Vedea colui che fu nobil creato
più ch’altra creatura, giù dal cielo
folgoreggiando scender, da l’un lato. (46)
Principio del cader fu il maladetto
superbir di colui che tu vedesti
da tutti i pesi del mondo costretto. (96)  

… IN MEZZO AGLI ANGELI

 Quando ambedue li figli di Latona,
coperti del Montone e de la Libra,
fanno de l’orizzonte insieme zona,  3
quant’è dal punto che ‘l cenìt inlibra
infin che l’uno e l’altro da quel cinto,
cambiando l’emisperio, si dilibra,   6
tanto, col volto di riso dipinto,
si tacque Beatrice, riguardando
fiso nel punto che m’avea vinto.       9
Poi cominciò: «Io dico, e non dimando,
quel che tu vuoli udir, perch’io l’ho visto
là ‘ve s’appunta ogne ubi e ogne quando.    12
(96)

Quando entrambi i figli di Latona (il Sole e la Luna), sotto le due costellazioni di Ariete e Bilancia, fanno entrambi cintura dell’orizzonte, quant’è il tempo che passa dal momento in cui lo zenit li tiene in equilibrio fino a quello in cui si liberano dalla cintura cambiando emisfero, altrettanto tempo Beatrice restò in silenzio e sorridente, guardando fisso nel punto luminoso che aveva sopraffatto la mia vista. Poi iniziò: “Io dico e non ti chiedo quello che vuoi sentire, perché io l’ho letto là (nella mente di Dio) dove ogni tempo e ogni luogo si concentrano”.

Così inizia il 96, con la descrizione di un sole che sorge e di una luna che tramonta. Avete letto il testo. Avete letto la parafrasi.
Siete riusciti a vedere il miracolo?
E allora sapete che vi dico? Che proprio non avrei voglia di raccontarvelo!
Ma non è un mio capriccio, c’è una mano invisibile e forzuta che mi tira per la giacca, quasi quasi mi strattona, e una voce che mi dice… non se n’è mai accorto nessuno, teniamocelo per noi!
Bravo! Adesso me lo dici? E allora che dovevo farne… dei tuoi disegni perfetti perché privi di materia?

Delle tue pinture in tenebrosa parte, delle tue mappe siderali che avrebbero potuto dormire ancora per secoli, del tuo volume legato con amore, della tua architettura geometrica sacra pitagorica astrologica alchemica e anagogica… che poi c’è gente che mi dice che sono scema perché gioco con i triangoli??? Sia ben chiaro che non mi offendo punto! Tanto sono loro che si perdono lo spettacolo. Però, se non sono stata zitta prima, adesso parlo e il miracolo lo racconto!

Se ti metti a parlare dell’incipit del 96, attenta a te, perché poi devi dire anche tutto il resto. Ché rischi di passar per matta!
E la cosa mi lascia parecchio indifferente!
E allora a me non pensi??? Pure io potrei passare per matto, e questo non è il tempo!

Chi ha tempo, non aspetti tempo! E poi il gioco l’hai inventato tu, hai deciso le sue regole, e sì è compreso da un pezzo che da Saturno in poi ti stai togliendo tutti i sassolini dalla scarpa. E adesso che stanno diventando macigni ti vuoi tirare indietro?

Parlo per te. Molto meglio se ti diletti di angelologia, di Dionigi e di Gregorio, di Lucifero Superbo e Caduto che sta pure nel 46, e di tutti quegli “antichi superbi” dipinti sul pavimento che stanno bene così, che tutti ci possono passare sopra con i piedi, e poi fili liscia fino alla “mistica visione”, come fan tutti, e ti eviti tutti i problemi. Ho aspettato sette secoli, posso aspettarne ancora altri sette. Di miracoli ne ho seminati così tanti nel Poema che uno più uno meno, cosa vuoi che valga?

Ah sì? Ti va bene in questo modo? Allora dai!, siore e siori, si apre il grande circo: di qua si calpestano i peggiori superbi del mondo di cui la storia conserva memoria, da Lucifero fino ai boriosi abitanti di Troia, ce n’è per tutti i gusti. Dall’altra parte, Beatrice racconta della creazione degli Angeli, e di quel traditore invidioso e superbo di Lucifero, e poi decide di prendersela con tutti quei sapientoni in terra, un po’ narcisi e un po’ cialtroni, che si divertono alla grande a raccontar fandonie al popolo ignorante…

… sì che le pecorelle, che non sanno,
tornan del pasco pasciute di vento,
e non le scusa non veder lo danno.
(96)

E così l’ignorante diventa pure complice dei suoi manipolatori. Bel finale! Giù il sipario.
Veramente come li ho scritti io, erano molto meglio. Con tutte quelle impertinenze che sotto sotto ribollivano come acqua di zolfo, tanto da far tremar la terra…
Allora che vuoi fare? La parte del cialtrone che infinocchia la gente grossa, per cui tanta stoltezza in terra crebbe? Ne abbiamo così tanti, qui, di questi tempi, che potrebbero anche superare il numero degli angeli!
Non si possono contare gli Angeli! Sono frammenti di luce, di uno specchio frantumato che non ha fine né principio…
Come il tuo Poema eh?, ch’altro non è ch’un lume di suo raggio! Così lo descrivi a Giovanni… poema angelico quindi…

Se tiri fuori una cosa del genere, mi brucian per davvero!

Passati quei tempi, non si brucia più nessuno, tutt’al più si truccano le carte, si fa disinformazia, e se vuoi saperla tutta, sono ancora in molti a desiderare di farti morire guelfo e democristiano! Se t’accontenti…

Forse è meglio ripartire dall’incipit?

Forse è meglio…!

Si riparte dalla descrizione della Luna piena in Bilancia e del Sole in Ariete, quando per pochi secondi si trovano di fronte, all’orizzonte, e il Sole ad est fa brillare la pienezza della Luna a ovest, e poi uno sorge e l’altra tramonta. Per questo brevissimo tempo Beatrice fissa i suoi occhi sul quel punto di luce là ‘ve s’appunta ogne ubi e ogne quando, in cui si può vedere tutto contemporaneamente, passato presente futuro: la mente di Dio.

Esperienza che vivrà Dante nel XXXIII…
Nel suo profondo vidi che s’interna
legato con amore in un volume,
ciò che per l’universo si squaderna…
(100)

 Quindi il Poeta ancora non sa riconoscere nella parole di Beatrice ciò che veramente è accaduto: che in quei pochi istanti Beatrice ha contemplato  il TUTTO nell’UNO e l’UNO nel TUTTO, leggendo anche le domande che il suo amato vorrebbe fare, ma tanto ormai è inutile perché le conosce già.

Nel Canto Primo tutto comincia all’alba, quando si alza il Sole in Ariete e tramonta la Luna in Bilancia. Nel Canto Centesimo, Dante proverà la stessa identica visione di Beatrice, e vedrà il tutto nell’uno e l’uno nel tutto.

Dopo aver presentato il suo Poema a Pietro, a Giacomo, a Giovanni… ora l’Alighieri lo offre nella sua completezza a noi Lettori, così lo deposita nelle nostre mani in tutti i suoi 100 canti, e all’inizio del 96 si spalanca una porta magica, e tutti insieme, senza nemmeno sospettarlo, si entra dentro il secretato segreto del suo Poema. Trasportati dall’onda amniotica, dolcissima e avvolgente, dell’arte del CREARE. E nemmeno il 46 si sottrae al gesto dell’Artista… tutto il pavimento della prima cornice trionfa in policromia di mirabili disegni (un altro visibile parlare):

Come, perché di lor memoria sia,
sovra i sepolti le tombe terragne
portan segnato quel ch’elli eran pria,     18
onde lì molte volte si ripiagne
per la puntura de la rimembranza,
che solo a’ pii dà de le calcagne;             21
sì vid’io lì, ma di miglior sembianza
secondo l’artificio, figurato
quanto per via di fuor del monte avanza.  24
Vedea colui che fu nobil creato
più ch’altra creatura, giù dal cielo
folgoreggiando scender, da l’un lato.       27
Vedea Briareo, fitto dal telo
celestial giacer, da l’altra parte,
grave a la terra per lo mortal gelo.         30
Vedea Timbreo, vedea Pallade e Marte,
armati ancora, intorno al padre loro,
mirar le membra d’i Giganti sparte.          33
Vedea Nembròt a piè del gran lavoro
quasi smarrito, e riguardar le genti
che ‘n Sennaàr con lui superbi fuoro.             36
O Niobè, con che occhi dolenti
vedea io te segnata in su la strada,
tra sette e sette tuoi figliuoli spenti!                 39
O Saùl, come in su la propria spada
quivi parevi morto in Gelboè,
che poi non sentì pioggia né rugiada!               42
O folle Aragne, sì vedea io te
già mezza ragna, trista in su li stracci
de l’opera che mal per te si fé.                          45
O Roboàm, già non par che minacci
quivi ‘l tuo segno; ma pien di spavento
nel porta un carro, sanza ch’altri il cacci.         48
Mostrava ancor lo duro pavimento
come Almeon a sua madre fé caro
parer lo sventurato addornamento.                     51
Mostrava come i figli si gittaro
sovra Sennacherìb dentro dal tempio,
e come, morto lui, quivi il lasciaro.                     54
Mostrava la ruina e ‘l crudo scempio
che fé Tamiri, quando disse a Ciro:
«Sangue sitisti, e io di sangue t’empio».             57
Mostrava come in rotta si fuggiro
li Assiri, poi che fu morto Oloferne,
e anche le reliquie del martiro.                             60
Vedeva Troia in cenere e in caverne;
o Ilión, come te basso e vile
mostrava il segno che lì si discerne!                    63
Qual di pennel fu maestro o di stile
che ritraesse l’ombre e’ tratti ch’ivi
mirar farieno uno ingegno sottile?                     66
Morti li morti e i vivi parean vivi:
non vide mei di me chi vide il vero,
quant’io calcai, fin che chinato givi.                   69
(46)

Come, per poter ricordare i morti, sulle lapidi delle tombe si scrivono i loro nomi, per cui spesso lì si ha nostalgia dei propri cari per il dolore del ricordo che stimola solo gli uomini devoti; così io vidi dipinto il pavimento della Cornice che sporge dal monte, ma in modo più raffinato perché era opera di Dio. Vedevo da una parte colui (Lucifero) che fu creato più nobile di ogni altra creatura, che cadeva giù dal Cielo colpito dalla folgore. Vedevo dall’altra parte Briareo che giaceva dopo essere stato colpito dal fulmine di Giove, pesante a terra e gelato dalla morte. Vedevo Apollo, Atena, Marte, ancora armati e intorno al loro padre Giove, che osservavano le membra sparse dei Giganti. Vedevo Nembrod ai piedi della grande opera (la Torre di Babele) quasi smarrito, che guardava le genti che furono superbe insieme a lui a Sennaàr. O Niobe, con quali occhi addolorati ti vedevo scolpita sulla strada, tra i tuoi quattordici figli uccisi!

O Saul, come sembravi morto, lì nella pittura, sulla tua spada a Gelboè, dove in seguito non cadde pioggia né rugiada! O folle Aracne, ti vedevo già mezza tramutata in ragno, triste sugli stracci dell’opera che tu producesti a tuo danno. O Roboamo, qui la tua immagine non sembra minacciare, ma appare piena di spavento e portata via da un carro, senza che qualcuno la insegua. Il duro pavimento mostrava ancora come Alcmeone fece apparire prezioso a sua madre (Erifile) lo sventurato monile. Mostrava come i figli si scagliarono contro Sennacherib, nel tempio, e come lo lasciarono qui dopo averlo ucciso. Mostrava la rovina e il crudele scempio che Tamiri fece di Ciro, quando gli disse: «Hai avuto sete di sangue e io di sangue ti riempio». Mostrava come gli Assiri fuggirono in rotta, dopo che Oloferne fu ucciso (da Giuditta), e anche ciò che restava del suo tronco decapitato. Vedevo Troia ridotta in cenere e rovine; o Ilio, come ti mostrava bassa e vile il disegno che si vede lì! Quale maestro di pittura o disegno ci fu mai, capace di ritrarre le figure e i tratti che lì, in Purgatorio, farebbero meravigliare un ingegno raffinato? I morti sembravano morti e i vivi sembravano vivi: chi vide la scena reale non vide meglio di me, finché osservai chinato le scene dipinte che calpestavo.

Lungo trattato sui complessi paradigmi nei quali si declina la superbia, e non potevo fare a meno di citarlo nella sua completezza. Dalla ribellione contro gli dei, alla sete di vendetta, dai figli violenti contro i padri, ai re e ai popoli sconfitti dalle loro stesse ossessioni… E il Poeta a capochino lentamente cammina, e ammira un’arte divina che scorre alla lettura come un film d’orrore, con scene animate che noi abbiamo dovuto aspettare i Lumière per poterle vedere.

Un impianto scenico ancora più ricco dei  bassorilievi ammirati all’ingresso del purgatorio.
Sarà capitato anche a voi di entrare nelle chiese, e di vedere sul pavimento le lapidi di marmo, che Dante ricorda all’inizio del racconto: quelle che conservano memoria dei sepolti. A volte decifriamo il testo, a volte riconosciamo persone e date, ma è  istintivo il rifiuto di camminarci sopra. Come si fa allora a rimanere indifferenti davanti a questa IMMAGINE… di un Poeta che ammira un’arte divina calpestandola?

Calcare i propri piedi sopra la Bellezza… che anche nei nostri ricordi più antichi sempre si concilia con la Verità, con il Bene, con l’Utile, con il desiato frutto di un Atto Creante.
Problema da Artisti, questo! Che poi sarebbe anche un problema da Dio.

Ricordiamo il dialogo 11-61, quando Virgilio ci spiega che Dio per desiderio si è messo al lavoro, tanto che la nostra arte è nipote a Dio?
E questo concetto viene confermato anche da Beatrice nel 96:

Non per aver a sé di bene acquisto,
ch’esser non può, ma perché suo splendorep
otesse, risplendendo, dir “Subsisto”,    15
in sua etternità di tempo fore,
fuor d’ogne altro comprender, come i piacque,
s’aperse in nuovi amor l’etterno amore. 18
(96)

Non al fine di accrescere il proprio bene, cosa impossibile, ma l’amore eterno di Dio si moltiplicò in altri amori (negli angeli), come gli piacque, nella sua eternità fuori del tempo e dello spazio, affinché il suo splendore potesse dire “Esisto”, risplendendo nella bellezza degli angeli.

Chissà di chi sta parlando l’Alighieri! Di Dio o dell’Artista?
Chi potrebbe dire oggi che anche l’Arte Umana è moltiplicazione d’amore? Riuscirebbe a crederci un qualsiasi Ministro dei Beni Culturali? E noi oggi riusciremmo a dire come e quanto sia sta calpestata la Bellezza?

Ti avevo avvisata. Adesso stai in un cespo di rovi.
Solo perchè tu sei convinto che nessuno ci crederà mai.
A cosa?
Al tuo tormento. Al tuo dolore. Ti hanno incensato. Ti chiamano Sommo. Ma non le hanno mai viste le tue labbra che ti mordevi a sangue per impedirti di parlare. Il peso che hai portato sulle spalle e sul cuore fino a piegarti, come hai fatto con Oderisi, incurvandoti come se avessi anche tu un macigno sulla testa. Un pensiero come un coltello che ti colpiva la fronte, o i sette Pugnali, o le sette Spade del purgatorio: il sospetto che in molti ti avrebbero letto, ma che nessuno ti avrebbe mai guardato.

Credi che mi sia sfuggita la lunga anafora dei 10 VEDERE e dei 5 MOSTRARE?
Ci stavi mostrando che dovevamo vedere qualcosa, o no? Che anche il tuo Poema sarebbe finito sotto i piedi di qualcuno, e non ti ha mai lasciato questo tormento. E oggi saresti in buona compagnia, oggi che anche l’arte è solo mercimonio. E ancora sei convinto che non crederanno mai che hai aspettato il Canto degli Angeli per liberarti da questo peso!

Non troverai mai le parole per poterlo dire!
Sono le tue stesse parole a dirlo. Per carità, ben adornate mascherate velatissime come sai fare bene tu, ma è impensabile che un Artista, proprio quasi alla fine dell’Opera, non parli della sua Arte.
TU esisti perchè la tua Opera splende! Come Dio esiste, perché splendono gli Angeli!
E’ questo che ti spaventa: confessare che hai fatto in modo che Dio ti facesse da schermo. Ma questi sono i tempi giusti per dirlo: non se ne accorgerà nessuno.

Forma e materia, congiunte e purette,
usciro ad esser che non avia fallo,
come d’arco tricordo tre saette.          24
E come in vetro, in ambra o in cristallo
raggio resplende sì, che dal venire
a l’esser tutto non è intervallo,            27
così ‘l triforme effetto del suo sire
ne l’esser suo raggiò insieme tutto
sanza distinzione in essordire.             30
Concreato fu ordine e costrutto
a le sustanze; e quelle furon cima
nel mondo in che puro atto fu produtto; 33
pura potenza tenne la parte ima;
nel mezzo strinse potenza con atto
tal vime, che già mai non si divima.      36
(96)

La forma e la materia, unite fra loro e pure, crearono degli esseri che non avevano imperfezioni, come tre saette vengono scoccate da un arco con tre corde. E come il raggio luminoso risplende attraverso un corpo trasparente, in modo tale che tra il suo giungere e il brillare non c’è intervallo di tempo, così il triforme atto creativo di Dio si irradiò insieme nel suo essere, senza successione di tempo. L’ordine e la struttura del cosmo furono concreate insieme; e gli angeli, prodotti dall’atto puro, occuparono la parte più elevata dell’Universo; la potenza pura occupò la parte più bassa (il mondo sensibile); nel mezzo, atto e potenza furono stretti insieme da un legame tanto saldo, che non può mai essere sciolto.

Beatrice ci rivela la cosmogonia aristotelica, lo trovate scritto ovunque e, appena hanno finito di scriverlo, raccomandano a tutti di star contenti al quia, perché è impossibile capire certe cose.
Tutti contenti nel sapere che ci fosse bisogno di una Beatrice per rivelare Aristotele?
Questa cosmogonia, soltanto a voler sbagliare per difetto, è di natura pitagorica (e non restiamo a ragionar sul fatto che fu Pitagora a trovarne le radici più lontane). E tutto si fonda sul numero 3, che voi ben conoscete: pensare agire finire.

Il triforme effetto del suo Sire (venderei la mia vita pur di costruire una sola immagine di tal fattura!) si irradia in un solo istante scoccando le tre saette (le tre fasi di un Atto Creante) da un arco a tre corde, senza alcun differimento temporale.
Quanto garberebbe anche a noi possedere una forza del genere! Pensare agire finire, dentro la briciola di un secondo! Ma noi siamo MATERIA, ancorata alle leggi del TEMPO, del prima del durante e del dopo, che inizia proprio quando la materia inizia, inaugurando il processo della trasformazione.

Né prima quasi torpente si giacque;
ché né prima né poscia procedette
lo discorrer di Dio sovra quest’acque.   21
(96)

Questo non significa che prima (Dio) giacesse inoperoso, dal momento che nella creazione divina di questi Cieli non ci fu un prima né un dopo (il tempo non esisteva al di fuori della creazione della materia).
Forse potremmo anche immaginarlo il senza-tempo dell’abisso immobile e quieto, che si muoverà solo spinto da DESIDERIO, da potenza erotica avrebbe detto il buon Aristotele, parafrasando Platone.

Ma non è questo il punto. Pure gli Artisti (e quando dico Artisti mi riferisco a tutti coloro che operano con Arte, dallo Scienziato al Musico al Medico all’Artigiano al Contadino…)  vivono un momento simile, anche se preferiscono non parlarne mai: quando nella loro immobilità vengono in un solo istante trafitti dall’Ispirazione, e vedono, veramente vedono, la loro Opera Intera. Si mettono subito in movimento, però quello umano del primadurantedopo, e la loro Opera-Materia, Intuita e Ispirata, prenderà volta per volta la sua Forma, e spesso prenderà la forma che lei stessa desidera, come si dice: prenderà la mano all’artista, vivendo di vita propria.

Qual di pennel fu maestro o di stile
che ritraesse l’ombre e’ tratti ch’ivi
mirar farieno uno ingegno sottile?     66
(46)

Quale maestro di pittura o disegno ci fu mai, capace di ritrarre le figure e i tratti che lì, in purgatorio, farebbero meravigliare un ingegno raffinato?
Soddisfatti dalla parafrasi… ingegno raffinato? Certamente no, per chi conosce il codice linguistico di quell’epoca e dello stesso Alighieri: ‘ingegno sottile’ significa anima intellettiva (che è conquista del Purgatorio), quella mente (cioè anima) che possiede l’intelletto sottile, cioè la dimensione spirituale dell’Intelligenza, in grado di percepire la Coscienza Cosmica. Che l’Alighieri definisce RAGGIO ANGELICO: un messaggio (ànghelos) misterioso che giunge da infinite lontananze, del quale non si aveva nemmeno il sospetto che esistesse, ma giunge per abitare dentro i nostri pensieri.

Come avrebbe detto lo stesso Jung: i pensieri volano attorno a noi, basta alzare la mano per catturarli.
E quindi ora sappiamo che quel misterioso maestro di pittura, in rivelazione anagogica, era molto più grande, ma molto più grande, di chi, in terra, possiede un’ anima intellettiva, e anche di chi ha conquistato il raggio angelico, perché, per possederlo, è necessario desiderarlo.
Ho sentito molti Maestri Patentati, affermare, con un lieve sorriso che traspariva in ironia, che in quei tempi, confermato da filosofi e dallo stesso Poeta (XXV, Purg.), si credeva che i nostri pensieri, in fondo, non esistevano, ma erano già tutti presenti dentro l’Intelligenza Cosmica, e insufflati dentro la nostra anima. Bastava catturarli.

Ora, se anche a voi affiora un lieve sorriso sulle labbra, sappiate che su questa barca non potrete più seguire la scia del naviglio del Poeta.
L’Alighieri conosce tutto questo per diretta esperienza, come tanti dopo di lui, e tanti ancora in mezzo a noi che sanno bene che questo accade veramente.
Per questo era necessario il Canto degli Angeli, per poter parlare dell’Arte e del suo Mistero.

Concreato fu ordine e costrutto
a le sustanze; e quelle furon cima
nel mondo in che puro atto fu produtto; 33
pura potenza tenne la parte ima;
nel mezzo strinse potenza con atto
tal vime, che già mai non si divima.        36
(96)

FORMA e MATERIA, nell’atto creante divino, sono istantanee. Mentre per noi costituiscono un travagliato DIVENIRE.
E quindi, insieme agli Angeli, Dio irradiò anche l’Ordine e la Struttura dell’intero Cosmo (ordine e costrutto)… e agli Angeli (Intelligenze che muovono i Cieli) fu affidato il punto più alto dell’Universo in cui si è compiuto l’ATTO PURO.
Alla parte più bassa fu affidata la MATERIA con la POTENZA IN ATTO, cioè il suo destino di continua (potenziale) TRASFORMAZIONE.
Ma nel mezzo, ATTO PURO e POTENZA PURA furono legati insieme con un legame che giammai si scioglierà.
Difficile da comprendere? Magari ci vorrebbe un disegnino? Una bella immagine che ci fa capire al volo come stanno le cose? Eccola!
Il punto più alto dell’Universo è il suo centro, come ben ci raccontano il 95 e il 96: là ‘ve s’appunta ogne ubi e ogne quando.
Il piccolo cerchio nero centrale è sede dell’EMPIREO IMMOBILE E QUIETO, la piccola stella che lo circonda è il PRIMO MOBILE che è chiuso nella Mente di Dio, circonda Dio ma ne è contenuto, completamente al di fuori dei confini del mondo materico, e che solo amore e luce ha per confine. Però non dovete immaginarlo così come si vede: qui si sta parlando del punto centrale privo di dimensione, il punto in cui si incide l’ago del compasso: quel punto è l’EMPIREO.
Da questo punto, dal PURO ATTO, si irradiano in sincronia le nove gerarchie angeliche che muovono i nove cieli.
Il Primo Mobile è affidato ai Serafini, ma non basta. Nel Primo Cielo, Mobile e Divino, sono collocati gli 8 Spiriti più vicini al Mistero: Maria, Pietro, Giovanni Evangelista, Lucia, Giovanni il Battista, Anna (madre di Maria), Mosè e Adamo.
La Seconda Stella più grande è l’Irradiazione della Materia, la parte più bassa del Creato, la Potenza in Atto. Nel Mezzo, punto senza dimensione dove si colloca l’ago del compasso, dove giace l’Eternità come diceva Pitagora, si incontrano, in un nodo che mai può essere sciolto, tutti i diametri dell’irradiazione (perché di cerchio si parla, e l’Infinito è senz’altro sferico), e qui ATTO PURO E PURA POTENZA si legano insieme, nel mezzo della Mente di Dio.

Ci voleva per forza un solido in quarta dimensione! Non chiedetemi da dove arriva perché non lo sa nessuno, ma ogni volta che trovate una stella irradiante a otto punte, in milioni di luoghi, voi sempre inciamperete nel Mistero della Creazione.
96 canti in-ternati sulla stella, si squater-nano nel mondo materico.
I 4 canti sigillati, cioè i 4 elementi e le 4 dimensioni dell’Uomo, sono criptati nella mente di Dio, nel Primo Mobile, ed ecco perché quando entriamo in questi 4 canti il Tempo si ferma e cessa di scorrere.
E poi, se avete avuto la pazienza di seguirmi fino a qui, da soli comprendete quanto i diametri di questo cerchio siano nel loro punto d’origine, al di là dell’immaginabile, intensamente AGENTI e POTENTI.

 

Come dimostra anche questo disegno di Giordano Bruno, chiamato Mens Dei o Sigillo dei Sigilli. Irradiazione Totale dal punto centrale che va a innervarsi in 12 punti della circonferenza (Sacra Dozzina), ma che deve essere anche visto in terza dimensione, nel cono sottostante, che ci offre almeno l’immagine minima dell’espansione nello spazio (in quarta dimensione).

Potete vedere di tutto in queste immagini, finanche la Rete Quantica, però la loro vera didascalia coincide con le parole di Beatrice. Come è arrivata all’Alighieri la Geometria Sacra del Mistero della Creazione?
Probabilmente fin dall’infanzia, quando Brunetto Latini gli ha messo nelle mani il compasso. Sono frammenti di Arcana Sapienza che ci sono stati rubati, e per questo ci sentiamo smarriti e increduli. In un mondo fitto di certezze, non solo abbiamo smesso di fare domande, ma siamo anche completamente sprovvisti davanti a una cultura simbolica, non letterale, che è in grado anche di tradurre in disegni difficili concetti.

Dovrei anche aggiungere che in questo che può anche apparire come capriccio geometrico (comunque affidato alla Pura Astrazione di Zeus), si cela anche un Modello di Umanità, ciascun individuo per se stesso preso. Nel Primo Mobile, cioè nella stellina centrale, l’Alighieri colloca il suo testo anagogico, lo strumento della via della salita, la conquista della nostra reintegrazione, il raggiungimento della felicità in terra, il superamento del dolore, la coscienza vera della nostra parte di divinità. Se scardiniamo il punto che sta nel mezzo, se sciogliamo il legame, tutti i diametri crollano e crollano anche le stelle.

Queste sustanze, poi che fur gioconde
de la faccia di Dio, non volser viso
da essa, da cui nulla si nasconde:        78
però non hanno vedere interciso
da novo obietto, e però non bisogna
rememorar per concetto diviso;             81
sì che là giù, non dormendo, si sogna,
credendo e non credendo dicer vero;
ma ne l’uno è più colpa e più vergogna.  84
Voi non andate giù per un sentiero
filosofando: tanto vi trasporta
l’amor de l’apparenza e ‘l suo pensiero!  87
E ancor questo qua sù si comporta
con men disdegno che quando è posposta
la divina Scrittura o quando è torta.          90
Non vi si pensa quanto sangue costa
seminarla nel mondo e quanto piace
chi umilmente con essa s’accosta.              93
Per apparer ciascun s’ingegna e face
sue invenzioni; e quelle son trascorse
da’ predicanti e ‘l Vangelio si tace.            96
(96)

Queste intelligenze angeliche, non appena furono felici contemplando Dio, non distolsero lo sguardo dalla sua mente, da cui nulla può essere celato: perciò la loro visione non è interrotta da alcun nuovo oggetto, e dunque non hanno bisogno di ricordare concetti acquisiti in diversi momenti; e invece sulla Terra si sogna ad occhi aperti, dicendo cose inesatte in buona e cattiva fede; tuttavia chi è in malafede suscita più vergogna ed è più colpevole. Voi, filosofando sulla Terra, non percorrete un’unica strada: a tal punto siete trasportati dall’amore e dal desiderio di apparire (fama e successo! E Oderisi ne sa qualcosa!) E questo, tuttavia, quassù è tollerato con minore disdegno, rispetto a quando la Sacra Scrittura è trascurata oppure deformata. Voi non pensate al sangue versato per diffondere nel mondo la parola di Dio, e quanto piace (a Dio) chi si unisce ad essa con tutta umiltà. Ciascuno, per fare sfoggio di sapienza, si ingegna e produce delle invenzioni; e quelle sono trattate ampiamente dai predicatori, che trascurano il Vangelo.

Ora sì che meglio s’intende il rimprovero di Beatrice! Contro il nostro superbo narcisismo, contro la nostra stessa furia di far crollare diametri!

Non ha Fiorenza tanti Lapi e Bindi
quante sì fatte favole per anno
in pergamo si gridan quinci e quindi;         105
sì che le pecorelle, che non sanno,
tornan del pasco pasciute di vento,
e non le scusa non veder lo danno.             108
Non disse Cristo al suo primo convento:
‘Andate, e predicate al mondo ciance’;
ma diede lor verace fondamento;                 111
e quel tanto sonò ne le sue guance,
sì ch’a pugnar per accender la fede
de l’Evangelio fero scudo e lance.                114
Ora si va con motti e con iscede
a predicare, e pur che ben si rida,
gonfia il cappuccio e più non si richiede.       117
Ma tale uccel nel becchetto s’annida,
che se ’l vulgo il vedesse, vederebbe
la perdonanza di ch’el si confida;                   120
per cui tanta stoltezza in terra crebbe,
che, sanza prova d’alcun testimonio,
ad ogne promession si correrebbe.                 123
(96)

Firenze non ha tanti Lapi e Bindi (nomi più diffusi a quel tempo) quante sono le favole che ogni anno si gridano dal pulpito in ogni luogo; cosicché le pecorelle (i fedeli) ignoranti tornano dal pascolo dopo essersi cibate di vento, e non è una scusante il fatto di non vedere il proprio danno. Cristo non disse ai suoi primi Apostoli: ‘Andate e predicate ciance ai fedeli’, ma diede loro un fondamento di verità; e nelle guance degli Apostoli risuonò soltanto quello, sicché usarono il Vangelo come scudo e lance per combattere e diffondere la fede. Ora i predicatori si esibiscono in motti e lazzi, e purché abbiano suscitato il riso si gonfiano di orgoglio e non chiedono altro. Ma nel cappuccio si annida un tale uccello (il demonio), che se fosse visto dal popolo questo capirebbe quanto valgono le indulgenze in cui sperano; perciò in Terra è cresciuta una tale stupidità che, senza prova di alcuna testimonianza, si corre dietro ad ogni promessa.

Dedicato a chi sapete voi, quando si pagano i finesettimana a corsisti che ti regalano in un’ora la felicità!

La prima luce, che tutta la raia,
per tanti modi in essa si recepe,
quanti son li splendori a chi s’appaia.      138
Onde, però che a l’atto che concepe
segue l’affetto, d’amar la dolcezza
diversamente in essa ferve e tepe.              141
Vedi l’eccelso omai e la larghezza
de l’etterno valor, poscia che tanti
speculi fatti s’ha in che si spezza,
uno manendo in sé come davanti».                  145
(96)

 La luce di Dio, che irraggia tutti gli angeli, viene da essi recepita in modo diverso, per quanti sono gli splendori a cui si unisce. Dunque, poiché all’atto della visione di Dio segue l’amore, la dolcezza di questo amore è ardente e tiepida negli angeli in maniera diversa o fervente o tiepida.Vedi ormai l’altezza e la generosità dell’eterna potenza di Dio, dal momento che si riflette in così tanti specchi, pur restando uguale a se stessa e unica come prima».
Luce e Amore penetrano in diverse intensità nel Cosmo, o lievemente o forte, in tutto ciò che è creato, dagli angeli alla materia all’uomo. A seconda della nostra possibilità di ricevere la gioia dell’Universo. E questo lo sappiamo bene, perché il Poeta lo dice spesso.

Senza dimenticare però che ogni Intensità d’Amore è sempre Amata, quando l’Amore è Certo.

E questa è la più bella cosa che ci rivela l’Alighieri, almeno secondo me. In questo messaggio tutto è presente per la nostra stessa vita qui in terra: tutta la nostra fragilità e tutta la nostra salvezza.
Invece ho voluto lasciare libero l’ultimo endecasillabo. Tutti i canti finiscono con un verso caudato e solitario. Perché il TUTTO deve tornare all’UNO. Ma qui non volevo che perdeste la bellezza di quell’UNO collocato nel luogo dove veramente doveva stare, separato dal TUTTO e dentro il suo ESSERE immobile e quieto.
Perché…  vedi ormai l’altezza e la generosità di un Poeta, dal momento che la sua Opera si riflette in così tanti specchi, pur restando uguale a se stessa e unica come prima!

Ond’io: «Maestro, dì, qual cosa greve
levata s’è da me, che nulla quasi
per me fatica, andando, si riceve?».               120
Rispuose: «Quando i P che son rimasi
ancor nel volto tuo presso che stinti,
saranno, com’è l’un, del tutto rasi,                123
fier li tuoi piè dal buon voler sì vinti,
che non pur non fatica sentiranno,
ma fia diletto loro esser sù pinti».                 126
Allor fec’io come color che vanno
con cosa in capo non da lor saputa,
se non che ‘cenni altrui sospecciar fanno;      129
per che la mano ad accertar s’aiuta,
e cerca e truova e quello officio adempie
che non si può fornir per la veduta;                132
e con le dita de la destra scempie
trovai pur sei le lettere che ‘ncise
quel da le chiavi a me sovra le tempie:
a che guardando, il mio duca sorrise.               136
(46)

Allora dissi: «Maestro, dimmi: quale peso è stato levato da me, così che mentre procedo non sento quasi nessuna fatica?» Mi rispose: «Quando le P che sono rimaste ancora sulla tua fronte, sia pure sbiadite, saranno cancellate come lo è stata la prima, i tuoi piedi saranno vinti dalla buona volontà al punto che non solo non sentiranno fatica, ma proveranno piacere a essere spinti in alto». Allora io feci come quelli che vanno con qualcosa in testa che non sanno, se non perché altri gli fanno dei gesti che glielo fanno immaginare; per cui la mano va ad accertarsi e cerca e trova e svolge quel compito che non può essere compiuto dalla vista; e con le dita della mano destra staccate l’una dall’altra trovai solo sei delle lettere che l’angelo guardiano mi aveva inciso sopra le tempie: e vedendo tutto ciò, il mio maestro sorrise.

Sì, una ferita finalmente cancellata, e il Maestro è ben felice di sorriderne.
Perché adesso sappiamo che molti calpesteranno il Poema, con disprezzo e insipienza, con narcisismo saccente, felici di far ridere il pubblico e lasciarlo con la pancia piena di vento.
Schiere infinite di coloro che mai entreranno nel Poema con Umiltà e con sete di Giustizia e di Sapienza, come pretende l’Angelo Guardiano del Purgatorio.
Saranno in molti, ma sempre ci sarà Beatrice, severa e ferma come ammiraglio, a disprezzarli con le parole giuste.

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