Quando diciamo “io penso”, che cosa vogliamo dire? Quand’è che siamo coscienti di questo processo definito come pensare? Di sicuro ne siamo consapevoli quando sorge un problema, quando ci sentiamo sfidati, quando ci viene posta una domanda, quando si manifesta un attrito.
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Allora ne diveniamo consapevoli percependolo come un processo autocosciente. Per favore non ascoltatemi come se fossi un conferenziere che procede nella sua comunicazione; voi e io stiamo esaminando le nostre modalità di pensiero, di cui ci serviamo a mo” di strumento nel nostro vivere quotidiano. Così mi auguro che stiate osservando il vostro stesso pensare, e non solo ascoltando ciò che dico, perché non sarebbe un bene. Se ascoltate solamente, invece d’osservare il vostro processo del pensiero, se non siete consapevoli del vostro stesso pensiero, osservando come sorge, il modo in cui viene a essere, allora non arriveremo da nessuna parte. Questo è ciò che stiamo cercando di fare, voi e io assieme, osservare cos’è questo processo del pensare.

Di sicuro pensare è una reazione. Se vi ponessi una domanda, voi rispondereste, e lo fareste in base alla vostra memoria, ai vostri pregiudizi, alla vostra educazione, all’intero sfondo dei vostri condizionamenti, inclusi quelli climatici. Proprio in base a questo insieme di dati, voi rispondereste, è in base a questi dati che voi pensate. Se siete cristiani, comunisti o induisti, o ciò che volete, quello sfondo risponde, ed è ovvio che proprio questo condizionamento crea problemi. Il centro di questo sfondo è l’io’, il “me” in azione.
Fino a quando questo sfondo non è compreso, fino a quando questo processo del pensiero, questo sé che crea il problema, non è compreso e risolto, siamo destinati a vivere in conflitto, interiormente, con gli altri, nel pensiero, nelle emozioni, nell’azione.

Nessuna soluzione di alcun tipo, anche la più astuta, quella formulata meglio potrà mai risolvere ed estinguere il conflitto tra uomo e uomo, tra voi e me. E quando comprendiamo questo, quando diveniamo consapevoli di come il pensiero sorge e da dove, ci chiediamo: “Può mai il pensiero cessare d’essere?”.
Questo è uno dei problemi, giusto?
Può il pensiero risolvere i nostri problemi? Pensando al problema, l’avete risolto? Qualsiasi tipo di problema: economico, sociale, religioso, è stato mai risolto dal pensiero? Nella nostra vita quotidiana, più si pensa a un problema e più questo si fa complesso, intricato, confuso. Non è forse così nel nostro vivere quotidiano? Certamente, nel ponderare certi aspetti di un problema, potrete capire con più chiarezza il punto di vista di qualcun altro, ma il pensiero non può vedere la completezza, la pienezza del problema, lo può solo comprendere parzialmente; e una risposta parziale non è completa, quindi non è una soluzione.

Più pensiamo a un problema, più tempo passiamo a investigare, analizzare, discutere e più si fa complicato. È mai possibile guardare a un problema comprensivamente, interamente? E come si fa? A me sembra che questa sia la difficoltà maggiore. Perché i nostri problemi si sono moltiplicati (ci troviamo di fronte al rischio imminente di una guerra, nelle nostre relazioni incontriamo tutti i tipi di disturbo possibili) e come possiamo comprendere tutto ciò in modo esauriente, nella sua interezza?
Ovviamente un problema può essere risolto solo quando possiamo osservarlo nella sua interezza, non dopo averlo frammentato e diviso. E quand’è che ciò è possibile? Nel modo più certo, è possibile solo quando il processo del pensiero, che è radicato nel “me”, nel sé, nello sfondo della tradizione, nel condizionamento, nel pregiudizio, nella speranza e nella disperazione, si è estinto. Allora, possiamo comprendere questo sé, non analizzandolo, ma osservando le cose così come sono, esserne consapevoli nei fatti e non in modo teorico? Non cercando di superare il sé in modo da raggiungere un risultato, ma osservando le sue attività, il movimento del “me”, costantemente in azione. Possiamo vedere tutto ciò senza alcun tentativo di eliminare o di incoraggiare alcunché? Questo è il problema, giusto? Se in ognuno di noi non esistesse il centro del “me”, con il suo desiderio di potere, di posizione, d’autorità, continuazione, sopravvivenza, di sicuro i nostri problemi terminerebbero!
Il sé è un problema che il pensiero non può risolvere. Deve esserci una consapevolezza che non sia del pensiero. Essere consapevoli, senza condannare o giustificare le attività del sé, solo essere consapevoli, è sufficiente. Perché se siete consapevoli al fine di risolvere il vostro problema o di mutarlo, di trasformarlo in un risultato, allora siete ancora all’interno del territorio del sé, del “me”. Fino a quando cerchiamo un risultato, che sia per mezzo dell’analisi, della consapevolezza, o attraverso la costante riesamina di ogni pensiero, ci troviamo ancora nel recinto del pensiero, che è il territorio del “me”, dell’”io”, dell’ego.
Jiddu Krishanamurti

Tratto da:


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