La concezione, a noi familiare, di un tempo lineare, incentrato sul meccanismo della storia e dell’unicità dei singoli eventi, sembra essere un’idea piuttosto recente. Al contrario, si ha ragione di credere che, fin dagli albori della storia, l’uomo abbia concepito il tempo come qualcosa di circolare, di ciclico. D’altronde l’esperienza che l’uomo ha del tempo appare costituita da cicli che si ripetono incessantemente. Ogni giorno termina con un tramonto, ma ad ogni notte segue una nuova alba. Ogni mese vediamo la luna crescere, divenire piena e poi calare, svanire, per crescere di nuovo il mese successivo. Anno dopo anno le stagioni si succedono con lo stesso andamento, la natura fiorisce a primavera, raggiunge il suo culmine sotto il sole dell’estate, declina in autunno e muore tra i rigori dell’inverno, salvo poi sbocciare di nuovo a primavera. Ogni ciclo del tempo segue incessantemente il suo corso, si chiude e ricomincia. Chiunque viva sotto il cielo stellato e a contatto con i modi della natura sarà istintivamente portato a costruire una concezione del tempo che sia circolare, regolare, ciclica.
Fasi-Lunariposizione-della-Luna3Anche i Celti, come moltissimi altri popoli antichi, avevano un’idea circolare del tempo. Ma per essi tale circolarità aveva una importante caratteristica: era duale. Ogni manifestazione ciclica era formata da una parte oscura e da una parte luminosa. Così come la giornata si distingueva naturalmente in notte e dì, l’anno veniva diviso in due «stagioni» di sei mesi, inverno ed estate. Allo stesso modo i mesi venivano divisi in due «settimane» di quindici giorni, legate alla luna nuova ed alla luna piena.
Ma nei vari ritmi del tempo – giorni, mesi, anni – il passaggio dall’una all’altra metà del ciclo, dalla metà oscura a quella luminosa, non era visto come una progressione di periodi temporali caratterizzati da qualità antitetiche, quanto piuttosto come il mutuo avvicendarsi, in ogni manifestazione della realtà, di due opposte modalità di esistenza. Da qui, nel racconto irlandese Tochmarc Étaíne, il rifiuto di Óengus Óc di restituire ad Elchmar a dimora che questi gli aveva concesso in prestito per «un giorno e una notte» [laí co n-aidchi], adducendo che è «in un giorno e in una notte che si consuma il mondo» (Rees ~ Rees 1961 | Cataldi 1987). Non si tratta di un cavillo ma del riconoscimento della natura delle cose, perché giorno e notte sono «stati» che non appartengono al tempo ma all’essere. Lo stesso racconto compare in una vicenda narrata nel Lebor Laignech, ma qui è il Dagda Mór a venire estromesso da Óengus con queste parole: «È evidente che notte e giorno sono tutto il mondo, ed è questo ciò che mi hai concesso». Nel Ciclo dell’Ulaid, re Conchobar mac Nessa ottiene in modo analogo il regno sull’Ulaid: Fergus mac Róich gli concede la sovranità per un inverno e un estate, ma giunti alla fine dell’anno, si sente rispondere che il regno gli era stato assegnato per sempre, in quanto «con le estati e con gli inverni il mondo va avanti». Se, come hanno rilevato gli studiosi, re Conchobar è la personificazione dell’anno, vi sono elementi per considerare Óengus Óc la personificazione del giorno: egli viene chiamato Mac Óc «figlio giovane», in quanto è concepito e partorito in un solo giorno, che il Dagda aveva opportunamente, magicamente allungato.
L’opposizione tra stato «oscuro» e stato «luminoso» aveva innanzitutto valore ontologico. Che poi tale opposizione si esprimesse nei cicli del tempo era solo una conseguenza della natura duale della realtà. Dunque – interpretando con parole nostre – non era tanto il tempo a scorrere, quanto piuttosto tutte le manifestazioni dell’esistenza (il cielo, il mondo, l’uomo) a fluire ciclicamente attraverso i due opposti stati dell’essere. Un primo stato di immobilità e latenza, intriso di soprannaturalità e del gelo sotterraneo della morte; e un secondo stato di manifestazione, contraddistinto dal calore, dalla luce, dal pulsare e sbocciare della vita. Ogni ciclo duale aveva un significato simbolico quale microcosmo in cui si riassumeva la totalità del tempo, la totalità dell’essere.
Infine – è un punto molto importante – questa dualità non mancava di un preciso orientamento. Ogni ciclo iniziava con la metà «oscura» e si chiudeva con la metà «luminosa». Dunque, la notte precedeva il giorno, l’inverno precedeva l’estate. Il calendario celtico faceva cominciare il giorno dal tramonto, l’anno dall’inizio dell’inverno. I vari cicli si riflettevano gli uni negli altri, seguendo tutti quanti uno stesso orientamento che procedeva immancabilmente dal sottosuolo alla superficie, dal freddo al caldo, dal buio alla luce e, in definitiva, dalla morte alla vita. Tuttavia quest’orientamento buio e luce implicava, trattandosi di un ciclo, anche il suo contrario: luce/buio. Così come la luce scaturisce dalle tenebre, è essa stessa destinata a sprofondare nelle tenebre. Et in pulvis reverteris. Come opportunamente notano Alwyn e Brinley Rees, le tenebre, equiparate al caos primordiale che precede la creazione e alla gestazione che precede la nascita, vengono prima della luce. Tuttavia, come simbolo di morte e dissolvimento, esse ritornano immancabilmente dopo che la luce si è spenta.
Fonte: www.bifrost.it/CELTI/4.Eriuiltempoelospazio/02-Tempo.html




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