Nell’accelerazione incontrastata dell’occidente moderno, mondano, quello dei seni rifatti, del progresso, della corsa al profitto, dove non si guardano più gli esseri umani, ma soltanto i grafici per stabilire se si sta bene o meno, dove quotidianamente assistiamo alla “morte in diretta”, seduti in poltrona, i media ci vomitano addosso in un incedere incessante di guerre, omicidi, rapine, proliferazione di delinquenze varie, ci ritroviamo inermi di fronte alla paura di morire.

La morte ci viene mostrata ogni giorno in dressing sempre diversi e, in qualche modo, ognuno di noi ha bisogno di anestetizzarsi da questa putrefazione continua di valori: distruggendosi il rispetto, ne consegue un indurimento a livello emozionale come difesa psicologica da tutto questo dolore.

La cosa interessante è che questo dolore non è nostro.

Sono millenni che gli uomini si ammazzano a vicenda colmando la terra di sangue, ma è solo da 30-40 anni che assistiamo tramite la televisione prima, internet poi, alla morte in diretta e per calmare questo stato di disagio che viene proprio dalla paura di morire, mista alla curiosità di capire cosa accade, sbirciamo com’è morto il cantante Mango al pianoforte, oppure condanniamo pubblicamente su Facebook (che senso avrà poi?) questo o quello stupratore.

Paura di morire: come superarla?

I bisogni secondari, surrogati, che facciamo nostri perché altro ci viene a mancare, fanno si che letteralmente assumiamo “droghe emozionali anestetizzanti” che riempiano la nostra vita di fronte a quel vuoto che tanto spaventa noi comuni mortali.

Se noi scientemente decidiamo di non voler vedere lo scempio che ci si para davanti, stiamo scappando, domanda? o più semplicemente siamo alla ricerca di una dimensione altra, dove possano esprimersi quei sentimenti positivi che tanto aneliamo e che mai arrivano?

Le persone vogliono essere felici, si, ma … “sta la crisi“.

E così assistiamo a scene in cui le casalinghe dibattono tra loro come fossero in una tribuna politica su chi è colpevole e chi no, per poi piangere grosse lacrime davanti alla prossima commedia romantica per compensare questa insensata voglia di tenerezza.

La domanda è: ma perché non andate a farvi una passeggiata?

Il verde degli alberi ha un effetto calmante sul sistema nervoso, l’ossigeno rilasciato riempie i polmoni e ossigenando il sangue, muta fisiologicamente lo stato emozionale.

Oltre a questo, meditare sul significato della vita è un ottimo modo per lasciare andare la paura della morte. Quel gran genio di Cesare Pavese ebbe a dire a Fernanda Pivano (alla Pivano, mica pizza e fichi): «Si faccia una vita interiore, di studio, di affetti, che non siano soltanto di “arrivare”, ma di “essere” – e vedrà che la vita avrà un significato».

Di solito WIKIHOW fa delle guide che definire ridicole è un complimento. Stavolta invece ce l’ha messa tutta e il risultato è un testo leggibile e utile su come superare la paura della morte.

Perché si ha paura di morire?

Riassumo tutto questo pensiero in una parola: “dissociazione“.

La dissociazione, il distacco da noi stessi per l’essere immersi in una realtà vorticosa ci porta a “dimenticarci” di avere bisogno di vivere, di respirare, di rilassarci, di prendere tempo per noi, abbassa le frequenze vitali (lo sostengono studi clinici) e questo ci dissocia dalla realtà e la realtà è che un giorno o l’altro, moriremo. Dobbiamo quindi fare buon uso del tempo che ci è concesso.

Se noti, c’è un forzato incremento della velocità di vita, della ricerca di sensazioni forti come talismano per vincere la morte. Ma la paura di morire e la paura di vivere vanno a braccetto verso una sola direzione.

I monaci ortodossi del monte Athos si scavano la fossa da soli anche anni prima, e quelli tibetani, ogni sera, girano la ciotola all’ingiù perché non sanno se la morte farà il suo colpo, quella notte. Si “preparano a superare la paura della morte” per così dire. Il Dalai lama disse: «La consapevolezza della morte è la base del percorso. Fino a che non si sviluppa questa consapevolezza, tutte le altre pratiche sono inutili».

L’illusione dell’eternità che alimenta la nostra società ci spinge a non raffrontarci mai con la paura di morire e questo finisce per creare enormi problemi alla psiche quando poi qualcuno a noi caro, se ne va, oppure quando il senso delle nostre vite richiede un cambiamento.

Paura di morire: le teorie sul lutto.

Da qui sono nate le varie teorie sul lutto, dalla Kubler Ross, fino a Bowlby e alle varie teorie sull’attaccamento affettivo. La non accettazione del lutto è, in ultima analisi, paura di morire, perché c’è identificazione con la persona scomparsa con conseguente paura per noi stessi.

Come afferma ancora Vincent Thomas:

Esistono società che rispettano l’uomo: sono quelle in cui la vita, seguendo la saggezza, protegge se stessa lasciando spazio all’idea della sua fine. E, al contrario, ci sono società necrofile, devastate da ossessioni patologiche: sono le nostre, in cui la cultura della morte è negata e sepolta con la stessa cura con cui si sotterrano i cadaveri. L’esperienza concreta dell’antropologia dimostra che negare la morte genera un’altra morte».

Scacciando la morte ad ogni costo, si allontana anche la vita.

Si finisce per non sapere più accettare l’esistenza del disagio, della perdita, che spesso è funzionale perché lascia spazio al nuovo, è fisiologica, è biologica. Niente dura per sempre, tutto è illusorio perché transitorio. Lo diceva il Buddha.

E quel fantastico poeta che era Ungaretti nella sua “Soldati”, parla della caducità della vita in guerra, con una metafora che è diventata storia della letteratura:

Paura di morire: l’Amore vince sempre.

Ma la paura di morire nasconde un altro aspetto interessante che passa inosservato agli occhi dei più: è l’Amore.

La nostra società godereccia (scaccia morte, la definisco io) si auto-giustifica con la scusa della liberazione dai sensi di colpa e dalle frustrazioni delle generazioni precedenti per dar sfogo a tutti i pensieri che le passano per la testa e che accendono impulsi, e questo bisogno di colmare sempre, di essere sempre pieni, non lascia spazio al vuoto che è invece fondamentale per lo sviluppo di ogni cosa esistente, inclusi noi stessi.

Osservando com’è aumentata la frustrazione negli ultimi trent’anni ci accorgiamo che una “grande dimensione contemplativa” è venuta a mancare nella vita dell’essere umano, l’osservare i cicli delle stagioni, il nutrire, il curare, il far crescere, il veder morire. Questo ci insegna a comprendere la trasformazione di ogni cosa.

Nel volere tutto subito, si perde la capacità di attendere.

L’Amore invece ha bisogno di pazienza. Di essere nutrito, curato e fatto crescere. E di essere sfrondato quando ce n’è bisogno.

Se guardiamo i coltivatori di rose, ci sembra assurdo vedere come potano le piante, tagliando inesorabilmente molti rami, ci sembra che le lascino vuote. Questo è essenziale invece, oltre che per dare forma, anche per dare robustezza alle piante stesse, vigore, perché possano superare i momenti difficili.

La nostra società ha ucciso il sacrificio.

Ma nell’etimologia della parola sacrificio c’è, in bella mostra, tutto il suo significato esoterico: “Rendere sacro“.

Ecco che quindi, per ricollegarci alla psicologia contemporanea, Jung definiva con il termine “individuazione“, la scelta operata dall’uomo di decidere per sé stesso, partendo da un sentire profondo interno, un ricondurre la pluralità all’unità, un uccidere parti di noi non più utili alla crescita. un potare inesorabile. Un sacrificio.

Molti mi chiedono cosa voglia dire “Amare sé stessi“.

Io credo sia questo: nella scelta di potare i rami secchi c’è l’Amore per la pianta che siamo oggi e che saremo domani. Darsi consapevolmente la morte, nel senso di offrire sé stessi al sacrificio delle parti che non ci sono più utili per la crescita, perché l’Amore ci chiama in continuazione.

Dentro di noi sappiamo benissimo cosa è bene per noi e cosa no.

Il gioco di questo teatro dell’assurdo che è la vita, è che se non scegliamo noi di potare l’albero, la vita ci fa poi morire lentamente, giorno per giorno, perché “se non potiamo i rami secchi, tutta la pianta soffre” e questo non fa che aumentare la paura di morire. Te ne sei accorto?

Concludo con due piccole grandi perle che ci possono aiutare a comprendere meglio il senso, il significato della morte, e comprendere è cibo per l’Anima. L’Anima va nutrita allo stesso modo in cui nutriamo il corpo, altrimenti muore di inedia.

In questo video padre Guidalberto Bormolini dialoga con Franco Battiato sul tema della morte:

Paura di morire: l’Amore vince sempre.

Ma la paura di morire nasconde un altro aspetto interessante che passa inosservato agli occhi dei più: è l’Amore.

La nostra società godereccia (scaccia morte, la definisco io) si auto-giustifica con la scusa della liberazione dai sensi di colpa e dalle frustrazioni delle generazioni precedenti per dar sfogo a tutti i pensieri che le passano per la testa e che accendono impulsi, e questo bisogno di colmare sempre, di essere sempre pieni, non lascia spazio al vuoto che è invece fondamentale per lo sviluppo di ogni cosa esistente, inclusi noi stessi.

Osservando com’è aumentata la frustrazione negli ultimi trent’anni ci accorgiamo che una “grande dimensione contemplativa” è venuta a mancare nella vita dell’essere umano, l’osservare i cicli delle stagioni, il nutrire, il curare, il far crescere, il veder morire. Questo ci insegna a comprendere la trasformazione di ogni cosa.

Nel volere tutto subito, si perde la capacità di attendere.

L’Amore invece ha bisogno di pazienza. Di essere nutrito, curato e fatto crescere. E di essere sfrondato quando ce n’è bisogno.

Se guardiamo i coltivatori di rose, ci sembra assurdo vedere come potano le piante, tagliando inesorabilmente molti rami, ci sembra che le lascino vuote. Questo è essenziale invece, oltre che per dare forma, anche per dare robustezza alle piante stesse, vigore, perché possano superare i momenti difficili.

La nostra società ha ucciso il sacrificio.

Ma nell’etimologia della parola sacrificio c’è, in bella mostra, tutto il suo significato esoterico: “Rendere sacro“.

Ecco che quindi, per ricollegarci alla psicologia contemporanea, Jung definiva con il termine “individuazione“, la scelta operata dall’uomo di decidere per sé stesso, partendo da un sentire profondo interno, un ricondurre la pluralità all’unità, un uccidere parti di noi non più utili alla crescita. un potare inesorabile. Un sacrificio.

Molti mi chiedono cosa voglia dire “Amare sé stessi“.

Io credo sia questo: nella scelta di potare i rami secchi c’è l’Amore per la pianta che siamo oggi e che saremo domani. Darsi consapevolmente la morte, nel senso di offrire sé stessi al sacrificio delle parti che non ci sono più utili per la crescita, perché l’Amore ci chiama in continuazione.

Dentro di noi sappiamo benissimo cosa è bene per noi e cosa no.

Il gioco di questo teatro dell’assurdo che è la vita, è che se non scegliamo noi di potare l’albero, la vita ci fa poi morire lentamente, giorno per giorno, perché “se non potiamo i rami secchi, tutta la pianta soffre” e questo non fa che aumentare la paura di morire. Te ne sei accorto?

Concludo con due piccole grandi perle che ci possono aiutare a comprendere meglio il senso, il significato della morte, e comprendere è cibo per l’Anima. L’Anima va nutrita allo stesso modo in cui nutriamo il corpo, altrimenti muore di inedia.

In questo video padre Guidalberto Bormolini dialoga con Franco Battiato sul tema della morte:

E infine le parole di profonda saggezza che vengono dal cuore puro di uno dei più grandi poeti che abbiano mai attraversato questa terra, ispirando niente meno che Dante nella sua Divina Commedia.
Mevlana Jalaluddin Rumi dice, riferendosi all’amore per Dio e per estensione, all’Anima:

Morite, morite, di questo amore morite,
se d’amore morirete, tutti Spirito sarete!

Morite, morite, di questa morte non paventate,
da questa terra su volate e i cieli in pugno afferrate!

Morite, morite, da questa carne morite,
non è che laccio la carne, e voi ne siete legati!

Prendete, prendete la zappa per scavar la prigione!
Spezzato che avrete il muro, sarete principi, emiri!

Morite, morite davanti al sovrano bellissimo:
morti che avanti a lui sarete, sarete sultani e ministri!

Morite, morite, uscite da questa nube
usciti che ne sarete, Luna lucente sarete!

Tacete, tacete, il silenzio è sussurro di morte;
tutta la vita è in questo: siate un flauto silente.

di Max Volpi

Fonte: https://www.armoniaemozionale.it/la-paura-di-morire/

Informazioni su Max Volpi

Max Volpi è il presidente dell’Associazione LUCE che si occupa di diffondere strumenti di consapevolezza ed integrazione del vissuto personale con gli scopi “alti” della nostra esistenza. Pratica meditazione da oltre 15 anni attraversando molte tecniche in diversi periodi: dalla trascendentale, alle meditazioni di assorbimento, dalla Vipassana alla preghiera esicasta. Profondamente interessato alle religioni e alla spiritualità, integra nel proprio percorso la dimensione olistica, studiando la riflessologia plantare, i fiori di Bach, le tecniche di psicologia energetica quali Eft, di cui è Master practitioner, e Logosintesi®. È practitioner di Pnl e studia l’ipnosi conversazionale ericksoniana. Dal novembre del 2013 integra il suo percorso di studi con la Dermoriflessologia®, tecnica olistica di indiscutibile profondità, che diventa ben presto il centro del suo lavoro. È fondatore dei siti:
www.ifioridibach.com – www.armoniaemozionale.it

Fonte immagine: https://eueufemia.files.wordpress.com/2012/11/autunno-foglia-rossa-caduta.jpg






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