi di cardiopatici hanno dimostrato un miglioramento significativo in chi praticava la meditazione e un ulteriore miglioramento si otteneva introducendo un cambiamento della dieta e l’introduzione di attività fisica. Studi condotti da compagnie assicurative americane indicano chiaramente che la pratica regolare della meditazione è in grado di ridurre drasticamente le spese di ospedalizzazione e di medicinali. Come ci ricorda Mariano Bizzarri, oncologo dell’Università La Sapienza di Roma nel suo lavoro, Neurofisiologia della meditazione e attivazione del “Guaritore Interno” (2003) una indagine condotta da compagnie assicurative americane per 5 anni su due gruppi omogenei, uno praticante la Meditazione Trascendentale e l’altro di controllo, ha evidenziato nel primo gruppo, rispetto al secondo, un decremento dell’87% delle ospedalizzazioni per malattie cardiache, del 55% per il cancro, dell’ 87% per malattie nervose, e del 73% per malattie dell’apparato respiratorio.
Studi analoghi ripresi sempre da Bizzarri nel suo splendido libro La Mente e il Cancro (1999) sono stati condotti nell’ambito dei programmi di disintossicazione di alcolisti e fumatori. Tali studi riportano che il 50-90% dei soggetti inseriti in programmi di meditazione abbandona il consumo di alcol e/o sigarette a fronte di un tasso di sospensione dall’uso del 25-30% registrato nei gruppi trattati con farmaci e/o tecniche di rilassamento.
In una rassegna pubblicata su International Journal of Psychoterapy vengono sintetizzati così gli effetti psicologici della meditazione:
– sviluppa pazienza
– promuove un atteggiamento non giudicante
– aiuta le persone a vivere bene in situazioni incerte e instabili
– stimola a prendere contatto con sé stessi e la propria coscienza
– sviluppa responsabilità personali
– organizza sentimenti che permangono
Sulla stessa linea ci sono gli studi di Schwartz e Goleman, due psicologi dell’Università di Harvad che mettendo a confronto gruppi di persone che praticavano la meditazione e gruppi di controllo verificarono che i meditanti riportavano, rispetto gli altri, livelli di ansia inferiori e avevano meno disturbi psicosomatici tipo raffreddori, mal di testa e insonnia. Secondo loro i meditanti avevano uno schema di reazione eccitatoria iniziale maggiore degli altri, ma con un maggiore deflusso eccitatorio successivo all’evento stressante, mentre gli altri tendevano a prolungare lo stato eccitatorio. Le persone che sono cronicamente ansiose condividono lo stesso schema di reazione allo stress, i loro corpi mobilitano energia per affrontare la sfida, ma poi non sono in grado di interrompere la reazione finito il problema.
Jon Kabat-Zinn, ricercatore dell’Università del Massachusetts noto per i suoi programmi per la riduzione dello stress basati sulla meditazione Mindfulness, una tecnica meditativa che si rifà alla tradizione buddhista, sostiene che le persone generalmente positive ed ottimiste, che vivono spesso emozioni positive, hanno il lato sinistro della parte frontale del cervello più attivo di quello destro. Le ricerche svolte in merito hanno confermato l’ipotesi dei ricercatori: il gruppo che meditava ha mostrato un aumento dell’attività del lato sinistro della regione frontale del cervello. Questo suggerisce che la meditazione può portare ad un aumento dell’attività di questa regione del cervello.
Dello stesso avviso è Andrew Newberg, professore di medicina nucleare dell’Università di Pennsylvania, noto per i suoi studi con la tomografia computerizzata a emissione di fotoni singoli (SPECT) su monaci buddhisti e suore cattoliche volti ad indagare gli stati mistici, la trance estatica e gli stati di illuminazione. Le ricerche di Newberg mettono in luce che durante la meditazione si rileva un aumento del flusso sanguigno e dell’attività neurale nella corteccia prefrontale in particolare sul lato sinistro. Newberg si spinge a ipotizzare che lo stato di illuminazione inteso come accesso ad un livello superiore di coscienza caratterizzato da una sensazione di fusione mistica (Oneness), accompagnato da sentimenti di gioia profonda non sia dovuto solo a cambiamenti psicologici o a cambiamenti di filosofia di vita, ma a cambiamenti sostanziali del funzionamento cerebrale.
Nella stessa direzione ci portano gli studi di Richard Davidson neuroscienziato dell’Università di Wisconsin, noto per i suoi contatti con il Dalai Lama che si dimostrò molto interessato alla sue ricerche con la risonanza magnetica funzionale su monaci buddhisti esperti in meditazione. Davidson sostiene che la meditazione produce effetti biologici, ovvero modificazioni nel cervello favorendo il sorgere di emozioni più positive. Lui sostiene che quando una persona vive emozioni negative, quali rabbia, paura paralizzante, depressione, esiste un livello di attività insolitamente elevato nell’amigdala, una struttura a forma di mandorla localizzata in profondità nei centri emotivi del cervello. Oltre a questo, c’è un livello di attività insolitamente alto nella corteccia prefrontale destra. Sembra che l’amigdala controlli quest’area della corteccia prefrontale quando siamo coinvolti in stati emozionali negativi. Quando si manifestano invece stati di segno opposto per esempio, ottimismo, speranza, allegria, l’amigdala e la corteccia prefrontale destra risultano meno attivi, mentre si registra una maggiore attività nell’area prefrontale sinistra. Le ricerche sui monaci buddhisti con anni di esperienza nella meditazione indicano che questi hanno un’attività significativamente maggiore nel lobo prefrontale sinistro rispetto alle persone che non praticano questa tecnica.
Cosa possiamo dire di questi studi?
Diciamo innanzitutto che gli studi si sono fatti nel tempo sempre più numerosi e articolati, e l’utilizzo di tecniche di indagine sempre più sofisticate lasciano pensare che in futuro sarà possibile capire meglio non solo gli effetti della meditazione sul corpo, ma anche sul cervello con i suoi correlati mentali e psichici. Possiamo dire che la pratica meditativa, fin dalle prime ricerche si è dimostrata una buona tecnica di rilassamento. Ci sono tutta una serie di parametri che vanno in quella direzione.
– la prevalenza del ritmo alfa/theta a livello cerebrale (tipico del riposo profondo)
– l’aumento della resistenza cutanea (indicatore di bassa eccitazione emotiva)
– la riduzione del ritmo cardiaco e del ritmo respiratorio (stato di calma)
– la riduzione del lattato ematico (correlato a livelli elevati a forti stati ansiosi)
Questo suggerisce che questa pratica può essere un valido strumento non solo nella gestione degli stati ansiosi sia acuti che cronici, ma anche un valido coadiuvante di interventi psicoterapeutici specifici nella cura delle nevrosi d’ansia e dei disturbi fobici. Le ricerche di Delmonte e Kenny già alla fine degli anni ottanta consideravano la meditazione un possibile complemento della psicoterapia, ritenendo la meditazione utile a ridurre i sintomi dell’ansia, dell’insonnia, dell’uso di droghe e un possibile aiuto al miglioramento e all’autorealizzazione delle persone.
Diciamo inoltre che è una pratica che favorisce la riduzione dello stress o degli effetti legati allo stress. Abbiamo infatti degli indicatori in tal senso.
– una riduzione dei livelli di cortisolo e noradrenalina (elevati in stato di stress)
– un aumento notturno di melatonina (regolatore dei ritmi biologici)
– un aumento dei livelli di serotonina (equilibratore del tono dell’umore)
Questa azione avviene probabilmente attraverso variazioni della reattività dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrenalico (HPA) e conseguente stimolazione dell’attività del sistema parasimpatico (azione inibente del metabolismo) e riduzione dell’attività del sistema simpatico (azione eccitante del metabolismo). Considerando i ritmi e le condizioni di vita attuali sempre più vorticose e stressanti per cui si pensa che questo sia all’origine di molti disturbi aspecifici e psicosomatici, la pratica meditativa potrebbe essere un ottimo strumento di prevenzione e gestione dello stress, come suggerisce l’esperienza di Jon Kabat-Zinn e del suo Mindfulness Center dove sono stati curati in vent’anni più di diecimila pazienti, inviati da medici e altri specialisti per sottoporsi al suo “programma di riduzione dello stress”.
Attraverso poi una maggiore sincronizzazione emisferica come dimostrato dalle ricerche di Nitamo Montecucco, viene favorito un dialogo più armonico fra i due emisferi favorendo quindi un maggiore equilibrio fra la nostra mente logico-razionale e quella intuitiva-creativa, permettendo complessivamente una migliore capacità di utilizzo del nostro potenziale mentale.
Il registrato aumento di afflusso sanguigno e di attività neurale nei lobi frontali e in particolare nella corteccia prefrontale, come dimostrato dai lavori di Newberg e Davidson, una zona di particolare importanza sia per l’autocontrollo emotivo che per la capacità di elaborazione delle informazioni fanno pensare ad un aumento dell’equilibrio emotivo e della capacità di elaborare informazioni (intelligenza emotiva). L’attenzione poi posta sull’attivazione dell’area prefrontale sinistra ritenuta un’area importante nell’elaborazione dei vissuti di gioia, di serenità, di ottimismo, di fiducia, suggeriscono che la meditazione apporti un suo contributo al senso di soddisfazione e benessere che è alla base di una vita felice.
Di quale meditazione stiamo parlando?
Ci sono molti tipi di meditazione e sicuramente hanno tutti un valore. Del resto ogni scuola spirituale, indipendentemente dalla tradizione religiosa di riferimento, ha sviluppato tecniche meditative volte a favorire l’evoluzione personale e spirituale dei discepoli. Gli studi da cui sono tratte le informazioni riportate in questo articolo fanno riferimento principalmente a tecniche meditative derivanti dalla tradizione vedica. In questo ambito si possono collocare la meditazione trascendentale di Maharishi, la meditazione proposta da Paramahansa Yogananda all’interno del kriya yoga, la Vipassana, una meditazione della tradizione buddhista. L’aspetto comune di queste pratiche, è il raccoglimento in sé stessi, il distacco dal mondo esterno, attraverso l’utilizzo di un mantra, cioè la ripetizione mentale di un suono che aiuta la concentrazione e lo svuotamento della mente, o di visualizzazioni, o della concentrazione sul proprio respiro come nel caso della Vipassana.
Numerosi sono i riferimenti alla meditazione trascendentale, per il semplice fatto che questa pratica è stata forse la più “testata”. Maharishi che del resto aveva alle spalle una formazione scientifica (laurea in fisica), ha incoraggiato la ricerca dando vita alla Maharishi International University, dove un folto gruppo di ricercatori ha svolto molte ricerche sugli effetti del suo programma MT-siddhi. Per Maharishi la meditazione è considerata uno stato di coscienza a parte, il “quarto stato” come la definirà, diverso quindi dallo stato di veglia, dal sonno e dallo stato onirico, come il sogno. Uno stato di consapevolezza pura, caratterizzato dal massimo stato di vigilanza in una situazione di profondo rilassamento. Dello stesso avviso sembra essere Paramahansa Yogananda, per lui la meditazione è il ritornare al nostro centro interiore, il Sé, che diventa parte ed elemento di contatto con il divino. Attraverso la pratica meditativa, un aspetto centrale nel suo programma di realizzazione del Sé (Self-Realization Fellowship), basato sul Kriya Yoga, che è parte dell’antica tradizione del Raja Yoga, o yoga reale, si accede nel tempo a quella che lui definisce Supercoscienza. E’ utile ricordare che sia per Maharishi che per Yogananda come del resto per tutte le tradizioni spirituali, la meditazione non è una pratica salutista funzionale a mantenersi sani e a prevenire le malattie, come sta scoprendo la scienza dal alcuni decenni, quanto piuttosto la porta di accesso ad una dimensione che ha a che fare con la trasformazione della coscienza.
di Doriano Dal Cengio
Esperienze:
L’autore, Doriano Dal Cengio ha iniziato la pratica della meditazione nel 1980 con l’iniziazione alla Meditazione Trascendentale, proseguendo poi la sua ricerca attraverso la sperimentazione di meditazioni proposte da altre scuole, dal Kundalini Yoga, alle meditazioni di Osho, dalla meditazione di Yogananda, a quelle proposte dalla tradizione buddhista. Attualmente pratica e insegna un tipo di meditazione che è l’essenza di queste proposte, andando a cogliere e a mettere insieme gli aspetti comuni delle varie tradizioni.
Fonte: Scienza e Benessere