C’è uno spettro che si aggira per l’Universo, e questo spettro si chiama INTELLIGENZA.
E adesso qualcuno risponderà… maddai, noi uomini siamo intelligenti! E a me verrebbe da replicare… per davvero?
A me pare che sia un vocabolo andato molto in disuso negli ultimi tempi. Non se ne trova traccia, nemmeno a scuola, dove è stata ampiamente sostituita da vocaboli molto più innocui, tipo: competenze, conoscenze, livello di comprensione e via cantando.
Qualche servizio giornalistico a volte se ne appropria argomentando di intelligenza artificiale e chiedendosi pure se questa artificialità diventerà proprio simile al genere umano.
Gli americani ci imbesuiscono con tanti bei films in cui il vecchio amato robot finisce sempre per parlare, pensare, capire e apprezzare la vita. Ma io continuo a chiedermi quanti uomini siano ancora in grado di apprezzarla, la vita.
E poi mettiamoci pure il carico da undici… di tutte le volte che ci siamo sentiti dire che è più importante pensare col cuore, che vale molto di più l’intelligenza emotiva di quella del cervello, che la mente ci inganna e quindi non c’è oro al mondo che possa ripagare un’intuizione; quando al limite non ci si sente dire che l’intelligenza è egotica e che quindi è meglio farla fuori insieme all’EGO. E qui mi fermo.
Moretti direbbe che se non sappiamo la differenza che passa fra un Profiterol e un Montblanc, continueremo sempre a farci del male!
Fuor di metafora è che abbiamo duramente rimosso un vocabolo che avrebbe ancora molte cose da dirci.
Ulisse per millenni è stato portatore del saldo emblema dell’INTELLIGENZA. Protetto da Atena, nata dal cervello di Zeus, dea della Strategia in guerra e della Sapienza in pace, si è trascinato per vent’anni in guerra e in mare diventando nel mondo esperto e delli vizi umani e del valore, come sa ben dire l’Alighieri.
Per molto tempo, nel Mediterraneo, chi parlava di Ulisse parlava di se stesso, consapevolmente riconoscendo che ciascun uomo avrebbe sempre ripercorso i suoi passi, partendo per la guerra, lottando contro le bufere, conoscendo popoli sconosciuti e altre lingue e altri usi, parlando con gli dei e con i defunti, varcando il dolore come se fosse un mare.
E ancora viviamo in un mondo fortemente ulissiaco, ma abbiamo smesso di saperlo.
Ma in ciò che abbiamo dimenticato, affonda la radice dei nostri problemi.
Remeremo a vista attorno alla terzina più conosciuta e più misconosciuta del Poema dantesco…
Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza.
E forse sarà la volta buona che Ulisse saprà finalmente dirci chi siamo.
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