36-86, il II del Purgatorio e il XIX del Paradiso:
IL MONDO CAPOVOLTO
In exitu Israel de Aegypto
cantavan tutti insieme ad una voce
con quanto di quel salmo è poscia scripto. (36)
… quel che mi convien ritrar testeso,
non portò voce mai, né scrisse incostro,
né fu per fantasia già mai compreso;
ch’io vidi e anche udi’ parlar lo rostro,
e sonar ne la voce e «io» e «mio»,
quand’era nel concetto e ‘noi’ e ‘nostro’. (86)
ANIME SMORTE E VOLI DIVINI
Approdare all’Emisfero Australe costituisce veramente un bel capovolgimento, ed è quasi banale sottolinearlo. Prima di affrontare il canto IV del Purgatorio in cui Virgilio ci offrirà la sua lectio magistralis astronomica sulle leggi del viaggio del sole nei due emisferi contrapposti, dovremmo però gustare fino in fondo questa nuova sinfonia del Mondo Capovolto: sei canti (i primi tre del Purgatorio e gli opposti tre canti della Giustizia nel Paradiso) che pretendono che i nostri occhi imparino a posare lo sguardo su tutto quello che non si è mai visto, e l’emisfero meridionale è soltanto il livello letterale, da tutti comprensibile, della vera vertigine che coglie Dante in questi canti diametralmente opposti. Vi anticipo che la dura salita al Purgatorio del canto IV (38), in cui si parla di astronomia, si oppone al XXI del Paradiso (88) nel quale si sale al Cielo di Saturno (pianeta tutore dell’astronomia-astrologia), salendo in volo la Scala Santa sognata da Giacobbe, quando vide dormendo la Gerusalemme Celeste.
E insistendo sulla stessa posizione geometrica dell’entrata all’inferno sotto la Gerusalemme terrena.
Anche questo è un bel capovolgimento, che resta invisibile senza la Geometria del Poema.
L’aurora del dolce color d’orïental zaffiro ha lasciato il cielo all’alba che si irradia aranciata, e dentro una luce più trasparente Dante vede arrivare l’Angelo Nocchiero che porta le anime alla spiaggia del Purgatorio.
Poi, come più e più verso noi venne
l’uccel divino, più chiaro appariva:
per che l’occhio da presso nol sostenne, 39
ma chinail giuso; e quei sen venne a riva
con un vasello snelletto e leggero,
tanto che l’acqua nulla ne ‘nghiottiva. 42
Da poppa stava il celestial nocchiero,
tal che faria beato pur descripto;
e più di cento spirti entro sediero. 45
In exitu Israel de Aegypto
cantavan tutti insieme ad una voce
con quanto di quel salmo è poscia scripto. 48
(36)
Poi, non appena l’uccello divino venne più verso di noi, appariva più chiaramente: allora i miei occhi non ne sostennero lo sguardo da vicino, ma fui costretto a chinarli in basso; e quello venne a riva con una barchetta stretta e leggera, al punto che non affondava minimamente nell’acqua. Il divino timoniere stava a poppa, ed era tale che renderebbe beati al solo descriverlo; e dentro la barca sedevano più di cento spiriti. Tutti insieme cantavano a una voce il Salmo «Nella fuga di Israele dall’Egitto», anche con i versi seguenti.
L’Angelo (l’uccel divino) muove il suo vascello usando il battito delle sue ali, presagio dell’altro uccel divino, l’Aquila del canto 86, che allargherà le sue ali per farsi bella.
Gli Spiriti purganti cantano come se fosse una voce sola, così come i Beati Giusti, cantando in una voce sola, useranno la prima persona per parlare in nome della Giustizia Divina, come se fosse Dio a parlare in persona.
E quel che mi convien ritrar testeso,
non portò voce mai, né scrisse incostro,
né fu per fantasia già mai compreso; 9
ch’io vidi e anche udi’ parlar lo rostro,
e sonar ne la voce e «io» e «mio»,
quand’era nel concetto e ‘noi’ e ‘nostro’. 12
(86)
E ciò che ora devo descrivere non fu mai pronunciato a voce, né scritto con l’inchiostro, né mai concepito dalla fantasia umana; infatti io vidi e udii anche il becco dell’aquila che parlava e diceva con la sua voce «io» e «mio», volendo in realtà dire «noi» e «nostro».
Le anime che stavano giungendo a spiaggia cantavano il salmo 113, In exitu Israel de Aegypto, che nel primo verso non può che evocarci la liberazione del popolo ebraico dalla schiavitù, esaltando il livello letterale del testo che già ha enunciato la conquista della libertà alla fine del purgatorio.
Ma il Poeta sottolinea bene quanto di quel salmo è poscia scripto, e quindi varrebbe la pena leggere l’intero salmo.
Salmo 113
1 Alleluia.
Quando Israele uscì dall’Egitto,
la casa di Giacobbe da un popolo barbaro,
2 Giuda divenne il suo santuario,
Israele il suo dominio.
3 Il mare vide e si ritrasse,
il Giordano si volse indietro,
4 i monti saltellarono come arieti,
le colline come agnelli di un gregge.
5 Che hai tu, mare, per fuggire,
e tu, Giordano, perché torni indietro?
6 Perché voi monti saltellate come arieti
e voi colline come agnelli di un gregge?
7 Trema, o terra, davanti al Signore,
davanti al Dio di Giacobbe,
8 che muta la rupe in un lago,
la roccia in sorgenti d’acqua.
Non è un inno alla libertà: è espressione potente della trasmutazione nelle mani divine (ricordate la trasmutazione nel corteo edenico?), anzi, proprio quando la trasmutazione diventa capovolgimento.
Sono i prodigi del viaggio nel deserto, il mar Rosso che si divide, l’acqua che sgorga dalla roccia per mediazione di Mosè, il Giordano che risale il suo corso e il sole che a Gerico si rifiuta di tramontare.
Si deve tremare davanti a un Dio che capovolge le cose, e che annulla la materia e la trasmuta facendone ciò che desidera!
E questa è la reale immagine del tumulto che si stava muovendo nella voce delle anime, ma anche dentro il cuore di Dante.
Così come era in fibrillazione il suo cuore, (Trema, o terra davanti al dio di Giacobbe…) quando chiese all’Aquila la ragione della Giustizia Divina, quesito potente che tormenta il Poeta fin dall’uscita dell’inferno.
Così un sol calor di molte brage
si fa sentir, come di molti amori
usciva solo un suon di quella image. 21
Ond’io appresso: «O perpetui fiori
de l’etterna letizia, che pur uno
parer mi fate tutti vostri odori, 24
solvetemi, spirando, il gran digiuno
che lungamente m’ha tenuto in fame,
non trovandoli in terra cibo alcuno. 27
Ben so io che, se ‘n cielo altro reame
la divina giustizia fa suo specchio,
che ‘l vostro non l’apprende con velame. 30
Sapete come attento io m’apparecchio
ad ascoltar; sapete qual è quello
dubbio che m’è digiun cotanto vecchio». 33
Quasi falcone ch’esce del cappello,
move la testa e con l’ali si plaude,
voglia mostrando e faccendosi bello, 36
vid’io farsi quel segno, che di laude
de la divina grazia era contesto,
con canti quai si sa chi là sù gaude. 39
(86)
Come da molte braci promana un unico calore, così dalle molte anime di quell’immagine usciva un unico suono. Allora io dissi: «O fiori eterni dell’eterna beatitudine, che mi fate sembrare un unico profumo tutti quelli che emanate, interrompete col soffio della vostra voce il grave digiuno che mi ha fatto patire la fame per lungo tempo, non trovando per saziarlo nessun cibo sulla Terra. Io so bene che la giustizia divina si specchia in Cielo in un’altra gerarchia angelica (i Troni), ma il vostro Cielo la vede senza alcun impedimento. Voi sapete come io sono pronto ad ascoltare con attenzione; sapete qual è quell’antico dubbio che ha provocato questo mio duraturo digiuno». Come un falcone, quando si libera dal cappuccio, muove la testa e sbatte le ali, manifestando il desiderio di volare e facendosi bello, così io vidi fare quell’aquila che era formata dalle lodi (i beati) della grazia divina, cantando in modo che solo chi è lassù può capire.
Il gran digiuno che lungamente m’ha tenuto in fame … sapete qual è quello dubbio che m’è digiun cotanto vecchio …
Ebbene sì, sto chiedendo ragione della tua Giustizia, tormento che trascino fin dalla mia vita in terra, che trascino fin dalla mia uscita dall’inferno.
È giunto il tempo. Ma prima di ascoltare la risposta, vediamo ciò che sta accadendo nel 36.
Le anime scendono dal vascello snello, e sono straniere al luogo, si guardano attorno stranite e spaesate. E chiedono a Virgilio quale sia la strada per giungere alla salita del monte.
E Virgilio rispuose: «Voi credete
forse che siamo esperti d’esto loco;
ma noi siam peregrin come voi siete. 63
Dianzi venimmo, innanzi a voi un poco,
per altra via, che fu sì aspra e forte,
che lo salire omai ne parrà gioco». 66
L’anime, che si fuor di me accorte,
per lo spirare, ch’i’ era ancor vivo,
maravigliando diventaro smorte. 69
(36)
E Virgilio gli rispose: «Voi forse credete che noi siamo esperti di questo luogo; ma noi siamo forestieri proprio come voi. Siamo appena arrivati, poco prima di voi, attraverso un’altra strada che fu così ardua che l’ascesa del monte al confronto ci sembrerà uno scherzo». Le anime, che si erano accorte che io ero vivo, vedendomi respirare, impallidirono per lo stupore.
Le anime smorte, appena reduci dall’aver esaltato il potere terribile che possiede il Mistero che ha messo in moto il mondo, quasi svengono davanti al capovolgimento di un vivo che cammina nel mondo dei morti!
Ma accade dell’altro.
Io vidi una di lor trarresi avante
per abbracciarmi con sì grande affetto,
che mosse me a far lo somigliante. 78
Ohi ombre vane, fuor che ne l’aspetto!
tre volte dietro a lei le mani avvinsi,
e tante mi tornai con esse al petto. 81
Di maraviglia, credo, mi dipinsi;
per che l’ombra sorrise e si ritrasse,
e io, seguendo lei, oltre mi pinsi. 84
Soavemente disse ch’io posasse;
allor conobbi chi era, e pregai
che, per parlarmi, un poco s’arrestasse. 87
Rispuosemi: «Così com’io t’amai
nel mortal corpo, così t’amo sciolta:
però m’arresto; ma tu perché vai?». 90
«Casella mio, per tornar altra volta
là dov’io son, fo io questo viaggio»,
diss’io; «ma a te com’è tanta ora tolta?». 93
(36)
Io vidi una di loro farsi avanti per abbracciarmi, con così grande affetto che mi spinse a fare altrettanto. Oh, ombre inconsistenti, tranne che nell’aspetto! tre volte tentai di abbracciarla con le mani, e altrettante le ritrovai vuote al mio petto. Credo di essermi stupito molto; allora l’ombra sorrise e si tirò in disparte, e io seguendola mi spinsi un po’ lontano. Dolcemente mi disse di fermarmi; allora lo riconobbi e lo pregai di fermarsi un poco a parlarmi. Mi rispose: «Come ti ho amato nel corpo mortale, così ti amo ora che sono un’anima: per questo mi fermo, ma tu perché sei qui?» Io dissi: «Casella mio, faccio questo viaggio per tornare nuovamente qui dove mi trovo; ma come mai tu arrivi qui soltanto adesso?»
Viaggio per poter tornare di nuovo in purgatorio… ma tu perché arrivi ora che sei morto da tanto tempo?
Ed elli a me: «Nessun m’è fatto oltraggio,
se quei che leva quando e cui li piace,
più volte m’ha negato esto passaggio; 96
ché di giusto voler lo suo si face:
veramente da tre mesi elli ha tolto
chi ha voluto intrar, con tutta pace. 99
(36)
E lui a me: «Non mi è stato fatto nessun torto, se l’angelo, che prende quando e chi vuole, mi ha negato più volte di portarmi qui; infatti il suo volere è conforme a quello divino: tuttavia, da tre mesi egli ha accolto sulla barca tutti coloro che hanno voluto salirci, senza opporsi.
Impercepibili giungono le notizie attorno alle leggi divine: l’anima resta ancorata alla terra dopo la morte del corpo, forse non è ancora pronta per disincanarsi totalmente, e attende con pazienza che questo sia deciso altrove. L’Aquila, che si presenta di profilo, cela il suo volto nascosto e insondabile anche alle anime dei defunti. Ma la cosa veramente interessante è questa: incontrando Casella, Dante incontra ciò che di più elevato gli è stato concesso in terra: la MUSICA dei suoi versi.
Il musico cantava con melodia inarrivabile la Comedìa che l’Alighieri donava ai suoi Lettori canto dopo canto: un assalto di nostalgia, un abbandono agli affetti dell’amicizia antica, un momentaneo mancamento, un attimo di distrazione… chissà cosa spinge Dante a chiedere per grazia che Casella canti ancora la sua Poesia!
E io: «Se nuova legge non ti toglie
memoria o uso a l’amoroso canto
che mi solea quetar tutte mie doglie, 108
di ciò ti piaccia consolare alquanto
l’anima mia, che, con la sua persona
venendo qui, è affannata tanto!». 111
“Amor che ne la mente mi ragiona”
cominciò elli allor sì dolcemente,
che la dolcezza ancor dentro mi suona. 114
(36)
E io: «Se una nuova legge non ti toglie la memoria o l’abitudine al canto amoroso che era solito placare tutti i miei desideri, con esso ti prego di consolare un poco la mia anima, che venendo qui con il corpo fisico è tanto affaticata!» Allora egli cominciò a cantare «Amor che ne la mente mi ragiona» così dolcemente, che la dolcezza di quel canto risuona ancora dentro di me.
Incontrando l’Aquila, Dante incontra ciò che più di elevato gli è stato concesso in paradiso: parlare direttamente con la Voce di Dio. Come Mosè, quando ha accolto i Comandamenti davanti al cespuglio infuocato, e non dimentichiamo che, nel Testamento Segreto (cfr. Stelle segrete e quiete) il Poeta si è paragonato allo stesso Mosè.
Ora finalmente il Grande Mistero darà ragione di come amministra la sua Giustizia.
Però ne la giustizia sempiterna
la vista che riceve il vostro mondo,
com’occhio per lo mare, entro s’interna; 60
che, ben che da la proda veggia il fondo,
in pelago nol vede; e nondimeno
èli, ma cela lui l’esser profondo. 63
…
Assai t’è mo aperta la latebra
che t’ascondeva la giustizia viva,
di che facei question cotanto crebra; 69
ché tu dicevi: “Un uom nasce a la riva
de l’Indo, e quivi non è chi ragioni
di Cristo né chi legga né chi scriva; 72
e tutti suoi voleri e atti buoni
sono, quanto ragione umana vede,
sanza peccato in vita o in sermoni. 75
Muore non battezzato e sanza fede:
ov’è questa giustizia che ‘l condanna?
ov’è la colpa sua, se ei non crede?” 78
Or tu chi se’, che vuo’ sedere a scranna,
per giudicar di lungi mille miglia
con la veduta corta d’una spanna? 81
(86)
Per questo la vista sensibile degli esseri umani penetra nella giustizia divina come l’occhio nel mare; ed esso, anche se da riva vede il fondale, in alto mare non lo vede più; e certo è presente, ma la profondità glielo nasconde…
Ora ti è stata dischiusa la tana che ti nascondeva la giustizia divina, che suscitava in te dubbi così frequenti; infatti tu dicevi: “Un uomo nasce sulle rive dell’Indo (in paesi lontani) e qui nessuno parla o insegna o scrive di Cristo; pure, tutti i suoi desideri e i suoi gesti sono virtuosi, per quanto la ragione umana può giudicare, senza alcun peccato nelle azioni o nelle parole. Costui muore senza battesimo e privo della fede: che giustizia è quella che lo condanna? Qual è la sua colpa, se non crede?”
Se l’Arte ( musica, pittura, poesia, mestiere…) è nipote a Dio, come afferma Virgilio nell’ XI infernale, perchè noi siamo suoi figli, e quindi essa, nella nostra orizzontalità terrena, ci appartiene, invece Giustizia può solo appartenere al divino, così come ci è negata la vista della profondità del mare.
Unendo i tre canti (11-36-86), ci appare ancora una volta un triangolo rettangolo, gnomone della misura diritta delle cose. E, letto in musica, costituisce un accordo di SIb (tutti e tre i canti occupano lo spazio del SIb). Fra il Si bemolle e il Do che conclude l’Armonia, cade un intervallo lieve, una unica nota, il SI naturale, proprio la nota che ci impedisce di cogliere il MISTERO.
Il SI pronunciato da Maria davanti al Mistero dell’Annunciazione.
(Va precisato che non si sta parlando di musica da eseguire, ma di musica come strumento metafisico).
Noi eravam tutti fissi e attenti
a le sue note; ed ecco il veglio onesto
gridando: «Che è ciò, spiriti lenti? 120
qual negligenza, quale stare è questo?
Correte al monte a spogliarvi lo scoglio
ch’esser non lascia a voi Dio manifesto». 123
(36)
Questo è il rimprovero aspro di Catone, che fa fuggire con senso grave di colpa tutte le anime distratte dalla musica, mettendo in fuga anche Virgilio e Dante.
Basta un brevissimo SI per liberarci dello scoglio, del macigno che ci rende ciechi, dell’ostacolo che ci impedisce di vedere Dio… perché non correte al monte?
Siamo abituati all’esegetica classica che ci ha sempre spinto a credere che fosse grave colpa fare musica in purgatorio. Proprio qui, dove le anime iniziano a cantare con una sola voce, per giungere poi in paradiso per poter cantare note che solo lassù si possono sentire?
Non è vietato cantare in Purgatorio, invece è inammissibile non mettersi a correre quando si può conquistare l’Ottava intera!
Roteando cantava, e dicea: «Quali
son le mie note a te, che non le ‘ntendi,
tal è il giudicio etterno a voi mortali». 99
…
Ma vedi: molti gridan “Cristo, Cristo!”,
che saranno in giudicio assai men prope
a lui, che tal che non conosce Cristo; 108
e tai Cristian dannerà l’Etiòpe,
quando si partiranno i due collegi,
l’uno in etterno ricco e l’altro inòpe. 111
Che poran dir li Perse a’ vostri regi,
come vedranno quel volume aperto
nel qual si scrivon tutti suoi dispregi? 114
(86)
Volteggiando cantava, e diceva: «Come tu non intendi il canto che ti rivolgo, così il giudizio divino è inconoscibile a voi mortali»…
Ma vedi: molti gridano “Cristo, Cristo!”, e il Giorno del Giudizio saranno molto meno vicini a Lui di chi non l’ha mai conosciuto; e questi Cristiani saranno condannati dall’Etiope, quando saranno divise le due schiere (eletti e reprobi), una eternamente ricca e l’altra misera. Che potranno dire i Persiani ai vostri re, quando vedranno aperto quel libro nel quale si scrivono tutte le malefatte?
Il canto dell’Aquila e la sua danza misteriosa che occupa lo spazio del’orbita di Giove, accompagna in sincronia il canto di Casella, così come il rimprovero di Catone continua a vibrare dentro il canto divino: chi sei tu che vuoi sedere a scranna..?
Saranno gli Etiopi e i Persiani a giudicare i Cristiani e tutte le loro opere malvage!
Qui si fa pesante il discorso: Dio delega il giudizio ai pagani. E ancora più si addensa l’ombra del totale CAPOVOLGIMENTO.
La strada è ancora lunga per poter conquistare l’intera Ottava, il SI naturale che suonerà nell’accordo successivo del dialogo 37-87!
Il canto 86 si conclude con la copiosa LISTA NERA dei re e degli imperatori cristiani che saranno giudicati dall’Etiope e dal Persiano: un giudizio che la Voce di Dio sta delegando agli stessi uomini che non hanno conosciuto il Cristo. E lascio a Voi riflettere su quanto sia stato difficile nel 1300 poter affermare una simile cosa. In linguaggio moderno si direbbe che veramente Dio fa un passo indietro, proprio come sta facendo Dante che sta delegando a Casella il compito di cantare la Canzone che avrebbe dovuto sostenere la Cantica del Purgatorio (Convivio, III, I 1-4).
Amor che ne la mente mi ragiona
cominciò elli allor sì dolcemente,
che la dolcezza ancor dentro mi suona. 114
Lo mio maestro e io e quella gente
ch’eran con lui parevan sì contenti,
come a nessun toccasse altro la mente. 117
Noi eravam tutti fissi e attenti
a le sue note; ed ecco il veglio onesto
gridando: «Che è ciò, spiriti lenti? 120
qual negligenza, quale stare è questo?
Correte al monte a spogliarvi lo scoglio
ch’esser non lascia a voi Dio manifesto». 123
(36)
Allora egli cominciò a cantare «Amor che ne la mente mi ragiona» così dolcemente, che la dolcezza di quel canto risuona ancora dentro di me. Il mio maestro e io e quelle anime che erano con lui sembravamo così contenti, come se la nostra mente non fosse toccata da alcun pensiero. Noi eravamo tutti intenti alle note, quando ecco che arrivò il vecchio dignitoso (Catone) che gridava: «Che significa questo, spiriti lenti? quale negligenza, quale indugio è questo? Correte al monte a levarvi la scorza (del peccato) che non vi permette di vedere Dio».
Se la Voce di Dio segretamente annuncia la delega del suo giudizio, altrettanto Casella annuncia segretamente che cosa intende il Poeta quando parla della “mente”. Che non è il cervello o l’intelligenza, ma, come scrive l’Alighieri nel Convivio, si tratta di ANIMA INTELLETTIVA, proprio quella che sarà la conquista sigillata nel canto XVI del Purgatorio.
Gli Spiriti sono quindi catturati dal canto che va a far vibrare le corde dell’anima… come a nessun toccasse altro la mente. E restano sospesi, catturati dal piacere dell’altrove, ammaliati da una dolcezza totalmente inedita sulla spiaggia del purgatorio. Così si può comprendere bene l’aspro rimprovero di Catone: vi siete dimenticati che la vostra anima è diretta verso un altro traguardo???
E per davvero Catone è costretto un’altra volta a vedere capovolte le leggi del Cielo!
Come quando, cogliendo biado o loglio,
li colombi adunati a la pastura,
queti, sanza mostrar l’usato orgoglio, 126
se cosa appare ond’elli abbian paura,
subitamente lasciano star l’esca,
perch’assaliti son da maggior cura; 129
così vid’io quella masnada fresca
lasciar lo canto, e fuggir ver’ la costa,
com’om che va, né sa dove riesca:
né la nostra partita fu men tosta. 133
(36)
Come quando i colombi, beccando biada o loglio, radunati per il pasto, tranquilli e senza mostrare il consueto orgoglio, se appare qualcosa che li spaventa lasciano subito il cibo perché sono assaliti da una preoccupazione maggiore; così io vidi quelle anime appena arrivate lasciare il canto, e correre verso la montagna come qualcuno che va senza una meta precisa: e la nostra fuga (mia e di Virgilio) non fu meno precipitosa.
Se il traguardo dell’anima è la sua salvezza, ancora questo percorso non è precisamente scritto dentro le anime che fuggono smarrite alla rinfusa senza nemmeno conoscere la giusta via dei luoghi.
Così si sta spalancando il mondo del purgatorio: umanamente umano! E l’anima fibrilla, sospesa fra incertezze e speranze.
Pagina FB di Maria Castronovo:
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