43-93, il IX del Purgatorio e il XXVI del Paradiso: TERZETTO D’AQUILE

… in sogno mi parea veder sospesa
un’aguglia nel ciel con penne d’oro,
con l’ali aperte e a calare intesa…  (43)
Non fu latente la santa intenzione
de l’aguglia di Cristo, anzi m’accorsi
dove volea menar mia professione.  (93)

QUARTA VIA SAPIENZIALE: L’ELEVAZIONE

Siamo arrivati alla quarta via sapienziale, cioè le 4 coppie di canti che disegnano la croce templare patente spinata dentro la Geometria del Poema: una Croce iniziatica che sta ad indicare i 4 passaggi evolutivi del cammino.

  • 6-56: cibo del Corpo e cibo dello Spirito, la via del Vital Nutrimento.
  • 18-68: ingresso sincronico in Malebolge e in Paradiso: la via della Diritta Via, i cerchi concentrici in alto e in basso.
  • 31-81: la via della Libertà, la necessaria unione di Materia e Spirito.
  • 43-83: la via dell’Elevazione, presagio del volo nell’Arco di Fuoco.

Lettor, tu vedi ben com’io innalzo la mia matera, così ci avvisa l’Alighieri nel 43: ci dobbiamo preparare ad essere innalzati. Per cui non posso nascondervi la fatica che andremo ad affrontare.

E allora partiamo dalla cosa più semplice: le fabule ad litteram dei due canti.

LIVELLO LETTERALE 43: Mi sono addormentato nella Valletta. All’alba ho sognato un’aquila che mi ha ghermito e rapito in volo, e ho sentito un fuoco terribile che mi bruciava e allora mi sono svegliato. Virgilio mi ha detto che Lucia mi ha portato in braccio, mentre dormivo, facendomi volare fino all’ingresso del Purgatorio, e poi se n’è andata. Ci siamo presentati, Virgilio ed io, all’Angelo Guardiano, seduto sopra una soglia di diamante, e che posava i piedi su un gradino rosso. Il primo gradino era bianco, il secondo nero, e il terzo rosso. Mi ha inciso sulla fronte, con la sua spada, sette P, e poi ha aperto la porta con una chiave d’oro e una d’argento, e io ho sentito cantare il Te Deum.

LIVELLO LETTERALE 93: Dante, accecato dall’eccessiva luce di Giovanni, sostiene l’esame attorno alla Virtù della Carità. Con l’approvazione di tutti i Beati viene promosso, e riacquista la vista come accadde a san Paolo dopo la caduta sulla via di Damasco. Poi conversa con Adamo che risponde alle sue quattro domande.
Le aquile volano altissime, e non temono il sole: la sua luce non le può rendere cieche.

Giovanni, colui che giacque sopra ‘l petto del nostro pellicano (42), vola come un’aquila negli altissimi cieli della Carità e dello Spirito, e l’aquila è il suo simbolo.

Lucia, soccorritrice del suo Fedele nel Complotto d’Amore (2), porta in dono lo sguardo dell’aquila, a chi volesse guardare le cose che non si possono vedere.

Dante, aquilotto in salita, viene abbagliato dai raggi di luce della spada dell’Angelo Guardiano, viene accecato dallo splendore di Giovanni, e resta smarrito per quello strano sogno che non riesce a interpretare.

Va bene che Lucia gli ha voluto risparmiare la salita in sesto grado… ma perché tutto quel fuoco che mi stava bruciando vivo insieme all’aquila?

Poi mi parea che, poi rotata un poco,
terribil come folgor discendesse,
e me rapisse suso infino al foco.                30
Ivi parea che ella e io ardesse;
e sì lo ‘ncendio imaginato cosse,
che convenne che ‘l sonno si rompesse.    33
(43)

Poi mi sembrava che l’aquila, dopo aver volteggiato un poco, scendesse fulminea come la folgore e mi rapisse fino alla sfera del fuoco. Là mi sembrava di bruciare insieme a lei; e quell’incendio sognato mi arse a tal punto, che fu inevitabile che il sogno finisse. La verità di questo sogno, Dante la comprenderà solo nel 93, quando arderà di Carità e d’Amore davanti a Giovanni, così come ci rivela la Geometria della Stella: quando nell’Arco di Fuoco conquisterà il corpo tetragono, igneo e reintegrato.

Le Fabule letterali che vi ho narrato, non hanno nulla a che fare col loro Intreccio, che è così intenso e arduo che mi vengono le vertigini ad affrontarlo, perché vedi

Lettor, tu vedi ben com’io innalzo
la mia matera, e però con più arte
non ti maravigliar s’io la rincalzo.    72
(43)

O lettore, tu vedi bene come io innalzo la materia del mio canto, e perciò non stupirti se io la rafforzo con un’arte più raffinata.
Rincalzare la materia con arti più raffinate… pare quasi innocuo come avviso ai naviganti!
Quali sono i percorsi suggeriti dal criptico consiglio dell’Alighieri?

  • Aver scoperto che i due canti conversano in tempo sincronico
  • Ascoltare le immagini come se fossero dentro un impianto stereofonico, linea di basso a destra, suoni alti a sinistra.
  • Possedere qualche conoscenza alchemica
  • Intuire l’ardita potenzialità del linguaggio e della scrittura
  • Riconoscere bene la Metafisica Pitagorica dei Numeri
  • Aver letto con attenzione almeno i luoghi delle Sacre Scritture citati dal Poeta
  • Armarsi di pazienza infinita

Noi ci appressammo, ed eravamo in parte,
che là dove pareami prima rotto,
pur come un fesso che muro diparte,      75
vidi una porta, e tre gradi di sotto
per gire ad essa, di color diversi,
e un portier ch’ancor non facea motto.   78
(43)

Noi ci avvicinammo ed eravamo al punto in cui mi era sembrato che là la parete fosse rotta, proprio come un muro attraversato da una crepa, però lì, dentro nascosta, vidi una porta, e sotto di essa tre gradini per salire ad essa, di diversi colori, e un angelo guardiano che ancora non diceva nulla. La porta del purgatorio, nascosta da una profonda ferita della roccia. Si deve entrare nel proprio dolore, nella propria ferita, per poter guarire. E dal 93 si può sentire il contrappunto di un Dante nuovamente ferito.

Mentr’io dubbiava per lo viso spento,
de la fulgida fiamma che lo spense
uscì un spiro che mi fece attento,      3
dicendo: «Intanto che tu ti risense
de la vista che hai in me consunta,
ben è che ragionando la compense.    6
(93)

Mentre io ero incerto riguardo alla mia vista spenta, dalla luce splendente che l’aveva spenta (san Giovanni) uscì una voce che attirò la mia attenzione, dicendo: Mentre tu riacquisti il senso della vista che hai consumato guardandomi, è opportuno che tu compensi questa mancanza esercitando la ragione.
Colpito negli occhi, Dante parlerà in totale stato di cecità, compensando il BUIO con l’uso della RAGIONE. É scritto anche nei Misteri che, chiudendo gli occhi, si raffina lo sguardo interiore, meglio si legge dentro noi stessi. Nei canti delle Stelle Fisse, l’Alighieri in persona sale sulla scena per poter parlare di se stesso, della sua vita, delle sue scelte, del suo Poema. Principe Zelante per san Pietro, e la sua Opera lo dimostra. Uomo che fra tutti gli uomini ha sperato di più, per san Giacomo, come afferma Beatrice: La Chiesa militante alcun figliuolo non ha con più speranza, la Chiesa militante non ha nessun altro figlio con maggiore speranza di Dante. E tutto questo in virtù del suo Poema!

Ora, con san Giovanni, parlerà di Carità, di Amore e di Scrittura: conversazione fra due Aquile senza dubbio ben ferrate sui tre argomenti.
Ma prima di ascoltarli, torniamo al 43, e guardiamo il Dante penitente ai piedi della scala.

Là ne venimmo; e lo scaglion primaio
bianco marmo era sì pulito e terso,
ch’io mi specchiai in esso qual io paio.     96
Era il secondo tinto più che perso,
d’una petrina ruvida e arsiccia,
crepata per lo lungo e per traverso.          99
Lo terzo, che di sopra s’ammassiccia,
porfido mi parea, sì fiammeggiante,
come sangue che fuor di vena spiccia.         102
Sovra questo tenea ambo le piante
l’angel di Dio, sedendo in su la soglia,
che mi sembiava pietra di diamante.          105
Per li tre gradi sù di buona voglia
mi trasse il duca mio, dicendo: «Chiedi
umilemente che ‘l serrame scioglia».       108
(43)

Andammo là: il primo gradino era di marmo bianco, così pulito e lucido che io mi ci specchiai tale quale io appaio. Il secondo era di colore assai scuro, fatto di pietra ruvida e riarsa, screpolata nel senso della lunghezza e della larghezza. Il terzo, che è più alto di tutti, mi sembrava di porfido ed era così fiammeggiante (rosso) che sembrava sangue che zampilla da una vena. L’angelo di Dio teneva su questo gradino entrambi i piedi, sedendo sulla soglia che mi sembrava fatta di diamante. Il mio maestro mi spinse su per i tre gradini, cosa che accettai volentieri, dicendo: «Chiedi umilmente che ti apra la porta».
Fantasia policroma per crear poesia? O appuntamento decisivo per poter parlare del suo Poema? Alle reali soglie del purgatorio che si specchia, in sincronia, all’apostolo Giovanni. Con il linguaggio cifrato al quale erano in molti in quel periodo a far ricorso.

Gradino di marmo bianco: i primi 12 canti dello Specchio dell’Arte, e dell’Inferno, nel quale mi specchiai in esso qual io paio, e cioè dentro le prime esperienze del vivere, comuni a tutti gli uomini. Prima fase dell’Opus Magnum. 
Gradino scuro, ruvido e screpolato: la nigredo che mi ha accolto nel Basso Inferno, seconda fase dell’Opus Magnum. 
Gradino rosso, di porfido, fiammeggiante, come sangue che fuor di vena spiccia. Punto fermo della terza fase dell’Opera, la rubedo, il Cielo rosso di Marte, i martiri della fede. 
L’aguglia con le penne d’oro, l’aquila Lucia, è presagio del volo al 93, luogo dell’Auredo inaugurata dal Cielo di Saturno e dalla sua Scala d’oro.
L’angelo siede su una soglia di diamante: adamas!  Ultima fase dell’Opera, e che certamente contraddice la diffusa vulgata di nigredo-albedo-rubedo.
L’Alighieri sta parlando da alchimista provetto e ad litteram chiede in ginocchio il perdono e per tre volte si batte il petto, ma in questo gesto depone umilmente ai piedi dell’Angelo il progetto del suo Poema, nessun luogo migliore per cominciare a parlarne!
Ecco il Poema trasformato in diamante, quando la sua Geometria andrà ad incrociarsi con la disposizione dei sogli nella Candida Rosa. Sono arrivati tempi in cui si può ben comprendere che il vero sogno dell’alchimista non è soltanto auredo, l’oro filosofico, ma è la luce pura dello Spirito, l’abisso di luce dell’Aleph, la trasparenza iridata del diamante (centesimo canto).

Sciogliere il serrame: aprire la porta o sciogliere l’enigma? Forse penetrare il linguaggio più criptico che si possa immaginare! Ma non è ancora finita.

 

 

Cenere, o terra che secca si cavi,
d’un color fora col suo vestimento;
e di sotto da quel trasse due chiavi.               117
L’una era d’oro e l’altra era d’argento;
pria con la bianca e poscia con la gialla
fece a la porta sì, ch’i’ fu’ contento.               120
«Quandunque l’una d’este chiavi falla,
che non si volga dritta per la toppa»,
diss’elli a noi, «non s’apre questa calla.        123
Più cara è l’una; ma l’altra vuol troppa
d’arte e d’ingegno avanti che diserri,
perch’ella è quella che ‘l nodo digroppa.      126
Da Pier le tegno; e dissemi ch’i’ erri
anzi ad aprir ch’a tenerla serrata,
pur che la gente a’ piedi mi s’atterri».          129
Poi pinse l’uscio a la porta sacrata,
dicendo: «Intrate; ma facciovi accorti
che di fuor torna chi ‘n dietro si guata».      132
(43)

La sua veste era di colore identico alla cenere o alla terra secca appena scavata; di sotto ad essa tirò fuori due chiavi. Una era d’oro e l’altra d’argento; usò prima quella dorata e poi quella argentea per aprire la porta, accontentandomi. Egli ci disse: «Ogni qual volta una di queste chiavi non funziona e non si gira come si deve nella toppa, questa porta non si apre. Quella d’oro è più preziosa; ma l’altra richiede molta arte e ingegno per aprire, perché è quella che scioglie il nodo. Le ho ricevute da san Pietro; e lui mi disse che dovevo sbagliare ad aprire la porta, piuttosto che a tenerla chiusa, purché i penitenti mi si gettino ai piedi».

La cenere dei penitenti, e l’allegoria è lampante. Ma come terra secca che si deve scavare, indica la dura fatica con cui si deve giungere nelle profondità nascoste del Poema. 
Le chiavi donate da san Pietro, magiche come una fiaba, sono d’oro e d’argento. Quella d’oro è preziosa, perché prevede la sete della Sapienza Saturnina. Ma quella d’argento scioglie il nodo, perché pretende la sete di Giustizia, l’argentum di Giove, che, guarda caso, è anche il pianeta preposto all’insegnamento della Geometria. E veramente, per tutte e due le cose, servono molta arte e molto ingegno. E così la Porta del purgatorio è sacrata come è sacrato il Poema.
Chi ha sete di Giustizia e di Sophia entri pure nel mio Poema. Ma con molta umiltà: pur che la gente a’ piedi mi s’atterri.
Dimostrare di essere diventato Sapiente, è il vero traguardo degli esami da superare nel Cielo delle Stelle Fisse. E san Giovanni, nel 93, è pronto a porre a Dante i tre difficili quesiti:

  • Ove s’appunta l’anima tua?
  • Chi drizzò l’arco tuo a tal berzaglio? (l’Amore di Dio)
  • Tu senti altre corde tirarti verso lui? (verso questo Amore)

La conversazione dura per 59 endecasillabi e le risposte sono teologicamente perfette.

RIASSUMIAMO

Ove s’ appunta l’anima tua?  All’Amore di Dio che è alfa e omega, principio e fine di tutte le cose.
Chi drizzò l’arco al tuo berzaglio? La filosofia e la rivelazione del Cristo. Con maggior precisione: Aristotele, il Vecchio Testamento e il tuo Vangelo. Questi mi hanno fatto capire che il Bene di Dio è l’unico vero amore.
Senti altre corde tirarti verso lui? Sì: il mondo, la mia vita, il sacrificio di Cristo, la speranza della vita eterna, e il fatto che io amo tutti gli uomini come Dio li ama.
L’arma del linguaggio criptato può essere usata solo con l’Evangelista: Lui, così ermetico nel suo Vangelo, così enigmatico nella sua Apocalisse!
La non ci manca la chiave di lettura (ancora chiavi sì!) per poter svelare il testo nascosto dentro il testo: e sta chiusa nella seconda terzina, ed ultima, della prima risposta a Giovanni.

Lo ben che fa contenta questa corte,
Alfa e O è di quanta scrittura
mi legge Amore o lievemente o forte». 18

(93)

Il BENE che rende felice il paradiso, è l’alfa e l’omega di tutta quanta la scrittura che mi insegna che l’Amore è sempre Amore a qualsiasi intensità lo si viva. 
(Raffinata citazione dal Vangelo di Giovanni, AMATEVI GLI UNI CON GLI ALTRI COME IO VI HO AMATO. Quando il Cristo, risorto, rivela a Pietro e Giovanni diversi destini, e non perché Lui li ama in modo diverso, ma perché rispetta la diversità del loro modo di amare, perché qualsiasi grado d’amore è sempre amore!). 
Ma quello che attira maggiormente la nostra attenzione è quell’“”, che trasforma l’Omega in una qualsiasi O con l’aggiunta di una bella E accentata, nel suono tipico che gli italiani emettono quando pretendono che l’interlocutore debba alzare il suo livello di comprensione. 
Bel modo per nascondere una chiave! E soprattutto quando è di natura pitagorica. Alfa e Omega non solo indicano Nascita e Morte, oppure Inizio del Mondo e Fine del Mondo, ma per Pitagora sono anche l’1 e il 3: pensare (1), agire (2) e finire (3), le tre fasi distinte di un unico atto creante.

Si può intuire quindi che può esistere un altro modo di lettura di questa lunga conversazione: estraendo il primo e l’ultimo endecasillabo nella prima risposta, nella quale Dante deve esprimere il pensiero (1) del suo traguardo (3). Alfa e Omega. 
Tutti i terzi endecasillabi della seconda risposta, nella quale Dante deve indicare gli strumenti con i quali ha raggiunto il traguardo-berzaglio (3). 
E i versi centrali della terza risposta (il sesto e il settimo endecasillabo), perché Dante sta enunciando gli altri strumenti del suo cammino (il 2 che sta nel mezzo).
E guardate con attenzione il numero degli endecasillabi a sinistra del testo, così avvertirete sulle vostre spalle la vera fatica dell’Alighieri, e come sia riuscito a disintegrare il sottotesto dentro il Poema: e non si tratta di un messaggio qualsiasi, ma è proprio il suo Testamento Spirituale
7-8 Di’ ove s’appunta l’anima tua.
13 Io dissi: “Al suo piacere e tosto e tardo
18 mi legge Amore o lievemente o forte”.
24 Chi drizzò l’arco al tuo berzaglio? (l’amore di Dio)

27 “Cotale amor convien che in me s’impronti
30 quanto più di bontade in sé comprende.
33 Altro non è ch’un lume di suo raggio, 

36 il vero in che si fonda questa prova.
39 Di tutte le sustanze sempiterne
42 io ti farò vedere ogni valore
45 di qua là giù sovra ogni bando”.
49-50 Senti altre corde tirarti verso lui?
60 “Quello che spera ogni fedel com’io
61 con la predetta conoscenza viva.
62 Le fronde onde s’infronda tutto l’orto
63 de l’ortolano etterno, am’io cotanto
64 quanto da lui a lor di bene è porto”. 

Dove si dirige la tua anima? “Al suo piacere e, sia nell’immediato sia nel futuro, l’Amore mi trova (mi legge) sempre pronto ad accoglierlo e a viverlo ad ogni grado di intensità possibile (o lievemente o forte)”.

Questa è professione d’Amore, sete d’amore, insazietà d’amore. Rileggiamola questa sfida, breve, fulminea, imperiosa e sfacciata: che venga Amore in qualsiasi tempo, ora, dopo, da vivo e da morto… sempre mi troverà col viso aperto, con gli occhi aperti, con l’anima pronta a tutti i suoi colpi deboli o forti che siano, perché questo è il piacere dell’anima mia!

Nessuna anima si alimenta senza questo vital nutrimento e alla corte di Dante non si accettano anime anoressiche, incapaci o pavide di bruciarsi di passione di infiammarsi di desiderio, o peggio, anime che si sottraggono all’Assoluto perché preferiscono accontentarsi delle briciole e forse nemmeno di quelle. Bruciare al fuoco del TUTTO: questo è il PIACERE dell’anima, e verso questo piacere Dante scaglia se stesso come freccia o come stella cometa che beve e s’imbeve d’Universo (chiamatelo anche Dio, o Infinito o Mistero… il risultato non cambia). Ma è pur sempre il fuoco che lo stava bruciando vivo nel sogno dell’aquila d’oro.

L’Anima, come avverte anche Hillman, ha solo necessità di Amore e di Bellezza, e questi sono i suoi grandi piaceri. Nel senso che noi stessi ne siamo i diretti responsabili, e noi in prima persona la dobbiamo nutrire con amore e bellezza, cosa di cui spesso ci dimentichiamo di fare. E questo consiglio è la prima eredità del suo testamento.

Chi ti ha fatto prendere la diritta mira verso il tuo bersaglio? Proprio questo Amore per Dio, che di necessità mi marchierà con l’impronta di tutta la Bontà che Lui possiede. E la verità, sulla quale si fonda questa prova, non è altro che una piccola luce di un suo unico raggio. Di tutte le cose sempre eterne io ti farò vedere ogni valore, qui nei cieli, laggiù in terra, al di sopra di tutte le leggi, di tutti i limiti e di tutti i divieti.

La PROVA al di sopra di tutte le prove, tutt’altro che la raffinata argomentazione sillogistica e probante come si rileva dal testo letterale: ma invece si tratta del suo viaggio, il Poema, la Grande Opera, il suo Tempio, l’edificazione della sua anima, l’assimilazione incondizionata al divino… che non è passeggiata di salute, non è capriccio letterario, ma fondata su Verità ben compresa ed emanata dal Bene della Grazia, che poi è ancora amore. Ed è struggente questa profonda consapevolezza dell’Infinito Mistero, con la quale sottolinea che la sua Opera è solo una piccola luce di un solo raggio… e ben si sa che il sole intero è tutt’altra cosa!

Io ti farò vedere (a Te, Lettore!) ogni valore delle cose eterne, eterne in cielo, eterne in terra, al di sopra delle leggi comuni e convenzionali, al di sopra dei catechismi che si danno piccole regole perché tremano di terrore davanti all’Infinito… e ringrazia Dio, Lettore, che son nato nel Dugento perché altrimenti avrei trasvolato altre terre altri oceani, altre lingue altre nazioni, e tutte le avrei usate per urlare che se non ti bevi l’Assoluto come fai a dire che vali qualcosa? Ancora più umanità avrei fatto scorrere nelle mie vene e sogni e desideri e speranze avrei miscelato e distillato specchiandoli ai Cieli che poi sono solo amore. E devi tremare, Lettore, perché lo affermo con le stesse parole che Dio ha usato con Mosè parlando dal cespuglio infuocato! Ma non mi basta il Bene, è il VALORE del TUTTO che mi sta a cuore: da me devi imparare che anche Dannazione e Inferno, smarrimento e terrore, perdersi e arrancare, cercare e sbagliare, sperare e disperare… ogni cosa è oro per l’anima, diamante per la sua fatica, quarzi per le sue lacrime, diademi per il suo piacere… che poi è amore.

La missione dell’Anima, come ha ben intuito Jung, è quella di poter raggiungere lo Spirito. Per questo il suo cammino è inscritto dentro la coscienza intellettiva, e, nel caso degli Uomini, va percorso su questa terra. Nelle sue disarmonie, nei suoi scarti di divenire eterno, come insegnava Pitagora, l’Anima ha sete di tutto, estrema necessità di percorrere ogni gradino della scala esperienziale, per accumulare tutti quei dati che possono essere utili alla SCELTA. Una persona da sola non basta: solo un io-relazionale può essere in grado di catturare una notevole memoria di dati, come ci ha insegnato l’Alighieri mettendosi all’ascolto dei Lupi. E poi di coloro che sono in attesa di salvezza. E, alla fine, interrogando i Salvi, ma non in deferente stato di sottomissione, tutt’altro: irrompendo, da umano, nel divino, così come il divino irrompe nell’umano.

Salvezza vuol dire uscire dal velenoso torpore del nostro sonno, dalle indotte malattie dell’anima e del corpo, per raggiungere qui, su questa terra, la fulgida sapienza del nostro mistero. Salvezza è Guarigione, hic et nunc.
E questo è il secondo dono lasciato a noi in eredità.

Senti altre corde che ti tirano verso questo Amore? Sì, certo che sì, la corda della speranza di ciò che spera ogni fedele che è fedele alla mia stessa fede, intrecciata insieme alla corda della conoscenza viva.

E adesso ditelo che è un caso che in tre versi Pietro Giacomo e Giovanni (Fede, Speranza e Carità) siano rinsaldati insieme con la forza del granito.  Fede e conoscenza, libertà e speranza … e AMORE.Conoscenza che si fonda sulla pace e si alimenta di pace, e che deve essere VIVA, e non perché dimostra un’ottima e salda acquisizione teorica!

Ma conoscenza viva e piagata, forgiata e temprata col sangue e col fuoco, che se lo deve bere intero il dolore prima di imparare a staccarlo da sé semplicemente alzando il palmo della mano, conoscenza che lascia cicatrici, ma che ti ripaga con Libertà, della più perfetta delle libertà, la libertà di sognare il Bene, hic et nunc, di farselo compagno di viaggio in vita, di non barattarlo mai con la tepidezza, con l’acquiescenza, col falso alibi dei nostri limiti, tenerselo sempre vicino e sovrano dei nostri sogni, il Bene, che poi è amore.

Il totale affrancamento da ogni tipo di schiavitù, questo è quello che sogna l’Anima quando desidera di unirsi allo Spirito. Ma gli Uomini preferirono le tenebre alla luce. Lo stato di schiavitù lo si accetta sempre sotto ricatto (per semplificare, il ricatto degli usurai, detti anche cravattari, che con guerra e danaro ci tengono accecati dentro una caverna di terrore e di ignoranza, chiamatela anche pensiero unico, ma tanto è la stessa cosa). Pur essendone quasi tutti inconsapevoli, siamo incatenati da sempre dentro la caverna platonica. E sempre uccidiamo coloro che ci vorrebbero aprire gli occhi.

Ci vorrebbero due corde per spezzare le catene, o quella della fede o quella della conoscenza viva (sempre sperando di averne almeno una in mano!) O sei Francesco, e la fede ti aprirà il volo del sentiero centrale dell’Albero della Vita, e volerai sulla Via del Matto (o dell’androgino, cioè, alchemicamente il REBIS che ha risolto il dolore degli opposti). Oppure segui il consiglio di Dante: comincia piano piano, su questa terra, a cercare vie d’uscita per la salvezza, parla con i Lupi del loro Dolore. Si comincia così: pensando che ovunque, e in qualsiasi territorio, Sophia abbia messo le sue radici. Ci lascia eredi di Sophia, e forse dovremmo tenerne conto, perché ci nomina fedeli della sua stessa fede.

E l’ultima terzina va salvata nella sua interezza:
Le fronde onde s’infronda tutto l’orto
de l’ortolano etterno, am’io cotanto
quanto da lui a lor di bene è porto».   66
(93)

Amo tutti i frutti dell’orto di questo giardiniere eterno. In ogni forma mi si presentino: materiche, viventi, vegetative, senzienti, umane. E amo tanto tutte queste cose, così come le ama il loro giardiniere. 
Ci si può aspettare solo questa interpretazione da un Poeta che già da 93 canti si dichiara innamorato, e responsabile, di ogni atomo dell’Universo, e per una unica ragione: perché è totale manifestazione del MISTERO. 
In questi tre endecasillabi avvertiamo che c’è qualcosa di più, una superiore vibrazione, nel versetto di Giovanni

AMATEVI GLI UNI E GLI ALTRI COME IO HO AMATO VOI

e cioè nel tutto rispetto del vostro personale modo di amare, perché amore è sempre amore, a qualsiasi intensità lo si provi. 
Nel pensiero dell’Alighieri non è soltanto un problema di uomini. Che resterebbe nelle nostre mani se non amassimo ogni briciola del Cosmo, questa folgorante Intelligenza della Materia? Se non amassimo anche il più invisibile frutto di questo giardiniere! 
Testamento in bottiglia, dedicato all’umanità dell’età precessionale dell’Acquario (solveranno le Naiadi questo enigma forte, XXXIII Purg.), dedicato a noi. 
Ci lascia eredi di tutta la responsabilità che ci dovrebbe servire per salvarci dal massacro del pianeta e dei suoi abitanti. E noi stessi: ogni individuo per ciascuno preso.

Ma voi siete curiosi delle quattro domande che da Adamo vengono lette dentro la mente di Dante!
Tu vuoi sapere

  • quanto tempo è trascorso da quando Dio mi pose nel Giardino dell’Eden,
  • e quanto tempo ci sono rimasto,
  • e la vera causa dell’ira divina,
  • e quale lingua io creai e usai.

Ora, figlio mio, la ragione della mia cacciata dall’Eden non fu la gola per aver assaggiato il frutto proibito, ma solo l’aver infranto i divieti divini (in materia di conoscenza).

Dal Limbo, da dove Beatrice evocò Virgilio, io desiderai di ascendere in Cielo per 4302 anni; e vidi il Sole percorrere tutti i segni zodiacali per 930 volte, il tempo della mia vita terrena (vissi 930 anni). La lingua che io parlai era già scomparsa prima che la gente di Nembrod si dedicasse all’opera che non poteva essere completata (la costruzione della Torre di Babele): infatti nessun prodotto dell’intelletto umano fu mai durevole, a causa dell’arbitrio dell’uomo che si rinnova seguendo le influenze celesti. Il fatto che l’uomo parli è cosa naturale, ma la natura lascia poi che voi uomini parliate in un modo o nell’altro, a seconda dei vostri desideri e preferenze. Prima che io scendessi nell’angoscia infernale (nel Limbo), il bene supremo (Dio) da cui proviene la gioia che mi avvolge di luce, era chiamato in Terra ‘I’; in seguito venne chiamato ‘El’: e ciò si accorda all’uso degli uomini, che come la foglia sul ramo va e viene continuamente (si muta). Nel monte che si erge maggiormente sul mare (il Purgatorio, sulla cui cima è l’Eden) io soggiornai, in stato di innocenza e di colpa, dalla prima ora (le sei del mattino) fino a quella (le tredici) che segue l’ora sesta (il mezzogiorno), non appena il Sole cambia quadrante».

Forse a scuola ve lo sarete chiesti… perché Dante parla con Adamo, portando a casa delle risposte che non possiedono la fisionomia minima di informazione. Noi sì che avremmo fatto domande più intelligenti ad Adamo! E allora adesso allacciate le cinture di sicurezza, perché vi sta piombando addosso tutto il quarto livello del testo!

  • Non è un problema di frutta, il fatto è che abbiamo pensato, Eva ed Io, che avremmo potuto benissimo fare da soli. Visto che siamo nati intelligenti. Solo che abbiamo aperto così tanto il compasso che il cerchio ci è venuto male, anzi, non è nemmeno stato tracciato, e sulle vostre spalle resta tutto il peso del fratricidio. Solo per un cerchio finito male si sono separate le nostre strade… quella degli Uomini e quella di Dio.
  • Quanti anni ho adesso nel 1301? Ne ho 6.498, minuto più minuto meno. Ma adesso, per te che stai scrivendo nel 2020, ne ho 7.218. Neolitico centrato in pieno, quando gli uomini cominciano a controllare il ciclo produttivo della terra.
  • Scomparsa da un pezzo, la lingua che parlavo! Ne sono venute tante di nuove dopo di me, e tante altre ancora ne verranno che nemmeno te lo immagini. Ma vedrai che, a questo punto, i dantisti seri si butteranno a tuffo nel tuo De vulgari eloquentia per sentenziare sul fatto che le lingue vive sono molto meglio delle lingue morte. E non si daranno nemmeno briga di leggere i tuoi versi, che stanno dicendo proprio tutta un’altra cosa! Tanta nostalgia per quel tempo felice quando stavo all’Eden. Almeno quanta ne hai avuta tu, quando ci sei entrato. E anche di quando mi è stato chiesto di dare un nome a tutte le cose che vedevo, perché nominandole, in questo solo gesto, io le avrei realmente portate in vita.

Opera naturale è ch’uom favella;
ma così o così, natura lascia
poi fare a voi secondo che v’abbella.
(93)         

Tu credi che la capiranno in molti questa cosa? Che siete nati così, proprio come sono nati gli usignoli cantando, e i merli fischiando, e i leoni ruggendo… e che quindi voi siete nati parlando? Questo è naturale, solo che a piacer vostro potete creare quello che volete usando le parole che maggiormente vi piacciono, o quelle che traducono meglio la vostra vita. Forse la fame sarà uno dei primi vocaboli, ma anche il vocabolo cielo disturberà i vostri sogni. Seminerete terrore e morte, usando parole. Oppure, se volete, potreste anche seminare serenità e speranza. Falsità o Verità, menzogne e dolore, conoscenze e soluzioni. E più lieviterà la scienza e, insieme ad essa, la coscienza, i vostri dizionari peseranno molto di più, e forse inventerete ordigni per non farli pesare, ma parlerete molto, tanto che nemmeno tu, poeta del Trecento, puoi immaginare. E tutto diventerà verbale, ma così verbale, che la torre di Babele non farà più paura a nessuno.

La lingua ch’io parlai fu tutta spenta
innanzi che a l’ovra inconsummabile
fosse la gente di Nembròt attenta:
(93) 

Nembròt, mitologico titano (ma anche omonimo del Re di Babele), condannato alla cerchia dei Giganti nel profondo dell’Inferno. «Raphél maì amèche zabì almi», cominciò a gridar la fiera bocca. (XXXI Inf.) Stesso destino a chi porta confusione nelle genti, usando linguaggi a piacere loro? (C’è da sperarlo, dico io).

Pochi capiranno che sono le parole a creare il vostro mondo, e così diventeranno sottomessi alle parole degli altri. Ti sei perso nella selva oscura perché l’oscurità era dentro di te. All’ingresso dell’Eden ti sei trovato felice dentro la selva divina e spessa… ma era l’identica foresta di prima. Tu hai cercato parole nuove con le quali parlarti, e il tuo mondo è cambiato attorno a te. Ma questo lo sai meglio di me, proprio tu che ti sei appena divertito a giocare con le parole insieme a Giovanni! E allora ti dirò una cosa che chiarirà meglio il problema ai tuoi Lettori: prima che io scendessi al Limbo il nome di Dio era IO (I) e dopo diventò LUI (EL).

Fino alla sua morte Adamo ha chiuso in sé la totale coincidenza col DIVINO, dopo la sua morte il DIVINO si è alienato da noi, diventando un perfetto estraneo al di fuori del nostro Corpo. E allora anneghiamo del tutto in questo oceano semantico: fino a quando il Padre si è incarnato nel Figlio, prendendo il nostro Corpo in prestito. Tornando a diventare IO.

E adesso, se vi sono venuti i brividi, concedetevi tre minuti di silenzio.

  • Sono rimasto 7 ore nell’Eden, alle ore 13 ne sono uscito. Mancano undici ore al tocco di mezzanotte. E sarà la vostra undicesima ora, a chiedervi il conto di come avete operato.

Sono in molti a riconoscere che già ci siamo dentro, dentro la nostra undicesima ora, a pochi passi dalla mezzanotte. Il poco tempo che ci è concesso per ribaltare i nostri passi, per trasformare le parole che usiamo, per ridisegnare la nostra salvezza.

Io mi rivolsi attento al primo tuono,
e “Te Deum laudamus” mi parea
udire in voce mista al dolce suono.         141
Tale imagine a punto mi rendea
ciò ch’io udiva, qual prender si suole
quando a cantar con organi si stea;
ch’or sì or no s’intendon le parole.        145
(43)

Io mi feci attento al primo suono e mi sembrava di udire l’inno Te Deum laudamus, con una voce mista a un dolce suono. Ciò che udivo mi dava la stessa impressione che si ha di solito quando si eseguono canti alternati alla musica dell’organo, quando le parole si sentono ora sì, ora no.

Te Deum laudámus:
te Dóminum confitémur.
Te aetérnum Patrem,
omnis terra venerátur.
tibi omnes ángeli,
tibi caeli
et univérsae potestátes:
tibi chérubim et séraphim
incessábili voce proclámant…

Così inizia il Canto, che liturgicamente chiude il Mattutino, ma le parole sono intermittenti, si sentono e non si sentono, come invio alla ferita della nostra sordità dell’anima! 
Ma per non far cessare il filo rosso dell’armonia, è necessario girare la pagina ed entrare nel canto 94, e ascoltare il canto dei Beati… Gloria Patri et Filio et Spiritui Sancto
E Dante vede l’intero Universo che gli sta sorridendo.

‘Al Padre, al Figlio, a lo Spirito Santo’,
cominciò, ‘gloria!’, tutto ’l paradiso,
sì che m’inebriava il dolce canto.              3
Ciò ch’io vedeva mi sembiava un riso
de l’universo; per che mia ebbrezza
intrava per l’udire e per lo viso.                 6
Oh gioia! oh ineffabile allegrezza!
oh vita intègra d’amore e di pace!
oh sanza brama sicura ricchezza!              9
(94)

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