SI COMINCIA NEL MEZZO E SI FINISCE NEL MEZZO

Alto sospir, che duolo strinse in «uhi!»,
mise fuor prima; e poi cominciò: «Frate,
lo mondo è cieco, e tu vien ben da lui.   (50)
 O somma luce che tanto ti levi
da’ concetti mortali, a la mia mente
ripresta un poco di quel che parevi… (100)

DALLE TENEBRE ALLA LUCE

E devo ricordare che è Maria a chiudere il canto precedente e ad aprire il 100.

Veramente, ne forse tu t’arretri
movendo l’ali tue, credendo oltrarti,
orando grazia conven che s’impetri  147
grazia da quella che puote aiutarti;
e tu mi seguirai con l’affezione,
sì che dal dicer mio lo cor non parti».
E cominciò questa santa orazione:    151
(99)
Tuttavia, affinché forse tu non arretri muovendoti con le tue sole forze e credendo di avanzare, è necessario ottenere con una preghiera la grazia da colei (Maria) che può aiutarti; e tu mi seguirai con l’affetto, cosicché tu non distolga il tuo cuore dalle mie parole». E iniziò a pronunciare questa santa preghiera:
Ma prima di arrivare al dialogo 50-100, devo anche spiegarlo meglio questo mirabile dono della Geometria Sacra del Poema. Se mi avete seguito fino a qui, anche voi avete ben compreso  che mai vi siete allontanati dal Centro del Poema, dal suo MEZZO, danzando un valzer sopra cinquanta diametri che attraversano tutti il centro della Mens Dei!

… nel mezzo strinse potenza con atto
tal vime, che già mai non si divima.
(96)

Non si può oltraggiare il Centro dove giace l’Eternità, dove è vivente l’Enigma del Mistero, dove si incontra tutta la rete dell’Universo, al centro di una ipersfera cosmica che inscrive un ipercubo cosmico. Geometria del Poema.
Non si può guardare il mondo se non si passa da questo centro!
Non si può leggere il Poema, se non si passa sempre dal suo MEZZO!
Il punto in cui tutto si acquieta, il mare torna calmo, svaniscono gli opposti, e qualsiasi guerra interiore fosse in atto non avrebbe più senso di esistere.
Un crogiolo che a fuoco lento brucia tutte le nostre discese e le nostre risalite.
Il Poeta ci chiede questo: di non perdere mai il CENTRO.
Chiamatelo con qualsiasi nome, ma questo CENTRO non è altro il MISTERO che ci appartiene, e che ci abita e che ci chiama, dentro e fuori di noi.

Bernardo inizia così la sua preghiera alla Vergine, e, anche in questo caso, mi sono permessa di filtrarla attraverso la metafisica del Numero Pitagorico, un’altra Diritta Via generata dal Sacro Dodici.


Costruita con il
Sacro Dodici (e rispettando gli stessi valori metafisici del numero pitagorico usati per le tre mappe siderali nascoste nel Poema) ci regala l’immagine criptata della fine del cammino, della conquistata DIRITTA VIA, e poiché tutti i valori sono positivi, si sale verso l’Alto, inanellando un segreto Rosario Subliminale.

Oppure le Dodici Stelle che brillano sempre sul Diadema Mariano.
Può farlo solo la vostra fantasia, immaginare cosa accadrebbe se vedessimo in cielo esplodere 12 stelle, all’improvviso in pochi secondi!
Mentre, in sincronia, nel canto 50 si sta entrando

DENTRO LE TENEBRE PIÙ NERE

Buio d’inferno e di notte privata
d’ogne pianeto, sotto pover cielo,
quant’esser può di nuvol tenebrata,               3
non fece al viso mio sì grosso velo
come quel fummo ch’ivi ci coperse,
né a sentir di così aspro pelo,                         6
che l’occhio stare aperto non sofferse;
onde la scorta mia saputa e fida
mi s’accostò e l’omero m’offerse.                    9
Sì come cieco va dietro a sua guida
per non smarrirsi e per non dar di cozzo
in cosa che ‘l molesti, o forse ancida,             12
m’andava io per l’aere amaro e sozzo,
ascoltando il mio duca che diceva
pur: «Guarda che da me tu non sia mozzo». 15
(50)

Il buio dell’Inferno, o di una notte priva di qualunque stella, sotto un cielo oscuro quanto può esserlo quello di una notte coperta da nubi, non velò la mia vista come quel fumo che lì ci avvolse, né mi irritò gli occhi al punto da non poterli tenere aperti; allora la mia saggia guida mi si avvicinò e mi offrì il suo braccio. Come il cieco segue la sua guida per non perdersi e non urtare qualcosa che gli faccia del male o forse lo uccida, così io procedevo in quell’aria amara e oscura, ascoltando il mio maestro che mi diceva di continuo: «Fa’ in modo di non separarti da me».

Dalla cecità degli Invidiosi a quella degli Iracondi.
Se il Poema finisce qui, significa che Invidiare l’Amore, e farsi strozzare il cuore dalla rabbia corrosiva e avvelentante, sono veramente i segni più drammatici della nostra deriva.
Presso gli Stilnovisti viene usato spesso il vocabolo IRA, sempre in contrapposizione alla Donna Amata e allo stesso Amore.
Basta citare il sonetto di Guido Cavalcanti Chi è questa che ven… per averne conferma.

  1. O Deo, che sembra quando li occhi gira,
  2. dical’Amor, ch’i’ nol savria contare:
  3. cotanto d’umiltà donna mi pare,
  4. ch’ogn’altra ver’ di lei i’ la chiam’ira.

Tutte le altre donne, comparate all’umiltà della donna amata (che coincide per Guido con la Figura della Filosofia, generatrice di PENSIERO), vengono chiamate IRA (e ci sono ancora molti esempi anche nella poesia trobadorica).

E quindi forse non si tratta solo di rabbia, come distrattamente la immaginiamo noi… ma si include in questo vocabolo anche il rinvio ad uno stato dell’esistere: una dimensione infima di chi vive privo di humus-humilitas, e quindi incapace di far fiorire il mondo, di ri-creare se stesso, di restare ammollato nel fango sulfureo della palude, come ci ricorda Filippo Argenti, nell’annegamento egoico dentro la putrefazione delle proprie ferite, il più delle volte soltanto immaginate o enfatizzate. Un’altra drammatica forma dell’amor deviato.

La rabbia quindi non può essere confusa con lo sdegno, con l’indignazione, o con la passione con la quale si difendono le proprie idee (cose delle quali l’Alighieri non era certo privo), ma l’IRA ha a che fare con gli estremi confini dell’odio per se stessi e per gli altri, che poi sarebbe il fertilizzante più ricercato dalla LUPA. Incredibile a dirsi, ma i canti delle tenebre e quelli della luce veramente contrappongono i caratteri lupeschi dell’invidia e della rabbia, alla realtà totalmente intègra di luce di pace di allegria e di amore che circonfulge l’alto paradiso!  E così l’IRA, contrapposta all’Infinito Amore, crea una buona quantità di valore aggiunto alla semantica di questo ultimo dialogo.

Dentro questo fummo accecante, Dante viene chiamato da Marco Lombardo, arcivescovo cataro di Concorezzo, e grande astrologo che sarà invitato dal Poeta a parlar di STELLE.

Allora incominciai: «Con quella fascia
che la morte dissolve men vo suso,
e venni qui per l’infernale ambascia.    39
E se Dio m’ha in sua grazia rinchiuso,
tanto che vuol ch’i’ veggia la sua corte
per modo tutto fuor del moderno uso,    42
non mi celar chi fosti anzi la morte,
ma dilmi, e dimmi s’i’ vo bene al varco;
e tue parole fier le nostre scorte».         45
(50)

Allora iniziai: «Me ne vado in alto con quell’involucro (corpo) che la morte dissolve, e sono venuto qui attraverso l’Inferno. E se Dio mi ha accolto nella sua grazia, al punto che vuol mostrarmi il suo regno in un modo del tutto diverso dall’uso moderno, non nascondermi il tuo nome di quando eri in vita, ma dimmelo, e dimmi se vado nella giusta direzione verso l’accesso alla Cornice seguente; e le tue parole saranno la nostra guida».

Dante dimostra di conoscere molto bene il Progetto di Dio sulla sua persona. Ma come può essere? Come fa a sapere che vedrà il MISTERO come nessuno in terra riesce ad immaginarlo? Nella lettura rettilinea noi non sappiamo ancora nulla dell’Eden, di Beatrice, del volo verso il cielo, del paradiso fino all’ottavo canto… e lo stesso Dante ancora conosce pochissime cose attorno al suo futuro.

Ma questa è la precisa descrizione di quanto sta accadendo sul punto opposto e sincronico del diametro verticale, e siamo nel tempo in cui il Poeta, per qualche attimo

POTRÀ DIVENTARE IMMORTALE

E così continua la preghiera di Bernardo:

Or questi, che da l’infima lacuna
de l’universo infin qui ha vedute
le vite spiritali ad una ad una,              24
supplica a te, per grazia, di virtute
tanto, che possa con li occhi levarsi
più alto verso l’ultima salute.                 27
E io, che mai per mio veder non arsi
più ch’i’ fo per lo suo, tutti miei prieghi
ti porgo, e priego che non sieno scarsi,  30
perché tu ogne nube li disleghi
di sua mortalità co’ prieghi tuoi,
sì che ‘l sommo piacer li si dispieghi.      33
Ancor ti priego, regina, che puoi
ciò che tu vuoli, che conservi sani,
dopo tanto veder, li affetti suoi.                36
Vinca tua guardia i movimenti umani:
vedi Beatrice con quanti beati
per li miei prieghi ti chiudon le mani!».    39
(100)

Ora costui (Dante), che dal profondo dell’Inferno fino a qui ha visto la condizione tutte le anime dopo la morte, supplica che tu gli conceda, per tua grazia, quella virtù sufficiente perché possa sollevarsi più in alto, verso l’ultima salvezza (guardare Dio). E io, che non ho mai desiderato di veder Dio più di quanto desideri ardentemente che lo veda lui, ti porgo tutte le mie preghiere e prego che siano sufficienti, affinché tu dissolva in lui ogni velo di mortalità con le tue preghiere a Dio, cosicché gli venga mostrata la suprema beatitudine. Ti prego inoltre, o Regina che puoi ottenere tutto ciò che vuoi, che tu conservi puri i suoi sentimenti dopo una simile visione. La tua custodia tenga a freno le emozioni umane: vedi Beatrice e tutti gli altri beati che uniscono le mani unendosi alla mia preghiera!»

I primi versi risuonano dell’eco delle parole di Dante nel canto 50. Il Pellegrino è giunto alla fine del suo travagliato viaggio; ora, per vedere il MISTERO, è necessaria l’intercessione di Maria, per farlo diventare temporaneamente immortale, altrimenti non sopporterebbe la visione, e per farlo rimanere dentro gli affetti sani, quando ritornerà allo stato di mortalità.
Ma di quale IMMAGINE stiamo parlando? In sette secoli si sono accumulate migliaia di esegetiche attorno alla VISIONE del canto 100, nella maggior parte delle volte declinata come la Visione di Dio. Ma lo stesso Bernardo afferma nel canto XXXII che non può essere concessa la totale visione di Dio:

… e drizzeremo li occhi al primo amore,
sì che, guardando verso lui, penètri
quant’è possibil per lo suo fulgore. 144
(99)

Quando guarderai verso il Primo Amore (DIO), penetrerai dentro la sua luce fino a quanto ti sarà concesso. E precedentemente aveva affermato:

Riguarda omai ne la faccia che a Cristo
più si somiglia, ché la sua chiarezza
sola ti può disporre a veder Cristo».  87
(99)

Guarda ormai nel volto (di Maria) che più somiglia a Cristo, poiché il suo splendore è il solo che ti può preparare a vedere Cristo».
Se il Mistero Pensante non può essere interamente contemplato, invece la visione del Dio Incarnato viene anticipato dallo splendore di Maria.
Maria inizia il Complotto d’Amore e Maria  lo conclude.
E questa mia integrazione all’Opus dantesco è solo microscopica piuma davanti all’infinità del Poema.
Maria ed Eva sono le Grandi Madri che operano le tetragona reintegrazione di Dante (addirittura resurrezione, anche perché morire alla mortalità è il settimo grado dei Misteri Orfico-Pitagorici) in Intelligenza, Anima, Spirito e Corpo.
Maria-Sapienza è davvero il gran disìo che ha mosso tutti i passi di Dante e sconvolto tutte le sue cellule. Il suo traguardo amato: SOPHIA!
Che Beatrice sia anche, fra tutte le altre cose, figurale di Sophia, lo sappiamo da tanto tempo. Ma integrando le idee di Dante con i suoi stessi versi, non possiamo non vedere quanto il Poeta stia utilizzando immagini che sempre più si espandono conquistando altri confini.

Proviamo a costruire il modello tradizionale della relazione fra questi personaggi:
Si tratta di un chiasmo facilmente decrittabile: l’umano sta all’umano e il divino al divino: Maria sta a Cristo come Dante sta a Beatrice.Ma possiamo anche scambiare gli elementi, e Maria diventa la dimensione sapienziale molto più elevata di quella di Beatrice, mentre Dante (sia come Individuo che come Dante Collettivo) sta andando incontro alla sua Cristificazione.

Una marea di personaggi ha danzato il valzer fino a qui, insieme a Voi, a volte scambiando le coppie e a volte invertendo i ruoli. In questo vortice sorprendente e faticoso, avete incontrato anche carte truccate, equivoci e travestimenti, giullarate e scambiamenti… che ci si può aspettare da un regista che monta il film prima di girarlo?Nell’altissima vetta di un mondo invisibile, tutto trema ad altissima vibrazione come fosse un terremoto dell’Universo. Anche al paradiso spetta il suo terremoto: ma non potendo tremare la terra, come all’inferno come al purgatorio, accadrà qualcosa di inedito, e vedremo un confluire cosmico di due assordanti fiumane, e il boato tremendo di questo scontro, quando l’umano irromperà nel divino, e il divino nell’umano. È appena accaduto tutto questo, davanti ai vostri  occhi, e siamo ancora all’incipitNaturalmente immersi, quando siamo al Canto 100 letto nella sua singolarità, naturalmente immersi dentro un’aura essenzialmente disegnata con i contorni della fede cristiana e cattolica (e la Preghiera a Maria e la visione della Trinità sono i suoi punti saldi e forti!), non ci rendiamo conto, ma siamo anche invitati, in filigrana sottile, a fare i conti con un disegno criptato e pitagorico, fondato sulla Sacra Triade e sui segni del 3×4: conferma delle dodici tappe iniziatiche superate da Dante e che si riferiscono al mondo arcaico (il Viaggio del Sole o le 12 fatiche di Ercole per fare un paio di esempi), ma che è anche immagine di Rosario e di Diadema Mariano. Non dimentichiamo la Visione Estatica del canto 49, che anticipa senza dubbio la Grande Estasi dela canto 100, in cui l’Anima Intellettiva diventa l’unico Soggetto contemplante.

Se poi ci riferiamo al dialogo 50-100, troviamo una bella conversazione di ASTROLOGIA, scienza che collega tutto il Medio Oriente al Mediterraneo: la Scienza delle Stelle, che ha insegnato agli uomini a rispecchiarsi al Cielo, di passare sempre attraverso il Centro della Mens Dei, per poter veramente unire la Terra al Cielo, donando a questo desiderio la forma dell’ottagono. Ora avete davanti ai vostri occhi l’immagine di tutta quella umanità, sempre approssimata per difetto, che è invitata a vivere, insieme a Dante, il suo grande volo di RESURREZIONE DENTRO LA VERITÀ.

E io ch’al fine di tutt’i disii
appropinquava, sì com’io dovea,
l’ardor del desiderio in me finii.          48
Bernardo m’accennava, e sorridea,
perch’io guardassi suso; ma io era
già per me stesso tal qual ei volea:       51
ché la mia vista, venendo sincera,
e più e più intrava per lo raggio
de l’alta luce che da sé è vera.              54
Da quinci innanzi il mio veder fu maggio
che ‘l parlar mostra, ch’a tal vista cede,
e cede la memoria a tanto oltraggio.    57
(100)

E io, che mi avvicinavo alla conclusione di tutti i desideri, così come dovevo fare, esaurii in me stesso l’ardore del mio desiderio. Bernardo mi faceva cenni e mi sorrideva, affinché io guardassi in alto; ma io ero già disposto a farlo da me stesso, come lui voleva: infatti la mia vista, diventando più limpida, penetrava sempre di più nel raggio dell’alta luce che è vera di per se stessa. Da quel momento in poi la mia visione fu superiore a quanto possa esprimere il mio linguaggio, che è inferiore a quel che vidi, così come la memoria è insufficiente a ricordare un tale eccesso.

E mentre Dante sta entrando, da immortale, dentro la LUCE del MISTERO e del SUPREMO BENE, in opposta sincronia si avvia una conversazione tenebrosa

ATTORNO AL MALE CHE INGRAVIDA IL MONDO

E io a lui: «Per fede mi ti lego
di far ciò che mi chiedi; ma io scoppio
dentro ad un dubbio, s’io non me ne spiego.   54
Prima era scempio, e ora è fatto doppio
ne la sentenza tua, che mi fa certo
qui, e altrove, quello ov’io l’accoppio.            57
Lo mondo è ben così tutto diserto
d’ogne virtute, come tu mi sone,
e di malizia gravido e coverto;                         60
ma priego che m’addite la cagione,
sì ch’i’ la veggia e ch’i’ la mostri altrui;
ché nel cielo uno, e un qua giù la pone».         63
Alto sospir, che duolo strinse in «uhi!»,
mise fuor prima; e poi cominciò: «Frate,
lo mondo è cieco, e tu vien ben da lui.            66
(50)

E io a lui: «Io ti prometto che farò ciò che mi chiedi (di pregare per te); ma io scoppio se non riesco a liberarmi di un dubbio che mi assilla. Prima era un dubbio semplice, mentre ora è raddoppiato a causa delle tue parole, che mi confermano, qui e altrove, ciò che ho già udito (da Guido del Duca). Il mondo è del tutto privo di ogni virtù cortese, come tu mi dici, e coperto e ingravidato dal MALE; ma ti prego di indicarmene la causa, così che io la comprenda e la mostri agli altri; infatti alcuni la pongono nelle influenze celesti, altri nei comportamenti umani». Dapprima emise un profondo sospiro, che poi si tramutò in «uhi!»; poi iniziò: «Fratello, il mondo è cieco e tu da questo mondo vieni.

Da che parte arriva il male? Dalle stelle? da noi? … e qualcuno ha anche aggiunto, nei secoli, da Dio in persona? Questo è il Dante Puer, che, come i bambini sanno fare, riesce a porre le domande più difficili alle quali rispondere. Perché fin dalla primissima infanzia lo si conosce il male, se riusciamo a ricordarci che abbiamo addirittura augurato la morte quando qualcuno ci stava facendo del male. Molte selve e molte tenebre ci hanno accolto, anche quando eravamo piccoli piccoli, sempre se il nostro passato e la nostra storia collettiva abbia qualcosa da raccontarci. Questa è la domanda più bambina che Dante formula in tutto il Poema, così come si sentirà infante senza parole nel canto 100, totalmente incapace di esprimere appieno ciò che ha visto. Un’altra forma di cecità che si può ovviamente provare nell’esperienza inedita dentro il traguardo insolito della VERITÀ. Ma la cecità terrena, quanto quanto quanto ci pesa?

Voi mortali accecati, risponde Marco Lombardo, siete furbi a costruirvi l’alibi delle stelle, la scorciatoia risibile di chi pretende che sia sempre colpa degli altri, e che siano solo le influenze celesti in grado di determinare il bene e il male. Ma siete proprio impazziti! Se fosse così veramente, dove andrebbe a finire la vostra libertà? Poter valutare, poter decidere, poter scegliere… poter imboccare un sentiero piuttosto di un altro! Ecco, tutto questo sarebbe cancellato, non avreste più niente in mano, e le Stelle, come un qualsiasi burattinaio, vi attaccherebbero, disanimati e immobili, al chiodo, alla fine dello spettacolo. Non ci sarebbe nemmeno più l’umanità, e non si potrebbe più parlare di Giustizia: non ci sarebbe nulla da giudicare, perché sareste morti in vita! E a questo punto iniziano i 12 versi con i quali l’Alighieri costruisce la mappa siderale del Purgatorio:
dalla Terra al Cielo delle Stelle fisse.
Perché dal purgatorio si vedono le stelle|.

Lo cielo i vostri movimenti inizia;
non dico tutti, ma, posto ch’i’ ‘l dica,
lume v’è dato a bene e a malizia,                     75
e libero voler; che, se fatica
ne le prime battaglie col ciel dura,
poi vince tutto, se ben si notrica.                     78
A maggior forza e a miglior natura
liberi soggiacete; e quella cria
la mente in voi, che ‘l ciel non ha in sua cura. 81
Però, se ’l mondo presente disvia,
in voi è la cagione, in voi si cheggia;
e io te ne sarò or vera spia.                              84
(50)

Il Cielo inizia i vostri movimenti, e neppure tutti; ma anche ammettendo ciò, voi siete in grado di distinguere il bene dal male, e avete il libero arbitrio; il quale, se anche incontra difficoltà nelle dure battaglie con gli influssi astrali, poi vince ogni cosa, purché venga ben nutrito. Voi soggiacete, pur restando liberi, a una forza maggiore e a una natura migliore; e quella crea in voi l’intelletto, che il cielo non ha in suo potere. Perciò, se il mondo presente va alla deriva, la causa è in voi e a voi deve essere chiesta ragione; e io ora, di questo, ti dimostrerò la verità.

E questo è il risultato delle quattro terzine.

Questa è l’unica volta che una mappa criptata si specchia all’altra, nel dialogo 50-100.

LA VERITÀ DEL MALE vs LA VERITÀ DEL BENE

Concludendosi NEL MEZZO, il Poema ci fa entrare nella grande tempesta del deflagrante scontro degli OPPOSTI, assunti al loro massimo paradigma: umano e divino, male e bene, tenebre e luce.

E se pensate che io veramente possa districarmi in questo progetto, che è stato pensato e inverato dall’Alighieri, siete molto lontani dalla realtà. Posso solo offrirvi dei dati, ma non sono in grado di offrirvi spiegazioni: ognuno troverà la sua parola perduta! E Ognuno sarà libero di costruire per se stesso la sua personale VISIONE.

Sidera inclinant, sed non determinant… le stelle ci offrono le inclinazioni, ma non determinano le nostre azioni. In gioventù ci vuole una lotta dura contro le stelle, per poter ravvisare dentro di noi i punti di forza e quelli di debolezza, perché il nostro carattere si raffini e si scolpisca esaltando i suoi veri talenti. Questo era un pensiero forte per gli astrologi ai tempi di Dante, per questo Marco, grande astrologo, insiste su quanto sia necessaria la Scienza del Cielo. Ma non è il Cielo che può renderci liberi. Potere che spetta a una forza maggiore e a una natura migliore: dobbiamo sottometterci alla sua volontà, come schiavi, proprio perché è da lei che riceviamo in dono la libertà.

Libertà di scegliere se essere o fulmine o fuoco.  Scegliere di essere felici o infelici. Scegliere di tradirsi o di non tradirsi. Scegliere di amare e di non amare. HIC ET NUNC. Per avere la possibilità di fare queste cose, ci viene donata l’ANIMA INTELLETTIVA, che è la conquista del canto 50:
… e quella cria la mente in voi, che ‘l ciel non ha in sua cura

Il nostro territorio d’amore, come si conferma nella canzone Amor che nella mente mi ragiona
L’amore si insedia nell’anima fin da quando è nata… le fa percepire il piacere e il desiderio, e ovunque essi siano, lei li rincorre.

Esce di mano a lui che la vagheggia
prima che sia, a guisa di fanciulla
che piangendo e ridendo pargoleggia,   87
l’anima semplicetta che sa nulla,
salvo che, mossa da lieto fattore,
volontier torna a ciò che la trastulla.     90
Di picciol bene in pria sente sapore;
quivi s’inganna, e dietro ad esso corre,
se guida o fren non torce suo amore.      93
(50)

L’anima semplice, che non sa nulla, esce dalle mani di Colui che la ama, prima di essere formata, come una fanciulla, che piange e ride senza saperne il motivo, salvo che, mossa da un lieto Creatore, torna volentieri a ciò che le dà piacere. Dapprima sente il sapore dei beni di scarso rilievo; qui s’inganna e corre dietro ad essi, a meno che una guida o un freno non distolga il suo amore mal riposto. L’anima amata, che nasce dal calore dall’amore del suo Fattore come il vino dal calore del sole, è il respiro che soffia il Mistero dentro il neonato, e nasce così l’anima semplicetta che non sa nulla, tranne il piacere di rincorrere le cose che la trastullanoE queste cose noi le sappiamo già, perché i canti di Stazio li abbiamo già letti, e dovremmo correre alla prima parte del libro per rivederle.
Ma conosciamo anche il resto del discorso di Marco, perché già ci ha informati Cacciaguida sul fatto che l’anima va guidata, frenata, nutrita, educata, distolta dalla deviazione d’amore, e che giorno dopo giorno va cucito il nostro manto di nobiltà: la nostra anima. Soul make, direbbe Hillman. C’è del metodo in questa follia di iniziare e di finire nel mezzo!!!

Ma occorre anche osservare la scala gerarchica secretata sulla quale vengono decretate le Conquiste dell’Eroe.

25: la Conquista dell’Intelligenza viene ratificata da Ulisse nel canto 26
50: la Conquista dell’Anima Intellettiva viene narrata apertis verbis dallo stesso Marco Lombardo
75: la Conquista dello Spirito viene donata dal Cristo in persona nel momento della sua morte in croce
100: la Conquista del Corpo Reintegrato è decreto divino per intercessione di Maria, mater celeste, che brilla col suo corpo in Cielo come quello di Eva, mater terrena, dentro il mistero del Nono Giorno, come aveva detto Beatrice.

Vi sto dicendo che Intelligenza è ratificata, Anima va conquistata, Spirito è donazione, Integrazione del Corpo è decretata…
l’Anima quindi va educata, e servono gli educatori dell’Anima, e serve l’Anima degli educatori.
L’Anima è il ponte verso la conquista della Verità, almeno come la rappresenta l’Alighieri sul suo diamentro verticale. L’anima è il ponte verso il MOLTEPLICE e l’UNO, e ci mette in connessione con la Coscienza Cosmica, con il Raggio Angelico, rendendoci così responsabili di ogni atomo dell’Universo. L’Anima è l’Infinito che ci abita, abitato da noi, ed è anche territorio d’Amore, è in divenire eterno, assetata di espandersi come fanno le nuvole in cielo, però resta il problema: DEVE ESSERE ORIENTATA.

Le leggi son, ma chi pon mano ad esse?
Nullo, però che ’l pastor che procede,
rugumar può, ma non ha l’unghie fesse;   99
per che la gente, che sua guida vede
pur a quel ben fedire ond’ella è ghiotta,
di quel si pasce, e più oltre non chiede.      102
Ben puoi veder che la mala condotta
è la cagion che ’l mondo ha fatto reo,
e non natura che ’n voi sia corrotta.        105
Soleva Roma, che ’l buon mondo feo,
due soli aver, che l’una e l’altra strada
facean vedere, e del mondo e di Deo.       108
L’un l’altro ha spento; ed è giunta la spada
col pasturale, e l’un con l’altro insieme
per viva forza mal convien che vada;
però che, giunti, l’un l’altro non teme:
se non mi credi, pon mente a la spiga,
ch’ogn’erba si conosce per lo seme.          114
(50)

Le leggi ci sono, ma chi le scrive? Nessuno, dal momento che il pastore (il papa) che guida il gregge può ruminare, ma non ha le unghie fesse; quindi la gente, che vede la sua guida ricercare quei beni terreni di cui essa è ghiotta, si nutre di quelli e non chiede nient’altro. Puoi capire bene che la cattiva guida dei pontefici è la ragione che ha corrotto il mondo, non certo la vostra natura influenzata dai Cieli. Roma, che costruì il mondo virtuoso, era solita avere due soli, che indicavano entrambe le strade, del mondo e di Dio. L’uno ha spento l’altro; e la spada si è unita al pastorale, ed è inevitabile che le due cose stiano male insieme, unite in modo forzato; infatti, uniti, l’un potere non teme l’altro: se non mi credi, pensa alla spiga, poiché ogni pianta si riconosce dal suo seme.
Ci dovrebbero essere buone LEGGI in grado di condurre le anime verso il loro oriente… e dovrebbero occuparsene proprio coloro che sono preposti a guidarle, le anime! Ma ormai i Pastori non hanno più le unghie fesse… e cioè hanno dimenticato da lunga pezza che le persone sono corpo e spirito, carne e anima, metà terra e metà cielo! Sono diventati modelli spietati e disumani, per cui la gente che li segue copia il loro modello, ed è contenta di questo e non chiede più nulla.

Non è la natura umana ad essere corrotta, ma gli aberranti comportamenti di chi governa ha reso criminale il mondo!

L’Arcana Sapienza (figurale della città di Roma ad litteram), ci aveva insegnato che siamo umani e divini sulle due strade che portano al mondo e al mistero (facile riconoscere l’Ermetismo, il mondo orfico-pitagorico, il platonismo…), ma adesso il cielo ha spento la terra e la terra ha spento il cielo, originando un unico potere: quello scuoiante. L’invito finale… quello di pensare alla spiga… coincide con il gesto del Sacerdote Orfico che alla fine della celebrazione di un Mistero mostrava sempre una spiga ai presenti: la molteplicità dei suoi semi è perfettamente trattenuta dal MISTERO DELLA SUA UNITÀ, del suo unico gambo. Siamo TANTI e siamo UNO. Sapienza persa nella notte dei tempi. Persa completamente dentro la nera e lupesca fuliggine del fumo dell’IRA.
Così dialogano Dante e Marco (probabile astrologo orfico-pitagorico!), parlando di stelle dentro una notte senza stelle e compiangendo la totale cecità dei vivi. In sincronia, Dante entra da immortale dentro una Immortale Luce, per fare del suo Corpo Igneo una Tetragona Fortezza.

Qual è colui che sognando vede,
che dopo ‘l sogno la passione impressa
rimane, e l’altro a la mente non riede,      60
cotal son io, ché quasi tutta cessa
mia visione, e ancor mi distilla
nel core il dolce che nacque da essa.       63
Così la neve al sol si disigilla;
così al vento ne le foglie levi
si perdea la sentenza di Sibilla.              66
O somma luce che tanto ti levi
da’ concetti mortali, a la mia mente
ripresta un poco di quel che parevi,        69
e fa la lingua mia tanto possente,
ch’una favilla sol de la tua gloria
possa lasciare a la futura gente;             72
ché, per tornare alquanto a mia memoria
e per sonare un poco in questi versi,
più si conceperà di tua vittoria.            75
Io credo, per l’acume ch’io soffersi
del vivo raggio, ch’i’ sarei smarrito,
se li occhi miei da lui fossero aversi.    78
E’ mi ricorda ch’io fui più ardito
per questo a sostener, tanto ch’i’ giunsi
l’aspetto mio col valore infinito.          81
Oh abbondante grazia ond’io presunsi
ficcar lo viso per la luce etterna,
tanto che la veduta vi consunsi!           84
Nel suo profondo vidi che s’interna
legato con amore in un volume,
ciò che per l’universo si squaderna:     87
sustanze e accidenti e lor costume,
quasi conflati insieme, per tal modo
che ciò ch’i’ dico è un semplice lume.   90
La forma universal di questo nodo
credo ch’i’ vidi, perché più di largo,
dicendo questo, mi sento ch’i’ godo.      93
Un punto solo m’è maggior letargo
che venticinque secoli a la ‘mpresa,
che fé Nettuno ammirar l’ombra d’Argo. 96
Così la mente mia, tutta sospesa,
mirava fissa, immobile e attenta,
e sempre di mirar faceasi accesa.           99
A quella luce cotal si diventa,
che volgersi da lei per altro aspetto
è impossibil che mai si consenta;              102
però che ‘l ben, ch’è del volere obietto,
tutto s’accoglie in lei, e fuor di quella
è defettivo ciò ch’è lì perfetto.                  105
Omai sarà più corta mia favella,
pur a quel ch’io ricordo, che d’un fante
che bagni ancor la lingua a la mammella. 108
Non perché più ch’un semplice sembiante
fosse nel vivo lume ch’io mirava,
che tal è sempre qual s’era davante;         111
ma per la vista che s’avvalorava
in me guardando, una sola parvenza,
mutandom’io, a me si travagliava.             114
Ne la profonda e chiara sussistenza
de l’alto lume parvermi tre giri
di tre colori e d’una contenenza;             117
e l’un da l’altro come iri da iri
parea reflesso, e ‘l terzo parea foco
che quinci e quindi igualmente si spiri.     120
Oh quanto è corto il dire e come fioco
al mio concetto! e questo, a quel ch’i’ vidi,
è tanto, che non basta a dicer ‘poco’.       123
O luce etterna che sola in te sidi,
sola t’intendi, e da te intelletta
e intendente te ami e arridi!                   126
Quella circulazion che sì concetta
pareva in te come lume reflesso,
da li occhi miei alquanto circunspetta,  129
dentro da sé, del suo colore stesso,
mi parve pinta de la nostra effige:
per che ‘l mio viso in lei tutto era messo. 132
(100)

Come quello che vede qualcosa in sogno, e quando si sveglia gli resta l’impressione nell’animo e non riesce a ricordare nulla, così sono io, dal momento che quasi tutta la mia visione è svanita dalla mia memoria, ma nel cuore è ancora presente la dolcezza che nacque da essa. Così le impronte sulla neve si sciolgono al sole; così il responso della Sibilla si disperdeva al vento, scritto sulle foglie leggere. O luce suprema, che ti sollevi così tanto rispetto all’intelletto umano, riporta alla mia mente un poco di quello che apparivi allora, e rendi il mio linguaggio tanto efficace che io possa lasciare ai posteri una sola scintilla della tua gloria; infatti, se potrò ricordare qualcosa e rappresentarlo un poco in questi versi, si potrà comprendere meglio la tua vittoria. Io credo che mi sarei smarrito se i miei occhi si fossero distolti dal vivo raggio della mente divina, a causa del fulgore che mi colpì. Mi ricordo che per questo io fui più coraggioso a sostenerne la vista, a tal punto che spinsi a fondo il mio sguardo nel valore infinito (la mia immortalità congiunta a quella infinità).
Oh, grazia abbondante per la quale ebbi l’ardire di fissare lo sguardo nella luce eterna, al punto che portai la mia vista al limite estremo delle sue capacità!
Nella sua profondità vidi che è contenuto tutto ciò che è disperso nell’Universo, rilegato in un volume:
sostanze, accidenti e il loro legame, quasi unificati insieme, in modo tale che ciò che io ne dico è un barlume di verità.
Credo di aver visto la forma universale di questo nodo, perché mentre ne parlo sento accrescere in me la gioia.
Un attimo solo (quello della visione) è per me oblio maggiore dei venticinque secoli che ci separano dall’impresa degli Argonauti, per cui Nettuno si stupì vedendo l’ombra della nave Argo.
Così la mia mente, tutta sospesa, ammirava con lo sguardo fisso, immobile e attento, aumentando via via il desiderio di osservare. Di fronte a quella luce si diventa tali che è impossibile voler distogliere il proprio sguardo da essa per guardare qualcos’altro; infatti il bene, che è oggetto della volontà, si raccoglie tutto in essa, e al di fuori di essa ciò che lì è perfetto diventa difettoso.

Ormai le mie parole saranno insufficienti a esprimere i miei ricordi, più di quelle di un bambino che sia ancora allattato dalla madre. Non perché nella viva luce che io guardavo ci fosse più di un unico aspetto, che è sempre identico a ciò che era prima, ma per la mia vista che si accresceva man mano che guardavo, al mio mutare interiore quell’unico aspetto si trasformava ai miei occhi. Nella profonda e luminosa essenza della luce di Dio mi apparvero tre cerchi, di tre colori diversi e uguali dimensioni; e il secondo (il Figlio) sembrava un riflesso del primo (il Padre), come un arcobaleno riflesso da un altro, e il terzo (lo Spirito Santo) sembrava una fiamma che spira egualmente dagli altri due. Oh, quanto è insufficiente il mio linguaggio a esprimere ciò che ricordo! E anche questo, rispetto a quel che vidi, è così esiguo che non basta dire ‘poco’. O luce eterna, che hai luogo solo in te stessa, che sola ti comprendi e, compresa da te stessa e nell’atto di comprenderti, ami e ardi di carità!
Quel cerchio (il secondo, il Figlio) che sembrava nascere come da un riflesso, dopo essere stato a lungo osservato dai miei occhi, mi sembrò che avesse dipinta in esso, dello stesso colore, l’immagine umana: per questo avevo penetrato all’interno tutto il mio sguardo.

Questa è la narrazione ad litteram di quasi tutto il canto, ma vorrei rilevare due passaggi interessanti:
il primo riguarda proprio la visione della Mens Dei:

Nel suo profondo vidi che s’interna
legato con amore in un volume,
ciò che per l’universo si squaderna:     87
sustanze e accidenti e lor costume,
quasi conflati insieme, per tal modo
che ciò ch’i’ dico è un semplice lume.   90
La forma universal di questo nodo
credo ch’i’ vidi, perché più di largo,
dicendo questo, mi sento ch’i’ godo.      93
(100)

La prima terzina, facendo salvo tutto il suo potere polisemantico, riguarda anche la Geometria Sacra del Poema, legato con amore in un volume. Internato per triadi di canti e squadernato in una circonferenza spaccata in quattro. La seconda terzina esalta la Dimensione del Non-tempo: ho visto tutto in sincronia, il passato il presente il futuro (cfr. dialogo 46-96).
La terza terzina precisa la visione del vime che mai si divima: ATTO e POTENZA insieme.
Estrema Sintesi dell’ATTO CREANTE. Il Minimo Centro della Mens Dei, in cui convergono tutti i Diametri.
L’Estremo Confine della Contemplazione del Mistero: non si può andare oltre, impossibile raggiungere l’Oscuro Abisso della Divinità, come afferma Beatrice nel XXIX del Paradiso.
La Manifestazione del Materico è l’unico ponte che unisce l’Umanità al Mistero: il Liber NaturaeOggi si afferma che il Big Bang c’è stato… ma che forse prima c’era qualcosa. Dentro la Stella di Dante NULLA S’INFORSA, perchè solo la Manifestazione dell’Atto Creante esiste, e il PRIMA, l’Immobile Pensiero Pensante, non può essere da noi né visto né pensato.

Il secondo passaggio riguarda la visione del Secondo Arcobaleno, quello del Cristo. Profezia espressa da Bernardo nel canto 99.

Riguarda omai ne la faccia che a Cristo
più si somiglia, ché la sua chiarezza
sola ti può disporre a veder Cristo».       87
(99)

Così accade: nel secondo arcobaleno Dante specchia il suo volto, il nostro volto, in quello del Cristo, tutta l’Umanità contenuta nell’unico luogo dove poteva essere contenuta, dentro l’infinità di un Dio Incarnato.

L’UMANITÀ CHE NEL SUO SANGUE CRISTO FECE SPOSA

Quel patto di sangue che ci dona la Libertà, non post mortem, ma qui su questa terra. Dante non comprende proprio questa Mirabile Visione: in che modo possono stare tutti insieme, uomini e donne e bambini ed io stesso… dentro l’infinito arcobaleno del Cristo? Dentro la sua Luce Infinita!

Ma proprio a questo punto l’Alighieri ci regala la Terza Mappa Siderale:

Se volete gustare la meraviglia dell’Universo Parallelo, spostate l’Empireo al centro e la Luna in periferia, e il gioco è fatto. Massimo problema del Geometra: la quadratura del cerchio! Nella nostra testa, sempre approssimata per DIFETTO. Ma la tradizionale locuzione… quadrare il cerchio… significa anche giungere alla fine, portare a termine qualcosa, missione compiutaNel compimento della sua missione il Poeta si traveste da Geometra proprio perché, fin dall’origine del Progetto del Poema, lo è sempre stato.

  • Per avere scelto la figura Geometrica più secretata del mondo: un cubo in quarta dimensione.
  • Per avere scelto l’Immagine del suo Poema: Sferico e Infinito, come l’Universo.
  • Per avere spaccato la circonferenza in quattro: 25 canti per ogni arco di circonferenza.
  • Per avere distribuito 7112 endecasillabi nei 50 canti del Viaggio del Dolore, e altri 7112 nel Viaggio della Salvezza.
  • Per aver aggiunto NOVE VERSI al Viaggio del Dolore che stanno a indicare la permanente presenza di Beatrice al suo fianco (Beatrice è un NOVE). Per indicare anche, in linguaggio pitagorico, una MISSIONE DA COMPIERE e una MISSIONE COMPIUTA, principale semantica del NOVE.
  • Per aver quadrato il cerchio in chiave pitagorica: l’assimilazione al divino, detta anche PALINGENESI.
  • Per aver quadrato il cerchio in chiave alchemica: la rinascita di se stesso e la scoperta della VERA MEDICINA (Visita Interiora Terrae, Rectificando Invenies Occultum Lapidem, Veram Medicinam).
  • Per aver quadrato il cerchio in chiave filosofica operando la sua METÀNOIA, la totale conversione delle sue quattro dimensioni (intelligenza, anima, spirito, corpo), operando per se stesso la sua totale REINTEGRAZIONE.
  • Per aver quadrato il cerchio in chiave spirituale (qualcuno potrebbe aggiungere anche religiosa) con il suo Viaggio di Cristificazione.
  • Per aver quadrato il cerchio in chiave psicologica, cioè, come direbbe Jung, lo SVELAMENTO DEL SÉ SUPERIORE (cfr. Dante e la Stella di Barga, vol. II)

 

Se amate questo Poeta, dovete per forza innamorarvi anche del Geometra!

Qual è ‘l geomètra che tutto s’affige
per misurar lo cerchio, e non ritrova,
pensando, quel principio ond’elli indige,
tal era io a quella vista nova:
veder voleva come si convenne
l’imago al cerchio e come vi s’indova;
ma non eran da ciò le proprie penne:
se non che la mia mente fu percossa
da un fulgore in che sua voglia venne.
A l’alta fantasia qui mancò possa;
ma già volgeva il mio disio e ‘l velle,
sì come rota ch’igualmente è mossa,
l’amor che move il sole e l’altre stelle.

Come il geometra che tutto si concentra per trovare la quadratura del cerchio, eppure pensando e ripensando non ne trova la legge, così ero io davanti a quella visione. Io volevo vedere come poteva il mio viso (o la forma umana) proporzionarsi al cerchio e così trovarsi dentro. (La nostra effige umana, specchiata in uno spettro solare circolare e infinito, veramente diventerebbe un’immagine sgradevole e insopportabile. All’eccesso insuperabile del clownesco!) Ma io non riuscivo proprio a comprendere. Fino a quando la mia anima non fu percossa da un lampo di luce che finalmente mi fece capire. Però ora è del tutto scomparsa questa rivelazione (all’alta fantasia qui mancò possa.).

Ogni verso è un’intera orbita per ogni cielo, e oltre i cieli stessi, fino all’Infinito, e tu Lettore! li vuoi sbriciolare così, in pochi secondi?
Pensa che è l’IMMAGINE della fine del mio viaggio, anche del tuo, se vuoi. Prenditi il tempo che ti serve, proprio qui, dove il tempo non esiste. Dentro un disegno IMMATERIALE, perché la vera perfezione della MATER-IA è la totale assenza di materia (dall’Epistola a Cangrande). Sollèvati al confine degli abissi ignoti, ti prenderò la mano per calmare la paura, ti narrerò una fiaba che non hai mai ascoltato.

 

  1. Qual è ‘l geomètra che tutto s’affige… vedi come spremi le meningi, come stai forzando il pensiero davanti all’intuizione che non trovi… vedi come è fatto un PENSIERO CREANTE?!
  2. per misurar lo cerchio, e non ritrova… ora stai orbitando attorno alla LUNA, ponte fra la terra e il cielo, spazio in espansione del tuo AGIRE, del tuo lavoro che vorrebbe scardinare il mistero. Ti serve il volo per incontrare l’Impossibile!
  1. pensando, quel principio ond’elli indige… pensi e ripensi, ma il varco che separa il Caos dall’Armonia non lo puoi vedere. Non è questo che da sempre ti manca? Gli assalti della sorte, i tradimenti della vita, le ansie dell’ignoto, un amaro disordine che solo in brevi attimi appare come armonia. Questa veramente sarebbe la tua felicità: la compostezza della quiete, il centro del tuo vivere, la forza che ti può rendere saldo e non tremante. Ma appare come un TRAGUARDO irraggiungibile, e proprio Mercurio cattura la tua orbita, così, vicino al Sole, ma non c’è Luce che ti riguardi. Il Messaggero dei Mondi e degli Dei, ti volta le spalle e ti abbandona.
  1. tal era io a quella vista nova… uguale al geométra! Si torna all’UNO, in questo valzer dai mille tempi. Anche io come te: caparbio e smarrito, deluso e guerriero. Si rotola sui macigni del dolore, si spera, ci si dispera, si oscilla da poggia ad orza, si entra nelle contorte vie dell’Amore che ci investe come ambrosia panacea e tormento. La dolcezza di Venere ti cattura: consumala quest’orbita, con grande lentezza, per ogni singolo spazio risveglia un ricordo, un sussulto del cuore, quell’infimo dettaglio che ti ha accolto nel tracollo degli argini, a te stesso mostrando un volto sconosciuto, e un singhiozzo d’eternità che ti ha morso il cuore. Ma anche la luce del mattino, sophia d’amore e amore di sophia, ci lascia, ormai soli, nel cosmo infinito.
  1. veder voleva come si convenne… Il Sole sì… fonte di vita che ci estirpa dalle tenebre, e dentro luce velata ci fa aprire gli occhi. Lui sì che ci permette di VEDERE, e magari capire chi veramente sia questa nostra compagna, nemica e acerba, della S-PROPORZIONE. Come può essere… noi così, piccoli incerti precari, come è possibile per noi… essere divisori e dividendi dell’Infinito? Anche il Sole ci nega risposte!
  1. l’imago al cerchio e come vi s’indova… il sestile, il cerchio, la perfezione, la sua misteriosa mensura… eccoti qui, muta armonia! Nelle braccia di Marte, signore del canto e della musica dei mondi… Almeno tu, che brilli al centro delle sfere armoniche, almeno tu fammi capire perché il mio volto sta dentro un eterno arcobaleno!
  1. ma non eran da ciò le proprie penne… si sprofonda nel vuoto, nessuna orbita corre a salvarci. Risucchiati nelle tenebre del cosmo, cadiamo senza volo, in un abisso nero, orfano di sentieri.
  1. se non che la mia mente fu percossa… un improvviso RISVEGLIO DELL’ANIMA, inaspettato, miracoloso, mentre si cade senza ali, tentando di aggrapparci al NULLA!
  1. da un fulgore in che sua voglia venne… un tonante fulmine di luce che mi ha percosso l’anima… scagliato proprio da Giove che mi ha affrancato da ogni incertezza.
  1. A l’alta fantasia qui mancò possa… pochi attimi, e quella brevissima comprensione delle cose mi ha abbandonato. Irretito da Saturno all’improvviso, mi son trovato capovolto nell’Universo, trascinato a sinistra da un’orbita impazzita, anzi fuori da ogni orbita, e insieme a me tutto si capovolgeva, fino a realizzare che tutto aveva mutato orientamento e tutto era diventato un’altra cosa… ora lo posso dire che era stato solamente TUTTALUCE. La trappola degli occhi umani! Che troppo spesso guardano, ma non vedono! IO LUCE, dentro il LAGO DI LUCE, la stessa cosa! La subitanea LUCE DELL’ATTO CREANTE.

IO, tornato lì, da dove ero arrivato, minuscola scintilla di quella stessa Luce, e il mio Poema è soltanto un invisibile punto di un suo unico raggio (testamento segreto di Dante, XXV, Par.)

11. ma già volgeva il mio disio e ‘l velle… Mi son trovato così in mezzo alle stelle. Dentro Urano stellato ho bevuto la loro LUCE come se nel calice fosse immerso un diamante. E anche il mio grande desiderio, la mia stessa volontà, travolti dall’orbita nuova, loro stessi capovolti e mutati… così per la prima volta li ho visti come veramente erano stati pensati. Il mio DESIDERIO e la mia VOLONTÀ di tornare in terra, di scrivere in terra, e di depositarli nelle mani del MISTERO, così come fanno gli Angeli, i Beati, e l’Umanità tutta quando verrà quel giorno…

12. sì come rota ch’igualmente è mossa… e così li ho visti, come una piccola stella, già concetta dalla Mente di Dio, e che velocemente orbitava attorno al suo Mistero, molto prima che fossero scoccate le tre saette dall’arco tricordo. Il mio Poema… desiderato, amato, pensato, voluto, preteso, già scritto… da

13. l’amor che move il sole e l’altre stelle.

Può essere così, e può anche non essere così. Ma se percorrete col dito le orbite circolari della Mappa del Paradiso troverete in IMMAGINE tutti gli stati d’animo, approssimati per difetto, che ho tentato di descrivere (e questa è la vera mappa anagogica del Paradiso che fa anche comprendere come sia diventato velocissimo Saturno così vicino al Centro, vicino alle Stelle! E che rivela inoltre la Vera Cosmogonia Medievale, aggiungendo l’Etere e l’Arco di Fuoco che separa la Terra dalla Luna. E così ricaviamo le Dodici Orbite + l’Empireo Immobile e Quieto, i 12 sassi della Diritta Via).

Il numero 13, ultimo numero segreto della DIRITTA VIA secondo Pitagora, il numero della Palingenesi: quando l’Umano irrompe nel Divino, il Divino irrompe nell’Umano. E questo può avvenire solo nel punto dell’AZIONE, il punto 2, l’Inveramento Materico del Pensiero, solo nell’AGIRE diventiamo POTENZA E AZIONE insieme, a sua immagine e somiglianza.

2: il Cristo, il Figlio, l’Orfano, il Mediatore, il Salvatore, il Dio che diventa AZIONE, l’Incarnato in terra che mai può dimenticare di essere stato carne della nostra carne, sangue del nostro sangue… COLUI per MEZZO DEL QUALE tutte le cose sono state create, Profonda Luce del Cristo che contiene tutti i volti dell’Umanità, tutti Fratelli in Cristo. E il numero DUE è anche l’Uomo, chiamato ad AGIRE in terra, con tutte le sue devianze, i suoi inciampi, le sue derive e le sue salite, in tutte le sue immisurabili, ma ben previste, DIFFERENZE, che si concilieranno nella Luce d’Amore, perché il giusto fin non può mai esser mozzo (Inf., IX).

Io so che l’ULTIMO MIRACOLO del Poema sta sotto i vostri occhi, ma ancora non riuscite a vederlo. Eppure ci racconta ciò che accadrà nella precessione equinoziale dell’Acquario, e questa non è una profezia, ma è quello che si sta già rivelando oggi mentre scrivo: che i pianeti orbitano attorno al loro sole, che tutte le stelle e i sistemi solari e gli asteroidi… orbitano attorno al centro della loro galassia… e che tutte le galassie non possono far altro che orbitare attorno al centro della LUCE dell’ATTO CREANTE.
Ogni oggetto secondo la sua specie (intesa come dimensione, che può essere quarta ottava decima… chissà quanti livelli materici e dimensionali si trovano nell’Universo?), diceva Giordano Bruno, ma in armonia comune agli oggetti stessi, e che collega tutte le loro parti, come aggiungerebbe anche la fisica quantistica.
Cosmogonia già descritta da Ermete Trismegisto, da Dante Alighieri, da Giordano Bruno… ma che è ancora alla ricerca di una dimostrazione scientifica. Quel giorno sapremo ciò che era già stato compreso da molte anime in tempi antichi: che veramente tutto orbita attorno all’amor che move il sol e l’altre stelle.

Maria Castronovo

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