23-73, Il XXIII dell’Inferno (sesta bolgia) e il VI del Paradiso:

LA VENDETTA DEL MORTO

… ch’a l’occhio mi corse un, crucifisso in terra con tre pali… (23)

… se in mano al terzo Cesare si mira… (73)   

GLI IPOCRITI E I POTERI SCUOIANTI

 

Ed ora toccheremo l’altissima vetta in cui la Commedia veramente si fa Comedìa, esilarante giullarata che per sette secoli ha mantenuto il suo segreto, ingannando lettori ed esegeti a destra e a manca, celando l’alto sberleffo che solo ora si innalza dalla tomba a 750 anni dalla nascita del Sommo.

Nel canto 23 si parla di Ipocrisia, e gli Ipocriti sono anime dannate della sesta bolgia, che lentamente camminano sotto cappe monacali dorate, ma fuse nel piombo che frantuma le spalle, secondo l’etimologia del vocabolo diffusa già nel Duecento per cui sotto (upò) l’oro (crisos) si nasconde qualcosa di malvagio.

Alla sesta bolgia i due Poeti giungono comicamente, slittando lungo l’argine come se fosse neve e stanno fuggendo dall’ira del branco di Malacoda.

 

Lo duca mio di sùbito mi prese,

come la madre ch’al romore è desta

e vede presso a sé le fiamme accese,                        39

che prende il figlio e fugge e non s’arresta,

avendo più di lui che di sé cura,

tanto che solo una camiscia vesta;                         42

e giù dal collo de la ripa dura

supin si diede a la pendente roccia,

che l’un de’ lati a l’altra bolgia tura.                    45

Non corse mai sì tosto acqua per doccia

a volger ruota di molin terragno,

quand’ella più verso le pale approccia,                48

come ’l maestro mio per quel vivagno,

portandosene me sovra ’l suo petto,

come suo figlio, non come compagno.                   51

(23)

Il mio maestro mi afferrò prontamente, come la madre che è svegliata all’improvviso dal rumore e vede il fuoco vicino a sé, e prende il figlioletto e scappa senza fermarsi, preoccupandosi più di lui che di se stessa, anche se indossa solo una camicia; e (Virgilio) si lasciò cadere supino dalla sommità dell’argine lungo il pendio della roccia che chiude la Bolgia da uno dei due lati. L’acqua non corse mai tanto velocemente lungo un condotto per muovere la ruota di un mulino di terra, quando essa è più vicina alle pale, come il mio maestro scese lungo quell’argine, portando me sopra il suo petto come se io fossi suo figlio, non un compagno.

Se veramente GUARDATE Virgilio che slitta in discesa in un campionato di bob a due stringendo sopra la sua persona il povero Dante… di certo troverete in pienezza la comicità della situazione.

Scarmiglione, Alichino, Calcabrina, Cagnazzo, Barbariccia, Libicocco, Draghignazzo, Ciriatto, Graffiacane, Farfarello e Rubicante, terribili diavoli al servizio di Malacoda (e che bei nomacci da Comedìa!) stanno inseguendo i due poeti per vendicarsi della beffa subita da Ciampòlo di Navarra, barattiere della quinta bolgia, che, approfittando della presenza di Virgilio, si era inabissato nella pece bollente per evitare le artigliate terribili dei diavoli (si mette in scena così la Grande Commedia degli Inganni!)

Calcabrina, infuriato contro Alichino che ha permesso la salvezza del dannato, vola verso di lui per azzuffarsi col compagno e, non appena il dannato è sparito sotto la pece, rivolge gli artigli contro il demone, che però è lesto a difendersi e ad artigliarlo a sua volta. I due finiscono dentro la pece bollente, dove il calore li induce subito a separarsi, ma la pece imbratta loro le ali e impedisce di levarsi in volo. Barbariccia, infuriato, manda quattro dei suoi in volo sull’altro argine e li dispone in punti precisi con gli uncini, per permettere ad Alichino e Calcabrina di levarsi dalla pece che li invischia. In questo frangente Dante e Virgilio approfittano per scappare.

E fuggono in gran volata, ma ciò non impedisce a Dante di riflettere sui fatti da poco accaduti, pensando a una favola di Esopo.

Vòlt’era in su la favola d’Isopo

lo mio pensier per la presente rissa,

dov’el parlò de la rana e del topo;             6

ché più non si pareggia ’mo’ e ’issa’

che l’un con l’altro fa, se ben s’accoppia

principio e fine con la mente fissa.                     9 (23)

 

Io, riguardo alla rissa cui avevamo assistito, pensavo alla favola di Esopo che parla della rana e del topo; infatti i due episodi sono assai simili, quasi come le parole ‘mo’ e ‘issa’ (adesso), se si paragonano l’inizio e la fine, riflettendo con molta attenzione.

Un topo di terra, per sua disgrazia, fece amicizia con una ranocchia. La ranocchia, malintenzionata, legò il piede del topo al suo, e così se ne andarono insieme, in un primo tempo, a mangiar grano per i campi; poi si avvicinarono all’orlo di uno stagno, e la ranocchia trascinò dentro il topo nel fondo, mentre essa sguazzava nell’acqua. Il povero topo si gonfiò d’acqua e affogò, ma galleggiava, legato al piede della rana. Lo vide un nibbio e se lo portò via tra gli artigli. La rana, legata, gli tenne dietro e servì anch’essa per la cena del nibbio. Anche i morti hanno la possibilità di vendicarsi, perché la giustizia divina tutto vede e, tutto misurando sulla sua bilancia, dà ad ognuno quel che gli spetta.

Esopo, CCXLIV.

Avete compreso bene: è proprio una favoletta che parla della vendetta del morto (del topo, in questo caso), ma non solo di questo: mette sull’avviso il Lettore Arguto (con la mente fissa) di accoppiare principio e fine… e cioè di tracciare il diametro dal 23 al 73, perché i due canti, come se fossero mo e issa, ben si pareggiano insieme.

Con risultati esilaranti!

E che torcano pure il naso gli accademici baroni!

Lasciando dire alla favola quello che non le è mai stato lasciato dire, raggiungiamo gli Ipocriti (e i Poeti sono in salvo perché i diavoli non possono uscire dalla loro bolgia).

Là giù trovammo una gente dipinta

che giva intorno assai con lenti passi,

piangendo e nel sembiante stanca e vinta.         60

Elli avean cappe con cappucci bassi

dinanzi a li occhi, fatte de la taglia

che in Clugnì per li monaci fassi.                       63

Di fuor dorate son, sì ch’elli abbaglia;

ma dentro tutte piombo, e gravi tanto,

che Federigo le mettea di paglia.                               66

Oh in etterno faticoso manto!

Noi ci volgemmo ancor pur a man manca

con loro insieme, intenti al tristo pianto;                    69

ma per lo peso quella gente stanca

venìa sì pian, che noi eravam nuovi

di compagnia ad ogne mover d’anca.                         72

(23)

 

Laggiù trovammo dei dannati dipinti che andavano in tondo con passi lentissimi, piangendo e con aspetto stanco e prostrato. Avevano cappe con bassi cappucci davanti agli occhi, della stessa foggia di quelle dei monaci cluniacensi. All’esterno sono dorate, al punto di abbagliare; ma dentro sono tutte di piombo, e talmente pesanti che quelle di Federico II al confronto erano leggere come la paglia. O manto gravoso per l’eternità! Noi ci rivolgemmo ancora a sinistra insieme a loro, attenti al loro pianto angoscioso; ma quella gente a causa del peso procedeva tanto lentamente che noi avevamo nuovi compagni a ogni movimento di fianchi.

 

Gente dipinta… gente con la doppia faccia gli ipocriti, e che pure ben pareggiano con i barattieri lasciati dentro la pece bollente, e che noi oggi chiameremmo con il vocabolo contemporaneo di concussori, uomini di potere che ben indulgono alla corruzione di sé e degli altri dipingendo se stessi come campioni di onestà. Canti in cui l’ipocrisia abbonda a dismisura.

Mentre Dante sta conversando con due dannati, è costretto ad ammutolirsi.

Io cominciai: «O frati, i vostri mali…»;

ma più non dissi, ch’a l’occhio mi corse

un crucifisso in terra con tre pali.            111

Quando mi vide, tutto si distorse,

soffiando ne la barba con sospiri;

e ’l frate Catalan, ch’a ciò s’accorse,      114

mi disse: «Quel confitto che tu miri,

consigliò i Farisei che convenia

porre un uom per lo popolo a’ martìri.    117

Attraversato è, nudo, ne la via,

come tu vedi, ed è mestier ch’el senta

qualunque passa, come pesa, pria.           120

E a tal modo il socero si stenta

in questa fossa, e li altri dal concilio

che fu per li Giudei mala sementa».         123

(23)

Io cominciai a dire: «Fratelli, le vostre pene…»; ma non dissi altro, perché il mio sguardo fu attirato da un dannato (Caifa), crocifisso a terra e legato a tre pali. Quando quello mi vide, si contorse tutto soffiando e sospirando nella barba; e frate Catalano, che se ne accorse, mi disse: «Quel dannato crocifisso che osservi consigliò i Farisei che era preferibile per il popolo martirizzare un solo uomo (Gesù). È posto nudo di traverso alla via, come vedi, ed è necessario che senta quanto pesa chiunque gli passi sopra, prima che sia arrivato dall’altra parte. E allo stesso modo è punito in questa fossa suo suocero (Anna), e tutti gli altri sacerdoti del Sinedrio che con la loro decisione causarono gravi sciagure al popolo dei Giudei».

ccoli tutti gli Alti Sacerdoti del Sinedrio, crocifissi a terra e calpestati dal pesante piombo degli ipocriti! (Quando un ebreo veniva ripudiato dalla sua comunità, era costretto a sdraiarsi fuori dalla porta del Tempio e tutti coloro che ne uscivano lo calpestavano).

E non potevano mancare questi ebrei ripudiati, in un canto che fa da sentinella alla Croce del Cristo, la Croce che si espande all’infinito, da Eros a Thanatos, dalla fossa dei serpenti (25) al sacro fuoco dello Spirito (75). E se questa non è potente imaginativa poetica, ditemi voi cos’è.

Corriamo dunque lungo il diametro, raggiungiamo il 73.

Siete nel VI del Paradiso che conclude la triade dei sesti: per tradizione i tre canti politici del Poema. Con Ciacco (VI Inferno) si parla di Firenze ch’è piena d’invidia sì che già trabocca il sacco, con Sordello (VI Purgatorio) si parla dell’Italia serva, di dolore ostello, nave sanza nocchier in gran tempesta, non donna di province ma bordello, e con l’Imperatore Giustiniano (VI Paradiso) si parla del mondo e del suo Impero. Del mondo fino ad allora conosciuto: Europa, Africa e Medio Oriente, e tutti e tre bagnati, soglia e confine, dal Mediterraneo. E come se ne parla? Benissimo! Così tanto bene che da secoli l’Alighieri svetta altissimo come grande paladino dell’Impero, vero strumento di Ordine di Pace e di Buon Governo! (Se a qualcuno sta spuntando un timido sorriso, vuol dire che è proprio sulla buona strada.)

Giustiniano descriverà per quasi tutto il canto il grande volo dell’Aquila Imperiale, dallo sbarco dei Troiani sulle coste laziali fino ai Guelfi e ai Ghibellini del tempo di Dante, lodando l’insegna alata sotto la quale si consumarono grandi e buone e coraggiose imprese, unificando il mondo e portando pace e progresso. Proprio qui, dentro il Sigillo dello Spirito del quale invece è Tutore l’Aquila Divina! (Se non sentite scorrere nelle vene l’ironia criptata e artigliante, avete bisogno di un buon caffè!)

L’Aquila Imperiale che da sempre impalla e inganna l’Aquila Divina, inquinando il Poema con false interpretazioni come quella clamorosa del XXXII del Purgatorio, laddove fionda sul carro della Chiesa in veste di Impero lasciando le sue penne che poi sarebbero la Donazione di Sutri… mentre invece è il Segno di Dio che sta drammaticamente raccontando all’Umanità l’Incarnazione e il Sacrificio del Cristo (cioè di se stesso).

Veramente Commedia degli Inganni e dei Travestimenti, e ben progettata dallo stesso Alighieri, nei consigli dati al figlio Pietro, nelle vene profonde degli abissi anagogici, nella fitta rete delle risonanze occulte. E nella geniale sapienza di un uomo esperto delli vizi umani e del valore che sa bene come si fa ad ingannare occhi ingenui: basta prendere un imperatore, incoronarlo d’oro, metterlo in Paradiso e fargli dire la qualsiasi cosa… e tutti per magia si prostreranno zerbinati e sottomessi alla sua verità, perché è così che fanno i sudditi, devastati sempre dall’ipocrisia dei potenti.

Rileggetelo, anzi, GUARDATELO il volo dell’Aquila, il più sublime monologo giullaresco, il canto più ipocrita che sia mai stato scritto! GUARDATE come da ogni terzina grondano il sangue il pianto il dolore il lutto il massacro dei deboli! GUARDATE quanta virtù possiede l’insegna imperiale che ha fatto i romani reverendi, come dice Cacciaguida (in perifrastica passiva latina: che hanno dovuto essere riveriti per forza dai popoli conquistati). Correte alla parafrasi!

 

Vedi quanta virtù l’ha fatto degno

di reverenza; e cominciò da l’ora

che Pallante morì per darli regno.              36

Tu sai ch’el fece in Alba sua dimora

per trecento anni e oltre, infino al fine

che i tre a’ tre pugnar per lui ancora.          39

E sai ch’el fé dal mal de le Sabine

al dolor di Lucrezia in sette regi,

vincendo intorno le genti vicine.                           42

Sai quel ch’el fé portato da li egregi

Romani incontro a Brenno, incontro a Pirro,

incontro a li altri principi e collegi;                      45

onde Torquato e Quinzio, che dal cirro

negletto fu nomato, i Deci e ‘ Fabi

ebber la fama che volontier mirro.                        48

Esso atterrò l’orgoglio de li Aràbi

che di retro ad Annibale passaro

l’alpestre rocce, Po, di che tu labi.                         51

Sott’esso giovanetti triunfaro

Scipione e Pompeo; e a quel colle

sotto ’l qual tu nascesti parve amaro.                     54

Poi, presso al tempo che tutto ’l ciel volle

redur lo mondo a suo modo sereno,

Cesare per voler di Roma il tolle.                          57

E quel che fé da Varo infino a Reno,

Isara vide ed Era e vide Senna

e ogne valle onde Rodano è pieno.                          60

Quel che fé poi ch’elli uscì di Ravenna

e saltò Rubicon, fu di tal volo,

che nol seguiteria lingua né penna.                         63

Inver’ la Spagna rivolse lo stuolo,

poi ver’ Durazzo, e Farsalia percosse

sì ch’al Nil caldo si sentì del duolo.                       66

Antandro e Simeonta, onde si mosse,

rivide e là dov’Ettore si cuba;

e mal per Tolomeo poscia si scosse.                        69

Da indi scese folgorando a Iuba;

onde si volse nel vostro occidente,

ove sentia la pompeana tuba.                                  72

Di quel che fé col baiulo seguente,

Bruto con Cassio ne l’inferno latra,

e Modena e Perugia fu dolente.                               75

Piangene ancor la trista Cleopatra,

che, fuggendoli innanzi, dal colubro

la morte prese subitana e atra.                                 78

Con costui corse infino al lito rubro;

con costui puose il mondo in tanta pace,

che fu serrato a Giano il suo delubro.                      81

Ma ciò che ‘l segno che parlar mi face

fatto avea prima e poi era fatturo

per lo regno mortal ch’a lui soggiace,                     84

diventa in apparenza poco e scuro,

se in mano al terzo Cesare si mira

con occhio chiaro e con affetto puro;                       87

ché la viva giustizia che mi spira,

li concedette, in mano a quel ch’i’ dico,

gloria di far vendetta a la sua ira.                               90

Or qui t’ammira in ciò ch’io ti replìco:

poscia con Tito a far vendetta corse

de la vendetta del peccato antico.                                 93

E quando il dente longobardo morse

la Santa Chiesa, sotto le sue ali

Carlo Magno, vincendo, la soccorse.                           96

Omai puoi giudicar di quei cotali

ch’io accusai di sopra e di lor falli,

che son cagion di tutti vostri mali.                                 99

L’uno al pubblico segno i gigli gialli

oppone, e l’altro appropria quello a parte,

sì ch’è forte a veder chi più si falli.                                102

Faccian li Ghibellin, faccian lor arte

sott’altro segno; ché mal segue quello

sempre chi la giustizia e lui diparte;                             105

e non l’abbatta esto Carlo novello

coi Guelfi suoi, ma tema de li artigli

ch’a più alto leon trasser lo vello.                                108

Molte fiate già pianser li figli

per la colpa del padre, e non si creda

che Dio trasmuti l’arme per suoi gigli!

 

Vedi quanta virtù ha reso il segno (l’Aquila) degno di riverenza; e ciò iniziò dal giorno in cui Pallante morì per assicurargli un regno (è la guerra fra Latini e Troiani che è molto sanguinosa e Pallante, che si è alleato ai Troiani pur essendo italico e figlio del re Evandro, fa una terribile strage tra i giovani guerrieri italici. Per primo uccide Lago trafiggendogli le costole con la lancia scagliata; subito dopo sorprende Isbone, amico del caduto, immergendogli la spada nel polmone, e inoltre Stenio ed Anchemolo, poi decapita Timbro e recide la mano destra al gemello Laride (Laride e Timbro erano figli di Dauco) che impugnava la spada contro di lui, lasciandolo agonizzante; quindi uccide Reteo che difendeva Ilo, e Aleso, reduce quest’ultimo dall’aver ucciso alcuni troiani (Ladone, Ferete, Demodoco, Strimonio e Toante), trafiggendolo al petto con la lancia. Infine Pallante viene affrontato ed ucciso da Turno che si appropria del suo balteo (il giustacuore dei soldati latini, di cuoio e decorato di bronzo). Enea cattura allora otto italici e li sacrifica sulla pira del suo giovane amico. Per evitare ulteriori vittime si decide che la sfida fra Enea e Turno si risolva in un combattimento tra i due pretendenti. Enea ha il sopravvento e vendica Pallante uccidendo Turno; dopodiché sposa Lavinia e fonda la città di Lavinium (l’odierna Pratica di Mare). Questa è l’Eneide di Virgilio, ma vorrei sottolineare che nel sottotesto il fondamento mitico della vittoria dei Troiani coincide anche col tradimento di un padre, costituendo quindi la radice prima della guerra civile, enfatizzata anche dal mito di Romolo e Remo. Non usate le parole come segni, ma come simboli.) Tu sai che esso dimorò più di trecento anni ad Alba Longa, fino al momento in cui Orazi e Curiazi lottarono ancora per lui (Secondo la versione riportata da Tito Livio (Hist. I, 24-25), durante il regno di Tullo Ostilio (VII secolo a.C.) Roma ed Albalonga (città costruita dove ora si trova Castel Gandolfo) entrarono in guerra, affrontandosi con gli eserciti schierati lungo le Fossae Cluiliae (sull’attuale via Appia Antica), al confine fra i loro territori. Ma Roma ed Albalonga condividevano attraverso il mito di Romolo una sacra discendenza che rendeva empia questa guerra, perciò i rispettivi sovrani decisero di affidare a due gruppi di rappresentanti le sorti del conflitto fra le due città, evitando ulteriori spargimenti di sangue. Furono scelti per Roma gli Orazi, tre fratelli figli di Publio Orazio, e per Albalonga i tre gemelli Curiazi, che si sarebbero affrontati a duello alla spada. Livio afferma che gli storici non erano concordi nello stabilire quale delle due triadi fosse quella romana; propende per gli Orazi perché la maggior parte degli studiosi sceglie quella versione. Iniziato il combattimento, quasi subito due Orazi furono uccisi, mentre due dei Curiazi riportarono solo lievi ferite; il terzo Orazio, che non avrebbe potuto affrontare da solo tre nemici, vistosi in difficoltà pensò di ricorrere all’astuzia e finse di scappare verso Roma. Come aveva previsto, i tre Curiazi lo inseguirono, ma nel correre si distanziarono fra loro, perché feriti in modo differente inseguivano a velocità differenti. Per primo fu raggiunto dal Curiazio che non era stato ferito e, voltandosi a sorpresa, lo trafisse. Ripreso che ebbe a correre, fu raggiunto da ciascuno degli altri due Curiazi, che però, essendo feriti, si stancarono notevolmente e gli fu facile, uno alla volta, ucciderli. La vittoria dell’Orazio fu la vittoria di Roma, cui Albalonga si sottomise con il risultato di cinque morti su sei). E sai cosa fece dal ratto delle Sabine fino all’oltraggio a Lucrezia (donne rapite e stuprate le Sabine, violentata e suicida per il disonore Lucrezia: con il primo evento nasce la Monarchia, con il secondo nasce la Repubblica), all’epoca dei sette re di Roma, vincendo i popoli circonvicini. Sai che cosa fece, portato dai nobili Romani contro Brenno e Pirro, e contro altre repubbliche e monarchi dell’Italia; per cui Torquato e Quinzio Cincinnato, che fu detto così per la chioma trascurata, nonché Deci e Fabi ebbero la fama che io volentieri onoro (vi stupisce che un imperatore volentieri onori la fama dei veterani combattenti e conquistadores che ce la mettono tutta a ingrandire un impero???). Esso abbatté l’orgoglio dei Cartaginesi che al seguito di Annibale passarono le Alpi, dalle quali tu, o fiume Po, discendi (orgoglio libico, orgoglio padano… la Storia prima di tutto è Geografia diceva Braudel). Sotto di esso trionfarono, da giovani, Scipione e Pompeo (il primo famoso per aver raso al suolo Cartagine versando sale sulle macerie e il secondo per la guerra civile contro Cesare); e parve amaro a quel colle (Fiesole) sotto il quale tu sei nato (borgo distrutto dalle legioni romane). Poi, quando fu vicino il tempo in cui il Cielo volle far diventare tutto il mondo sereno a sua immagine (per la nascita di Cristo), Cesare assunse il segno dell’aquila per volere di Roma. E ciò che esso (con Cesare) fece dal fiume Varo fino al Reno, lo videro l’Isère, la Loira, la Senna e ogni valle di cui è pieno il Rodano (la conquista della Gallia che i Galli non hanno ancora dimenticato). Quello che fece dopo essere uscito da Ravenna ed aver passato il Rubicone, fu un volo così veloce che né la lingua né la penna potrebbero descriverlo (la guerra civile contro Pompeo). Rivolse le truppe contro la Spagna e poi verso Durazzo, e colpì Farsàlo a tal punto che il dolore arrivò sino al caldo Nilo. L’aquila rivide il porto di Antandro e il fiume Simoenta da cui si mosse, e il sepolcro di Ettore; e poi ripartì per l’Egitto, con nefaste conseguenze per Tolomeo (di dolore e di lutti non si sciupa una briciola). Da lì scese come una folgore contro Giuba, re di Mauritania, e poi si portò nell’Occidente del vostro mondo, dove sentiva la tromba dei Pompeiani (come si diceva… c’erano da far fuori anche i nemici Romani). Di quello che esso fece col successore di Cesare (Ottaviano), Bruto e Cassio ancora latrano nell’Inferno e Modena e Perugia ne furono dolenti (altre città distrutte dalle legioni romane). Ne piange ancora la triste Cleopatra, che, fuggendogli davanti, si diede la morte improvvisa e atroce col serpente (mettiamoci anche un suicidio). Con Ottaviano l’aquila corse fino al Mar Rosso; con lui ridusse il mondo in pace, al punto che fu chiuso il tempio di Giano (raffinatissimo suggerimento ai potenti su quanto sia doveroso portare guerra per poi portare pace; se poi si porta guerra chiamandola missione di pace, ancora meglio!). Ma ciò che il segno di cui parlo aveva fatto in precedenza e avrebbe fatto dopo per il regno mortale che gli è sottomesso, diventa poca cosa in apparenza se lo si paragona a ciò che fece col terzo imperatore (Tiberio), se si guarda con chiarezza e sincerità; infatti la giustizia divina che mi ispira gli concesse, in mano a Tiberio, la gloria di punire il peccato originale con la crocifissione di Cristo (GUARDATE: c’è un imperatore ispirato da Dio, Giustiniano, che afferma che Dio ha glorificato un altro imperatore, Tiberio, concedendogli la sacra missione di crocifiggere il Figlio di Dio per punire il peccato originale. Ma per davvero fino a questo punto ci si può sottomettere, e credere ad litteram a un discorso del genere se sta parlando un Potente in Paradiso???).

Ora prendi ammirazione per ciò che aggiungo: in seguito con Tito corse a vendicare la vendetta dell’antico peccato con la distruzione di Gerusalemme (ciliegina sulla torta! Tutta colpa degli Ebrei se il Cristo è stato ucciso, e non certo di Tiberio che invece era stato unto da Dio e su questo non c’è dubbio! Quindi invadiamo, assaltiamo la città, distruggiamo il Tempio, disperdiamo gli Ebrei, un po’ ne portiamo a Roma come schiavi con tutti i loro tesori sacri, come ben si vede all’Arco di Tito al Colosseo. E per piacere: guardiamo con occhio chiaro e con affetto puro, formula magica anche della scabra retorica odierna dei potenti che spesso aggiungono con serenità perché affascina di più). E quando la violenza dei Longobardi si rivolse contro la Santa Chiesa, Carlo Magno la soccorse sotto le ali dell’aquila, sconfiggendo quel popolo (le cose andarono altrimenti: il Pontefice pretendeva territori dai Longobardi, la Romagna, e Carlo Magno invase l’Italia col permesso del Pontefice che voleva qualche feudo in più, ma Carlo alla fine gli ha dato scacco istituendo il Sacro Romano Impero). Ormai puoi giudicare la condotta di quelli che ho accusato prima e le loro colpe, che sono causa di tutti i vostri mali. Gli uni (i Guelfi) oppongono al simbolo imperiale i gigli gialli della casa di Francia, e gli altri (i Ghibellini) se ne appropriano per la loro parte politica, così che è arduo stabilire chi sbaglia di più.

I Ghibellini facciano la loro politica sotto un altro simbolo, giacché chi lo separa sempre dalla giustizia (qui la domanda è spontanea: giustizia divina o umana?) ne fa un cattivo uso; e non creda di abbatterlo coi suoi Guelfi Carlo II d’Angiò, ma abbia timore dei suoi artigli che scuoiarono leoni più feroci di lui (questo Impero spaccato a metà, tra Francia e Germania, che semina lotte intestine e massacri civili nel resto d’Europa e del mondo… non ne esce alla grande come modello di Buon Governo, anche perché dentro la sua insegna che possiede artigli che hanno scuoiato leoni c’è già scritta tutta la sua storia… e solo di Impero Scuoiante si tratta! E se è riuscito a scuoiare i leoni più feroci, chissà che riuscirà a fare dei più deboli!).

 

Non ve l’aspettavate la vendetta del morto??? E per quanti secoli ancora si insegnerà nelle scuole che Dante fu gran paladino dell’Impero???

Sapete come mi sto sentendo? Nella disagevole situazione di chi deve spiegare una barzelletta a chi non l’ha capita, e chi non capisce le storielle è veramente qualcuno che possiede occhi ingenui, occhi da suddito, occhi che possono essere ingannati facilmente… da ben 700 anni!

Giustiniano viene collocato nel Cielo di Mercurio, fra gli Spiriti Attivi, e tanto attivo fu che riformò l’intero codice romano, civile e penale, che da secoli si trascinava con migliaia di sovrapposizioni di contraddizioni e di inutili orpelli… insomma diede mano a una gran bella riforma legislativa, di quelle che snelliscono, che abbreviano i tempi, che affievoliscono le burocratiche lungaggini… da invidiare!

E sarebbe tutto a suo merito, se non fosse che presunse di essere anche il padrone e il controllore delle leggi divine… anche queste da riformare da snellire… da trasformare a vantaggio del suo Potere.

Indisse il Secondo Concilio di Costantinopoli (553) lasciando in bella vista il suo promemoria sulla necessaria abolizione dello Spirito, riguardo soprattutto alla vile plebaglia, alla massa di sudditi che doveva essere mutilata, manipolata dal terrore della dannazione eterna, prostrata ai Potenti che ne avrebbero avuto l’intero controllo, e questa cosa, sapete, nel Medio Evo aveva un grande valore.

E che ne fece l’Imperatore delle ultime parole pronunciate dal Cristo sulla Croce… Padre nelle tue mani rimetto il mio Spirito? Se le avesse pronunciate da essere umano, allora tutti gli uomini non avrebbero mai potuto essere mutilati della loro scheggia di eterna divinità. Ma Giustiniano dribblò il problema, a modo suo riformando la legge divina: era chiaro che in quel momento il Cristo stava parlando con la sua natura divina e non con quella umana! Scacco Matto… solo che la stessa Beatrice tornerà a parlare di questo problema nel canto 74, canto sigillante e mercuriale, (VII Paradiso), ribaltando sia gli scacchi sia le carte, come vedremo.

A noi possono anche sembrare questioni di lana caprina, ma i Fedeli d’Amore non si sarebbero mai arresi davanti a qualcosa che avesse impedito a loro di credere che l’Umanità si fa Spirito nello stesso istante in cui lo Spirito si fa Carne… sublime Mistero della Riconciliazione (apocatastasi, vocabolo usato dallo stesso imperatore), e per questa convinzione erano disposti a morire, come Lapo Gianni.

Oppure, per evitare la morte, si diventa giullari, e sotto il velame de li versi strani si ordisce la beffa lo sberleffo lo sghignazzo… compagni fedeli dei grandi comici dell’Arte.

Quale guida migliore di Giustiniano, di oro incoronato come gli Ipocriti, per farsi accompagnare dentro il Sigillo dello Spirito? E chissà quanti Fedeli d’Amore hanno riso, portandosi il segreto nella tomba!

E ora che vi ho spiegato la barzelletta… non vi fa paura lo sguardo secco e affilato dell’Alighieri?

Lo sguardo di chi ci insegna che noi dobbiamo diventare Papi e Imperatori di noi stessi, ciascun individuo per se stesso preso, e che solo il risveglio della coscienza individuale può far da argine all’isteria del Potere, che è sempre uguale, di qualsiasi veste sia vestito.

Che vi aspettavate dall’Alighieri che ci insegna che siamo tetragoni perché siamo anche Spirito, dal momento che lo stesso Giustiniano fu il massacratore dello Spirito, apocatastasi compresa?

Accade una strana cosa nel canto 23 quando i due Poeti vedono l’anima di Caifa crocefissa a terra: cosa che ancora nessuno è riuscito perfettamente a spiegare. Virgilio esprime un ben visibile stupore.

 

Allor vid’io maravigliar Virgilio

sovra colui ch’era disteso in croce

tanto vilmente ne l’etterno essilio.   126 

(23)

 

Allora io vidi Virgilio meravigliarsi sopra colui che era crocifisso a terra in modo tanto misero nella sua eterna dannazione.

 

Di che cosa si è meravigliato Virgilio?… situazione narrativa peraltro non proprio caratteristica del personaggio che non si stupisce quasi mai. L’esegetica classica risolve affermando che il Poeta non aveva mai né visto né conosciuto Caifa, e qui c’è veramente da restar basiti visto che Virgilio conosceva tutti i dannati per nome cognome e numero di cellulare… vedi là Farinata che s’è dritto…!

Ve lo svelo io il segreto, il vero quesito meravigliato che ha attraversato la mente di Virgilio davanti ai Sacerdoti del Sinedrio: se qui stanno i mandanti, dove stanno gli esecutori???

Gli esecutori sono i Romani e stanno tutti in Paradiso, nel canto 73, insieme a Giustiniano, a sventolare l’Aquila Imperiale, bersaglio ben spogliato dal manto dell’ipocrisia e denudato fino alla sua più nascosta verità… dal grandissimo sghignazzo di un Grandissimo Giullare.

E questa cosa, Virgilio veramente non la sapeva, lui che in Paradiso non ci aveva mai messo piede.


24-74: il XXIV dell’Inferno (settima bolgia) e il VII del Paradiso: PONTI CROLLATI

… così mi fece sbigottir lo mastro, come noi venimmo al guasto ponte… (24)

… onde l’umana specie inferma giacque… (7)

 

Siamo nel cuore dei Sigilli Equatoriali, e il Lettore, se desidera, troverà in STELLA DI BARGA una argomentazione più articolata e approfondita.

Alla vigilia breve della conquista di Intelligenza e di Spirito (25-75) il Poeta ci parla di ponti crollati.

Virgilio si improvvisa Mastro di cantiere davanti alla rovina del ponte che avrebbe dovuto portare alla VII Bolgia. Ad litteram il ponte crollato trova la sua causa nel terremoto infernale prodotto dalla discesa del Cristo; in occultum ci troviamo davanti a un passaggio dal quale non si può più tornare indietro, o, se preferite, da affrontare con immensa fatica, visto che il salto iniziatico è di notevole portata, e non solo per Dante.

Con l’intelligenza del pastorello che interroga il maltempo dell’alba per capire se deve portare le pecore al pascolo, Virgilio, da improvvisato ingegnere, interroga le macerie del ponte per capire come affrontarle. Siamo o non siamo davanti al mistero grande dell’Intelligenza?  

 

Non era via da vestito di cappa,

ché noi a pena, ei lieve e io sospinto,

potavam sù montar di chiappa in chiappa.  33

E se non fosse che da quel precinto

più che da l’altro era la costa corta,

non so di lui, ma io sarei ben vinto.            36 (24)

 

Non era un cammino per gente che indossasse il mantello, poiché noi potevamo a malapena salire di spuntone in spuntone, Virgilio senza il corpo mortale e io spinto da lui. E se non fosse che da quella parte (interna) dell’argine la parete era più corta, non so lui ma io non ce l’avrei fatta.

 

E voi siete pronti ad affrontare questa immane fatica?

Siamo all’alba del Martedì Santo, 28 marzo 1301 (calendario gregoriano), e siamo all’alba in cui il bambino, protetto dai Centauri, deve mettersi in piedi e conquistare l’intelligenza. E siamo anche all’alba dell’Uomo, quella edenica, quando Adamo si è messo in piedi e nelle sue mani si è preso l’Intelligenza, facendo crollare il ponte fra il divino e l’umano.

 

Per non soffrire a la virtù che vole

freno a suo prode, quell’uom che non nacque,

dannando sé, dannò tutta sua prole;           27

onde l’umana specie inferma giacque

giù per secoli molti in grande errore,

fin ch’al Verbo di Dio discender piacque    30 (24)

 

Quell’uomo che non nacque (Adamo), per non aver sopportato alla sua volontà un freno a suo vantaggio, condannando se stesso condannò tutta la stirpe umana; per cui l’umanità giacque per molti secoli sulla Terra in un grave errore, finché al Figlio di Dio piacque di scendere là (nel grembo di Maria) dove unì a sé la natura umana, che si era allontanata dal suo Creatore, in una sola persona, col solo atto dello Spirito Santo.

E di questo altro ponte crollato a lungo ne parla Beatrice nel VII del Paradiso, incalzata dalle domande di Dante attorno alla Passione del Cristo e alla sua Crocifissione, domande che però si muovevano solo nella sua testa.

Per questo è importante tornare sulla Croce del Cristo che congiunge i Sigilli Equatoriali. La Croce Orizzontale, che noi abbiamo ruotato per vederla meglio, la croce del TUTTO É COMPIUTO nel passato, nel presente e nel futuro. Croce che si innalza dall’inferno, dalla fossa dei serpenti in cui vengono dannati i ladri che hanno stravolto l’uso dell’Intelligenza volgendola al Male. Croce che attraversa il canto 75, in cui Dante reintegra lo Spirito, ale ore 15 del Venerdì Santo 31 marzo 1301, ma, in diacronico, subito dopo la morte del Cristo e delle sue ultime parole… Padre nelle tue mani rimetto il mio Spirito.

All’alba del mondo ci troviamo ancora una volta davanti alla vexata quaestio del peccato originale e della cacciata dall’Eden. Ve l’avevo detto che ci vuole forza per affrontare i Sigilli, che sono pura esplosione del Livello Segreto del testo. Un ponte crollato nel 24 e un ponte che si riassesta nel 74.

 

Tu dici: “Ben discerno ciò ch’i’ odo;

ma perché Dio volesse, m’è occulto,

a nostra redenzion pur questo modo”.           57

Questo decreto, frate, sta sepulto

a li occhi di ciascuno il cui ingegno

ne la fiamma d’amor non è adulto.                60

(74)

 

Tu dici: “Ho capito bene quanto ho udito; ma non capisco perché Dio abbia voluto scegliere questo modo per redimerci (il sacrificio del Figlio)”. Questa verità, fratello, è sepolta agli occhi di ciascuno il cui ingegno non sia ancora nutrito dalla fiamma della carità.

Da questo punto in poi il piano letterale sprofonda nella sua banalità, e solo chi si arma d’amore può comprendere ciò che in terra non è stato compreso. E anche solo chi si arma dell’immagine secretata dall’Alighieri nella sua Geometria.

 

Nel 23, fra gli Ipocriti, Anna e Caifa e tutto il Sinedrio sono dannati. Nel 73 Giustiniano ipocrita, ci fa sapere che i Poteri, in qualsiasi tempo, sono falsi, ipocriti e scuoianti (fortuna che Tiberio, unto dal Signore, ha messo a morte il Cristo per vendicare la disobbedienza di Adamo, e fortuna che Tito fece poi vendetta della vendetta del peccato antico).

E solo se hai l’anima del giullare puoi cogliere insieme disprezzo e sberleffo.

Nel 24 Vanni Fucci Ladro ruba in sacrestia e fa condannare altri al posto suo. Nel 74 ci si chiede perché Adamo ed Eva, rubando mele in luogo sacro, hanno rotto i ponti fra divino e umano.
Nel 25, nel canto più alchemico fra tutti i canti alchemici, i ladri continuano a morire e a risorgere senza nemmeno accorgersene. E si trasformano da uomini in serpenti in continuazione. Nel 75 Dante conquista lo Spirito, abrogato per volere di Giustiniano. Proprio sulla croce del Cristo che muore e risorge. E Carlo Martello non rinuncia a ricordare la necessitata presenza del Dàimon come Custode dello Spirito.
Nel 26 Ulisse sancisce la conquista dell’Intelligenza… fatti non foste a viver come bruti Nel 76 Cunizza da Romano e Folchetto di Marsiglia (escort la prima e feroce inquisitore il secondo) sanciscono la conquista dello Spirito, vero motivo per cui ora stanno in paradiso.
Nel 27 Guido da Montefeltro, per volontà di Bonifacio VIII (che in geometria sta di fronte a Giustiniano a fare il paio dei poteri scuoianti), si fa beffa di Dio, ma un diavolo loico se ne accorge bene e se lo porta all’inferno.

27 e 73 costituiscono una delle due sentinelle alla Croce. Chiamatela come volete, ma molto assomiglia a un ladrone tipo Vanni Fucci, quello che mostra le fiche a Dio (25).

Nel 77 arriva il Sole, e con esso i Sapienti, e sopra di loro splende il mistero della Trinità.

E l’altra sentinella della Croce, 27-77, è la Sapienza, che non disdegna nemmeno l’intervento sapiente di un diavolo loico (chi più sapiente di un diavolo, strumento di giustizia divina?)

E questa, se volete, molto somiglia al Buon Ladrone.

 

L’anima d’ogne bruto e de le piante

di complession potenziata tira

lo raggio e ‘l moto de le luci sante;        141

ma vostra vita sanza mezzo spira

la somma beninanza, e la innamora

di sé sì che poi sempre la disira.            144

E quinci puoi argomentare ancora

vostra resurrezion, se tu ripensi

come l’umana carne fessi allora

che li primi parenti intrambo fensi».      148

(74)

 

L’anima di ogni animale e di ogni vegetale, pronta a ricevere la sua forma, attira la luce e il movimento di tutti i cieli; invece la vostra anima intellettiva è creata direttamente dalla bontà divina, che la fa innamorare di sé, tanto che poi desidera sempre ricongiungersi ad essa. Da ciò puoi comprendere anche la vostra resurrezione della carne, se pensi che il corpo umano fu creato direttamente da Dio insieme ai primi progenitori (Adamo ed Eva).

Queste ultime parole di Beatrice, nel canto 74, ci rivelano, al di là di ogni catechismo, un irrinunciabile fondamento sapienziale, diffuso in tutto il pianeta con diversi simboli e diversi linguaggi. L’abisso di Luce si fa Pensiero, e il Pensiero si fa Azione, e l’Azione si fa Creazione. Solo a questo punto la Materia si diversificherà nelle sue FORME infinite, minerali, vegetali e animali. E, precipitando, sempre più s’addensa. Solo l’anima intellettiva degli uomini è diversa: essa procede direttamente dalla Luce che si fa Pensiero. In parole più semplici, siete figli di Intelligenza: non avreste mai potuto rinunciare ad usarla.

Nel sottotesto scompare il peccato originale, che viene invece sostituito dalla necessitata separazione fra il divino e l’umano, per cui il divino diventerà sempre più solo, e anche l’umano diventerà sempre più solo. La risposta di Beatrice all’enigma del sacrificio del Cristo: l’Uomo da solo non avrebbe mai potuto riempire il vuoto, e nemmeno Dio nella sua solitudine avrebbe potuto riaccogliere l’umano.

Ci voleva un mediatore, ci voleva un 2, ci voleva un ponte.

Oggi anche gli analisti lo sanno che, in una coppia, il principio scardinante o integrante è rappresentato da un terzo soggetto, un terzo ermetico: la RELAZIONE, il ponte, il 2.

E ben per questo, ogni individuo per ciascuno preso, in qualsiasi luogo e in qualsiasi tempo, può decidere o scegliere se crearla o no, questa RELAZIONE. E per tutti verrà questo tempo, ci volessero ancora miliardi di anni.

E i veri colpevoli saranno sempre gli stessi, gli ipocriti, i malvagi, gli avidi, gli sfruttatori…e non popoli interi o intere nazioni, ma ogni individuo per ciascuno preso, incapace di ricucire il ponte dentro di sé.

Come Vanni Fucci che ancora, nonostante l’inferno, utilizza l’intelligenza solo per fare del male.

 

… apri li orecchi al mio annunzio, e odi:

Pistoia in pria d’i Neri si dimagra;

poi Fiorenza rinova gente e modi.         144

Tragge Marte vapor di Val di Magra

ch’è di torbidi nuvoli involuto;

e con tempesta impetuosa e agra            147

sovra Campo Picen fia combattuto;

ond’ei repente spezzerà la nebbia,

sì ch’ogne Bianco ne sarà feruto.

E detto l’ho perché doler ti debbia!         151 (24)

… apri le orecchie e ascolta la mia profezia: prima Pistoia esilierà i Guelfi Neri, poi sarà Firenze a liberarsi dei Bianchi. Marte attirerà dalla Val di Magra (Lunigiana) un vapore igneo (fulmine) che sarà avvolto di nere nubi; e con una tempesta impetuosa e tremenda si combatterà nel territorio pistoiese; quindi il fulmine (Morello Malaspina) spazzerà via la nebbia e ogni Guelfo Bianco sarà ferito. E ho detto questo per farti del male!

Maria Castronovo

Pagina FB di Maria Castronovo: https://www.facebook.com/maria.castronovo2?fref=ts

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www.antiguatau.it/aggiornamenti%204/pagine-varie/CASTRONOVO.htm

 

 

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