Il simbolo della Fenice trova le proprie origini nell’antico Egitto ove assumeva il significato solare associato alla città di Heliopolis. In essa veniva onorato il dio Sole Ra che ogni giorno sorgeva e tramontava. La fenice è un sogno d’immortalità considerata simbolo sacro assomiglia ad un aquila reale, ha il piumaggio che va dal rosso al blu dalla porpora all’oro. Gli antichi egizi furono i primi a parlare della fenice ossia del Bennu, nome che deriverebbe dal verbo “benu” che significa risplendere, sorgere o librarsi in volo. I testi delle piramidi parlano di un uccello simile ad un airone comparso sulla prima collina emersa dalla acque primordiali.

La Fenice rappresenta la fase finale del processo alchemico e gli alchimisti, in questo uccello, riposero il significato della spiritualizzazione completa, della rinascita della personalità risultato finale della Grande Opera. Il simbolo alchimistico è molto diffuso e viene spesso impiegato per raffigurare la proprietà della Pietra Filosofale capace di moltiplicare e aumentare la quantità d’oro ottenibile dalla trattazione della vile materia prima.

L’iconografia della Fenice viene dopo quella del Pellicano non solo nel rispetto della successione delle fasi alchemiche ma, anche nel significato rispetto a quello che lo precede. Infatti la sua capacità di ricrearsi acquisisce il significato divino nei confronti di quello umano del Pellicano. La simbologia del Pellicano fu impiegata in molteplici significati, fra cui quello della Pietra Filosofale, per l’interesse non egoistico in quanto il Pellicano nutre i suoi piccoli con il sangue che sgorga dal suo petto è l’immagine dell’amore paterno.
Il sangue scaturente dal petto del Pellicano è, per l’Ars Symbolica, la forza spirituale che alimenta il lavoro dell’alchimista che con grande amore e sacrificio conduce la ricerca della perfezione. Nell’iconografia alchemica il Pellicano simboleggia un particolare vaso nel quale veniva riposta la materia liquida da distillare.

Tornando alla Fenice, il suo nome deriva dal magnifico aspetto rosso dell’uccello,‘fenice’ deriva dal greco phoinix – della fenicia, che vuol dire anche rosso, evoca il fuoco creatore capace di dissolvere le tenebre della notte simboleggianti la condizione della morte, del peccato, dell’anima liberata dalla natura umana che l’opprime.

Secondo un mito greco, rifacentesi ad uno più antico egizio, la Fenice risorgeva dalle ceneri della sua pira ogni cinquecento anni e tale leggendaria immagine di longevità ed immortalità costituì, durante il Medioevo, un parallelo con l’immortalità e la resurrezione di Cristo dal Santo Sepolcro. Sempre in Grecia con Esiodo e poi con Erodoto, descrissero la fenice come un esemplare unico, sempre maschile che viveva in un oasi del deserto d’Arabia. Quando moriva, il suo successore creava con la mirra un grosso uovo e v’introduceva il corpo del padre, chiudeva poi l’uovo con altra mirra e lo trasportava fino a Eliopoli in Egitto per deporlo sul tempio del dio Sole.

La leggenda che ci racconta Tacito negli “Annales” si allontana ancora di più dall’originale: secondo lui, la Fenice si fabbricava in Arabia un nido con ramoscelli di piante aromatiche, dal quale usciva la nuova Fenice che indi bruciava il padre. Secondo altri antichi, infine, l’animale, giunto a tardissima età, si uccideva sopra un rogo di legni odorosi per poi risorgere dalle proprie ceneri, più puro e più bello. In Roma tale mito, conosciuto già in età repubblicana, avrebbe fornito al poeta Levio (secc. II-I a. C.) lo spunto per la composizione di un carme figurato nel quale la disposizione dei versi riproduceva l’immagine di un’ala.

Durante l’impero romano, la leggenda della Fenice assurse a simbolo del mondo che si ripete e si rinnova incessantemente: cantata, tra l’altro, da Ovidio e da Claudiano, e riferita da Plinio il Vecchio. Anche artisti e scrittori cristiani ne sfruttarono le potenzialità allegoriche, piegando l’antico mito a significare misticamente la promessa cristiana della resurrezione e della vita eterna: tale nuovo valore informa di sé tanto il “De carnis resurrectione” di Tertulliano quanto il “De ave phoenice” attribuito a Lattanzio. Cosa rara e quasi impossibile a trovarsi, la Fenice divenne nel linguaggio popolare un qualcosa di tanto straordinario da sembrare inverosimile, una specie di portafortuna per le persone buone, un qualcosa di magico, senza età né tempo. Il significato che comunemente si ricava dal mito della Fenice, in grado di risorgere dalle proprie ceneri, è che la fine di un ciclo non comporta la distruzione di tutto quanto fatto, bensì è permesso ripartire da dove si era arrivati per proseguire il cammino ad un livello superiore.

Anche i cinesi conoscevano un’analoga figura di animale mitico convenzionalmente chiamato fenice. Rappresentato con corpo di drago e testa di fagiano, era anch’esso simbolo di immortalità, nonché emblema dell’imperatrice.

Alessandra Menegatti

Fonti: www.duepassinelmistero.com

 

 

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